Di madre in figlia

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  1. maria rossi
     
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    "Mirella, [mia figlia] non s’accontenta solo di lasciarsi andare a vivere, di essere amata, come io avevo fatto alla sua età. Forse ciò dipende dal fatto che gli studi erano molto diversi, allora, per le ragazze. Io non avrei mai pensato di fare l’avvocato: studiavo letteratura, musica, storia dell’arte. Mi facevano conoscere solo quello che è bello e dolce, nella vita. Mirella studia medicina legale. Sa tutto. I libri sono stati per me una debolezza che ho dovuto vincere a poco a poco, con gli anni; a lei, invece, danno quella spietata forza che ci divide."

    "E in me questi due mondi si scontrano, facendomi gemere. Forse è per questo che spesso mi sento priva di qualsiasi consistenza. Forse sono solo questo passaggio, questo scontro. [...] [Mirella] intende fare una rivoluzione contro di me. Non capisce che sono stata proprio io a renderla libera, io con la mia vita dilaniata tra vecchie tradizioni rassicuranti e il richiamo di esigenze nuove. È toccato a me. Sono il ponte del quale lei ha approfittato [...]. Adesso posso anche crollare."

    da quaderno proibito
     
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  2. maria rossi
     
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    "Quando attribuiamo ad altri sentimenti personali, in genere negativi, facciamo una proiezione. E' un meccanismo inconscio di difesa contro impulsi che vengono avvertiti come inaccettabili da parte dell'ego, e non ne sono esenti nemmeno individui molto equilibrati. Ora, la credenza diffusa che il maschio venga partorito con più facilità della femmina, [...] come se essendo il primo più vitale, più forte, più attivo dlla seconda, si adoperasse in qualche modo per venire al mondo, è appunto un meccanismo di proiezione, cioè di attribuzione ad altri dei propri impulsi ostili. La verità è che la femmina è meno desiderata del maschio, anzi spesso non lo è affatto, che il suo valore sociale è ritenuto inferiore a quello del maschio, ma non sta bene esprimere questi sentimenti negativi perchè cozzano contro un altro tenace pregiudizio, cioè quello che si debbano amare i bambini. L'assenza di amore per un bambino è avvertita come una colpa grave e intollerabile: allora si rovescia la situazione, e l'ostilità verso la femmina diventa ostilità della femmina verso chi la porta in grembo, e tanto violenta da complicare l'atto stesso di partorirla [...]"

    "Brunet e Lezine riferiscono che in un campione di bambini d'ambo i sessi da loro studiato il 34% delle madri "rifiutava di nutrire al seno le figlie femmmine perchè considerava la pratica come un lavoro forzato o perchè impedita da motivi di lavoro che poneva in primo piano" mentre tutte le madri di figli maschi, tranne una, avevano invece voluto allattarli al seno. Possiamo avanzare l'ipotesi che del 66% delle restanti madri che hanno nutrito al seno le loro bambine, una parte l'abbia fatto malvolentieri? Beninteso, potremmo formulare la stessa ipotesi anche per una parte di quel 99% di madri che ha allattato i porpri maschietti, ma questa adesione quasi plebiscitaria ci consente di supporre che quando si tratta di decidere se allattare o no un maschio la madre sia meno combattutta"
    [...]
    "Alle bambine le madri dicono press'a poco : "Va tutto bene finchè devo fare per te il minimo indispensabile, quindi sbrigati a fare da sola", che è solo apparentemente un incoraggiamento all'indipendenza e all'autonomia. Infatti dalle bambine si esigerà solo un certo tipo di autosufficienza, quella cioè che prevede di non dipendere dagli altri per i piccoli (e grandi!) fatti quotidiani di carattere partico, ma di dipendere completamente per quanto riguarda scelte più ampie come l'autorealizzazione, non solo, ma di porre al più presto possibile le proprie energie psichiche al servizio altrui."

    Dalla parte delle bambine, Elena Gianini Belotti

    Edited by maria rossi - 29/4/2008, 12:22
     
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  3. imperia69
     
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    Ho letto il libro della Belotti nei miei anni universitari e mi aveva colpito moltissimo come l'autrice mettesse in luce gli infiniti pregiudizi che accompagnano una bambina sin dal suo concepimento.
    Oggi mi chiedo cosa è cambiato rispetto ad allora (se non erro il libro è stato scritto negli anni '70). Voglio dire, ancora oggi sento dire che una donna che aspetta un maschio diventa più bella, mentre se il suo volto "imbruttisce" aspetta una femmina e questo lo trovo molto avvilente :( Ma se devo pensare ai miei conoscenti che stanno per avere o hanno avuto un figlio, direi che non c'è una netta predilezione per il maschi, anzi, forse la maggior parte preferirebbe una bambina (non ho fatto delle statistiche, è solo la mia impressione). Se questo poi significhi che c'è stato un aumento di "desiderabilità" delle figlie femmine rispetto ai maschi o se è solo la vecchia idea della femmina come essere più docile, obbediente e che assisterà gli anziani genitori che sopravvive sotto altre forme non so...
     
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  4. maria rossi
     
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    io devo ancora leggerlo (intanto l'ho comprato) ma forse qualche riflessione e risposta alla tua osservazione potrebbe essere contenuta in "Di nuovo dalla parte delle bambine" di Loredana Lipperini, Feltrinelli.
     
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  5. maria rossi
     
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    ...credo che le aspettative di dedizione, fedeltà e docilità da parte di una figlia femmina valgano molto, ancora oggi! come aspettarsi che siano brave e diligenti a scuola... è un primato che c'è: ci sono molte prime della classe e più laureate ma... raramente il carico familiare, l'accudimento non ricadono esclusivamente su madri e figlie. un milione di donne lascia il lavoro dopo il primo figlio, non so quante dopo il secondo...
     
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  6. imperia69
     
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    anche qui le domande che avrei sono tante... è solo il carico di lavoro (domestico ed extradomestico) a spigerle alla scelta di lasciare il lavoro o un qualche "programma" culturale che hanno interiorizzato? Non voglio assolutamente negare la drammaticità di una scelta del genere, soprattutto se indotta da una scarsa collaborazione in famiglia, ma da un certo punto di vista è anche una scelta coraggiosa quella di rinunciare alla propria sicurezza economica e scegliere di dipendere così dal partner. Non credo che sarei mai in grado di avere tanta fiducia (nell'altro e nella vita). Avrei subito paura che la mia debolezza venga utilizzata e manipolata per tenermi sotto ricatto e indurmi verso strade che non vorrei percorrere (e tutto questo magari in perfetta buona fede!)
     
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  7. maria rossi
     
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    sicuramente c'è un recitare una parte, un compito assegnato percepito come naturale, spontaneo e per questo assecondato quando è anche molto (non voglio dire soltanto!) frutto di un interiorizzazione di condizionamenti e modelli culturali acquisiti. però il carico di doppio, triplo impegno su più fronti è massacrante e miete vittime, parecchie. "donne sull'orlo di una crisi di nervi" non è solo un titolo ma un ritratto della realtà e le depressioni che insorgono sempre più numerose sono delle ribellioni passivizzanti a tutto questo carico smisurato.
    la condizione è assurda, in effeti e capisco bene cosa dici.
    chi rinuncia alla propria indipendenza economica molte volte lo fa perchè per le donne la realizzazione professionale si pretende non essere primaria, totalizzante come per un uomo; perchè comunque si guadagna di meno e fare carriera è un processo più lento e più faticoso quindi meno accattivante e un pò più frustrante se non umiliante (non è retorica sono dati oggettivi ancora oggi nel 2008!);perchè se hai figli ti viene fatto pesare, la cosa non è sempre gradita; perchè una donna perfezionista nel lavoro che non riesce a tornare subito al 100% nel rendimento dopo una gravidanza ha duri conflitti con se, con le proprie aspettative e proietta giudizi tremendi da parte di colleghi e superiori anche quando non ci sono; perchè i tempi e i modi di lavorare sono tarati su un solo modello di lavoratorre,non sono modulati su più e diverse esigenze ma sono fatti a misura di persone che esauriscono il 70-80% del proprio tempo e delle proprie risorse solo in questo; perchè fra asili e baby-sitter puoi arrivare a pagare 800 euro al mese; perchè a sentirti madre, costretta fra i fornelli, i pannolini, la spesa, ti senti "declassata" e non più in grado di competere, di reggere il ritmo, l'"appeal" necessari per il mondo del lavoro;perchè è faticoso, molto reggere tutto mantenere il livello ed è più facile assecondare il clichè di moglie-madre, donna di casa che tenere duro e andare avanti nonostante i sensi di colpa che arrivano da tutte le parti rispetto a qualsiasi ruolo assunto (per non lavorare più bene come un tempo, per non essere una brava madre, per non avere tempo per te e per non riuscire a ritagliare spazi con il partner!)facendoti sentire inadeguata, mostro, sfruttata da tutto e tutti; perchè il ruolo di madre ha ancora il suo richiamo, la sua autorevolezza, il suo impatto ,riconsosce una specificità femminile (con tutto il bene e tutto il male, sia chiaro!) e protegge mentre nel mondo professionale questo deve ancora avvenire, tranne che per i soliti (e nona caso!) lavori di cura ed è ben poco rassicurante...insomma di ragioni culturali ma anche sociali, oggettive ce ne sono tante ma la cosa che insospettisce è che se le donne collaborassero e cercassero soluzioni originali e creative a questi problemi li troverebbero e creerebbero anche nuove e diversi percorsi e identità lavorative, professionali. con modalità tempi e finalità ben diverse da quelli tradizionali! in trentino, in olanda, in germania esistono molti esempi; in francia, invece, fa molto lo stato, si fa carico del problema soprattutto economicamente (le madri sono pagate con un contributo mensile cospicuo per i primi 5 anni di ogni figlio, ecc.ecc.) ; se questo ancora in italia non avviene è perchè non c'è vera consapevolezza da parte femminile, ne individuale ne tanto meno sociale e le responsabilità della nostra tradizione cattolica sono molto grandi e pervasive. questo è un vero peccato perchè si contribuirebbe a rivedere e ripensare un pò tutto in termini più umani e disalienati, cosa che farebbe bene anche agli uomini, ineffetti!

    Edited by maria rossi - 5/5/2008, 20:25
     
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  8. maria rossi
     
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    Un altro esempio di tramandazione, di passaggio "di madre in figlia", forse più positivo, liberato...ma storicamente quasi estinto: quello delle mondine.
    Con un tentativo -oggi- di recupero, di raccolta...non più del riso ma di un'esperienza umana e di genere che vale la pena non disperdere.
    Quando coscienza di classe e senso di sè si formano e intrecciano l'un l'altro promuovendo emancipazione, solidarietà, sete di libertà e giustizia, di un mondo migliore per tutti.


    Autore: P. Besate
    Anno 1950

    Son la mondina, son la sfruttata,
    son la proletaria che giammai tremò:
    mi hanno uccisa, incatenata,
    carcere e violenza, nulla mi fermò,

    Coi nostri corpi sulle rotaie,
    noi abbiam fermato i nostri sfruttator;
    c'è molto fango sulle risaie,
    ma non porta macchi il simbol del Iavor,

    E lotteremo per il lavoro,
    per la pace, il pane e per la libertà,
    e creeremo un mondo nuovo
    di giustizia e di nuova civiltà.

    Questa bandiera gloriosa e bella
    noi l'abbiam raccolta e la portiam più in su
    dal Vercellese a Molinella,
    alla testa della nostra gioventù.

    E se qualcuno vuol far la guerra,
    tutti uniti insieme noi lo fermerem:
    vogliam la pace sulla terra
    e più forti dei cannoni noi sarem.




    Di madre in figlia: la storia delle mondine di Novi
    Il lavoro delle mondine ha sempre colpito l'immaginario popolare e ha ispirato molti canti popolari, oltre che opere letterarie e cinematografiche (come Riso Amaro con Silvana Mangano).
    Faccio parte di quella generazione che le mondine non le ha mai viste, forse ne ha sentito parlare, sicuramente non le ha mai potute vedere al lavoro.
    La mondina, o mondariso (dal verbo "mondare", pulire) era la lavoratrice stagionale delle risaie.
 Il lavoro si svolgeva durante il periodo di allagamento dei campi, effettuato dalla fine di aprile agli inizi di giugno per proteggere le delicate piantine del riso dallo sbalzo termico tra il giorno e la notte, durante le prime fasi del loro sviluppo. La disinfestazione delle piante di riso, oggi fatta a macchina, veniva svolta solo dalle donne, che lasciavano le loro case e alloggiavano insieme, in capannoni, per la durata della campagna di monda (circa 40 giorni in estate), con orari di lavoro disumani a volte anche per dodici ore al giorno, reclutate nei loro paesi e portate nelle risaie della Lombardia e del Piemonte per guadagnare un po' di denaro per le proprie famiglie, devastate dalla guerra e dalla miseria. A piedi scalzi tutto il giorno nell'acqua, con la schiena curva e un cappellaccio in testa per ripararsi dal sole, le mondine restavano lontane da casa per mesi e i loro letti erano giacigli di paglia. Per sopportare la fatica e la nostalgia, cantavano.
    A Novi di Modena è sopravvissuto uno di questi cori conosciuto come ... le Mondine di Novi, una leggenda vivente: nato a metà degli anni settanta, questo gruppo vocale è formato da venti donne della bassa modenese, la maggior parte delle quali sono ottantenni che da giovani hanno lavorato nelle risaie del Piemonte e hanno vissuto l'esperienza della Resistenza in Emilia.
    A queste donne, a questo coro lunedì 18 gennaio alle 21, presso la Sala Truffaut in via degli Adelardi 4 a Modena viene proiettato il film "Di madre in figlia", un documentario dedicato al Coro delle Mondine di Novi. Nel film di Zambelli le Mondine di Novi si raccontano attraverso i loro ricordi e i loro canti. Il montaggio ripercorre la loro storia con vecchie immagini di repertorio in bianco e nero che si alternano alle loro testimonianze. Il documentario ne illustra anche il percorso musicale attuale: le Mondine di Novi vanno tutt'ora in giro di festa in sagra a cantare le stesse canzoni, di protesta, d'amore, di malinconia, che usavano cantare in risaia molti decenni fa. Con il passare del tempo il coro di Novi si è rinnovato, dapprima con l'ingresso delle figlie delle mondine, che hanno imparato a cantare dalle madri e si sono unite a loro per portare avanti la tradizione dei canti di risaia. Successivamente i Fiamma Fumana gruppo musicale italiano originario dell'Emilia, fondato da Alberto Cottica, ex Modena City Ramblers, hanno aggiunto il contributo di un'altra generazione ancora, quella delle ragazze ventenni di oggi, e con l'uso della musica elettronica hanno dato vita nell'insieme a un gruppo musicale elettro-folk che unisce tre generazioni.
    Queste donne rappresentano il nostro passato, conoscere la loro storia ci aiuta a capire chi siamo, ci raccontano di quell'Italia che è stata e ora non è più, sommersa dal "benessere" fittizio del consumismo e ipnotizzata dai messaggi che ci propongono ogni giorno in televisione. Ascoltarle cantare e raccontare la loro esperienza di donne può essere l'occasione per noi donne "moderne" di trovare nuovi spunti di riflessione sul nostro ruolo nella costruzione della società attuale.


    www.youtube.com/watch?v=IW2Ce4_FHx8
     
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  9. maria rossi
     
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    Le contadine
    di Angela Frulli Antioccheno

    Le mondine

    Due fenomeni di particolare rilevanza caratterizzarono, nella seconda metà dell’800, la pianura padana: una crescita demografica, con eccedenza di manodopera nelle famiglie mezzadrili, e la crisi agraria che creò, per queste stesse famiglie, pesanti difficoltà. Molte di esse, per far fronte a questa drammatica situazione, furono costrette ad abbandonare la terra ed andarono ad infoltire le schiere di braccianti. Si verificò, pertanto, una proletarizzazione di queste masse di contadini, che riguardò non solo gli uomini, ma anche le donne; la presenza del sesso femminile tra i braccianti fu in numerosi casi superiore a quella degli uomini.

    Queste donne, d'altronde, provenendo da famiglie contadine, avevano sempre partecipato ad attività lavorative agricole: già abituate a lavorare, non esitavano, di fronte alla necessità, a offrire la loro manodopera.
    immagine elaborata: mondariso

    La novità consistette nel fatto che queste lavoratrici agricole si presentavano nel mercato del lavoro come soggetti autonomi, che percepivano un salario individuale e, poiché in alcuni casi dovevano anche allontanarsi da casa, nei loro confronti si dovettero allentare i controlli, anche se a questa parziale indipendenza corrispondeva una situazione di forte precarietà. La loro presenza risultava estremamente vantaggiosa per i datori di lavoro, poiché venivano pagate meno degli uomini: esse, infatti, avevano una giornata lavorativa che veniva pagata meno e durava un’ora in più.

    Una attività bracciantile svolta pressoché in via esclusiva da donne (il 75% degli occupati), poiché non richiedeva forza fisica, aveva per oggetto la monda del riso. Lavoro in realtà estremamente duro - poiché svolto, per molte ore consecutive, con la schiena curva e le gambe immerse in acque melmose e malsane - e diffuso nelle campagne del Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, fino alla metà del Novecento.
    immagine elaborata: nelle risaie - l'ora della colazione

    Per fare le mondine molte giovani donne partivano da casa per stabilirsi in un altro luogo. L’attività si svolgeva per 40 giorni all’anno, alla fine della primavera: nel mese di maggio le mondine stavano immerse nell’acqua fino al ginocchio, con le braccia e le mani bagnate, soffrendo il freddo; nei mesi di giugno e luglio dovevano sopportare un caldo eccessivo ed i miasmi, gli insetti e i vermi. Caldo e freddo, posizioni che creavano indolenzimento, gambe macerate dal bagno prolungato, febbri malariche, alimentazione deficitaria, abitazioni povere rendevano le risaiole precocemente vecchie e deperite.

    Un romanzo del 1878 -" In risaia" della Marchesa Colombi - descrisse queste misere condizioni e diventò celebre, poiché servì ad aprire il dibattito sul lavoro delle donne.
    Per il resto dell’anno queste donne erano occupate in altri lavori precari e stagionali. Nonostante il periodo limitato, era la monda del riso, però, il lavoro che le caratterizzava, che le faceva definire “Mondine” e che ne costruì la coscienza. Queste donne, infatti, lavoravano fianco a fianco, condividevano un’esperienza di lavoro dura e rapporti aspri con i proprietari e con i caporali che sfociavano anche in conflitti acuti, facevano delle esperienze che contribuirono a trasformare l’identità femminile, a creare un forte sentimento sociale e la consapevolezza della propria condizione ed individualità. Tutto ciò permise alle mondine di essere protagoniste dei primi scioperi dell’epoca per ottenere miglioramenti salariali. Il primo sciopero delle risaiole risalì al 1883 a Molinella, nel 1886 si ebbe un’altra astensione dal lavoro, molto vasta, a Medicina, con il coinvolgimento di 800 persone, a cui seguì lo sciopero del 1889, nello stesso luogo. Nel 1890 a Monselice vi fu un altro sciopero, ove tre donne furono uccise e 10 ferite gravemente, mentre molto estesa fu l’astensione dal lavoro del 1897, ancora a Molinella, ove 42 donne furono processate.
    Maria Provera

    Queste prolungate e durissime agitazioni per la riduzione dell’orario di lavoro, con epicentro l’Emilia, si conclusero nel 1912 con la conquista della giornata lavorativa di otto ore.
     
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  10. star***
     
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    E da allora siamo rimasti fermi a questo orario. Non ce ne rendiamo conto, ma piano piano ci stanno togliendo diritto che molte persone hanno conquistato a prezzo della loro vita e di un sacrificio economico per loro non indifferente. E noi? Ci stanno togliendo tutto, adesso nel nostro nuovo contratto ci tolgono, dopo la quinta volta che ti ammali in un anno, il pagamento dei primi tre giorni di malattia. Così si va a colpire sempre le persone più deboli, che magari possono passare un periodo di difficoltà di salute, e noi che facciamo le penalizziamo. E' vero che ci può essere gente che se ne approfitta, anche se in questo periodo non mi sembra che ci siano persone che se ne approfittino. Anzi è il contrario. Per non parlare dei contratti a proggetto, dei soci delle cooperative.....scusate sono arrabbiata, ma non per me, ma per il fatto che si colpiscono i più deboli. L'inps non può pagare le malattie, ma può permettere a certi signori di usare i contratti di solidarietà per migliorare gli introiti aziendali e diminuire il costo del lavoro.
     
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  11. houccisotoniocartonio
     
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    e' uno scandalo, tra l'altro mi hai fatto venire in mente il caso dell'ex moglie di mio cugino.
    allora, questa ragazza che ha circa trent'anni e una bambina di sette anni, lei ha una malattia cronica del midollo per cui si seve sottoporre ogni mese a trapianti di midollo (o trasfusioni, non mi ricordo bene) perchè il suo non produce i globuli bianchi. il tutto in un ospedale a genova, lei abita sola con la bimba in un paese a 15 kilometri da brescia, e ci deve andare in treno perchè poche volte mio cugino riesce ad accompagnarla per via del lavoro - è sfruttato pure lui.
    fatto sta che ovviamente questi trapianti e la malattia in sè la debilitano tantissimo ed è spesso ammalata.
    lei lavora in magazzino al supermercato, ci lavora da 10 anni circa e non l'hanno mai minimamente promossa o avanzata di livello. una volta vedendo persone assunte da meno tempo di lei che venivano promosse si è lamentata col superiore chiedendo quando avrebero promosso anche lei, lui le ha risposto che la stavano ancora tenendo d'occhio, cioè la controllano e aspettano che stia a casa quel giorno in più per licenziarla. così è costretta a contare i giorni che sta a casa e spesso deve andare al lavoro anche se non potrebbe.
    la sera poveretta torna a casa morta, ovviamente per tutti questi motivi fa anche fatica con la bambina. per fortuna con mio cugino e i miei zii è in buoni rapporti e la aiutano, ma se era completamente sola, che faceva?
     
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  12. star***
     
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    Ciao, ma non le hanno dato la legge 104? Io ho varie persone che conosco e che purtroppo stanno male e hanno richiesto la legge 104 e possono lavorare due ore in meno al giorno, oppure possono stare a casa tre giorni al mese. Percependo lo stesso stipendio che è coperto dall'INPS. E poi se fanno terapie particolari per cui si assentano dal lavoro sono considerate salva vita quindi non sono contate nella malattia. Immagino che abbia il contratto del commercio e quindi anche lei rientra in queste nuove modalità per la malattia.
    Inoltre con la legge 104 hai la possibilità di iscriverti al collocamento speciale perchè la aziende devono assumere un tot di persone invalide in base al numero di dipendenti. Quindi in genere si riescono a trovare anche dei lavori migliori, perchè alle aziende servono persone che siano invalide, per rientrare in questa percentuale. Però è uno schifo, con la miriade di falsi in validi che ci sono poi le persone che ne hanno bisogno invece non sono aiutate.
    Vabbè un abbraccio
     
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11 replies since 18/3/2008, 11:37   619 views
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