Disilludersi sul essere speciali

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  1. Colubro
     
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    Io sono scettico quando si parla di "specialità."
    Se tutti sono speciali, se tutti sono unici... dove sta la specialità? Dove l'unicità?
    Io la vedo come vedo i fiocchi di neve: sì, tutti di forme diverse all'apparenza e tutti composti ugualmente da acqua allo stato solido.
    Secondo me, continuando sulla scia della similitudine nevosa, ciò che provoca malessere è dimenticarsi dell'acqua congelata: concentrandosi sulle forme, ci si sente "sconnessi" e ci si concentra sull'aspetto apparente della questione: del resto, lo stesso OP afferma:

    CITAZIONE
    La mia introversione mi ha portato durante l'adolescenza a giustificare la mia sensazione di diversità con quella di sentirmi un essere speciale.

    Quando, secondo me, non c'era nulla da giustificare :)
     
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  2. Yorick75
     
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    CITAZIONE (Colubro @ 24/6/2013, 12:08) 
    Io sono scettico quando si parla di "specialità."
    Se tutti sono speciali, se tutti sono unici... dove sta la specialità? Dove l'unicità?
    Io la vedo come vedo i fiocchi di neve: sì, tutti di forme diverse all'apparenza e tutti composti ugualmente da acqua allo stato solido.
    Secondo me, continuando sulla scia della similitudine nevosa, ciò che provoca malessere è dimenticarsi dell'acqua congelata: concentrandosi sulle forme, ci si sente "sconnessi" e ci si concentra sull'aspetto apparente della questione: del resto, lo stesso OP afferma:

    Un po' lo capisco questo tuo scetticismo. Sembra una così detta così, come palliativo. Ma a pensarci bne, ha un significato. Così come i nostri corpi, anche se abbiamo caratteristiche uguali - due gambe, due braccia, etc - sono sempre diversi, così le nostre menti - e di conseguenza le nostre personalità, il modo di vivere, etc - sono sempre diverse tra di loro, anche se ci sono dei meccanismi di funzionamento uguali. Ognuno di noi è un po' un pezzo di artigianato, più che un prodotto industriale. Anche se poi, in generale, si tende più a voler rientrare nel secondo tipo che valorizzare il primo.
     
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  3. sennceacqualapaperanngalleggia
     
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    CITAZIONE (DariotheFox @ 18/5/2013, 13:15) 
    (...)
    Ma la natura rimane quella, la tendenza ha cercare nel mondo quel posto quel lavoro quell'arte che soddisfi il mio Io Ideale, anche a dispetto del mio Io Reale che non è in grado di soddisfarlo.
    (...)
    Mo il mio inconscio e il mio subconscio non ne sono tanto convinti e anche se raggiungo un certo controllo appena abbasso la guardi ritorno sempre agli stessi errori.

    Quindi mi sembra di capire che il tuo "Io reale" aneli ancora al raggiungimento della condizione dell' "Io ideale", anche se per il fatto di utilizzare queste definizioni credo tu vorresti far intendere di aver capito chi sei e chi non sei: la distinzione però è più labile e confusa nella vita reale, e oltretutto un "Io ideale", se vissuto in una certa maniera, può anche essere uno sprone per l' automiglioramento ...

    In ogni caso secondo me dovresti riuscire a capire (se non ci sei già arrivato) che cosa esattamente ti piace così tanto di questo irrealistico "Io ideale" e perchè; se non riesci a metterlo da parte è perchè evidentemente ne sei ancora attratto. Finchè ne sarai ancora attratto non lo accantonerai facilmente.
     
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  4. francescoburich
     
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    Più ke di Io-ideale, dovremmo parlare di ideale dell'io ke fa riferimento ad un'aspirazione a viversi meglio la propria condizione. La prima premessa è l'accettazione del proprio modo di essere autentico. Dal mio punto di vista e rispetto alla mia esperienza da introverso frustrato ke come molti ho vissuto, negli introversi il Bisogno d'individuazione, quindi di migliorarsi ha un valore massimale. Altrimenti le depressioni sono la diretta conseguenza. Un abbraccio, francesco
     
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  5. Luigintro
     
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    CITAZIONE (DariotheFox @ 18/5/2013, 13:15) 
    La mia introversione mi ha portato durante l'adolescenza a giustificare la mia sensazione di diversità con quella di sentirmi un essere speciale.

    Quel filtro mentale che avevo creato, mi ha portato ad enfatizzare i miei successi, e rinforzare l'idea che sarei stato destinato a grandi cose.

    Con l'entrare nel mondo adulto (ho 26 anni) la vita mi ha fatto aprire gli occhi e con tutte le mie forze (e lo studio privato della psicologia e della pratica del buddismo)sono riuscito a scardinare quel gommoso muro del mio IperEgo.

    Ma la natura rimane quella, la tendenza ha cercare nel mondo quel posto quel lavoro quell'arte che soddisfi il mio Io Ideale, anche a dispetto del mio Io Reale che non è in grado di soddisfarlo.

    E la cosa più estenuante è che in questo conflitto non mi godo niente non vivo niente ne i miei successi, perchè mai abbastanza e nemmeno l'esperienze più costruttive perchè non vivo nel presente.

    Ora ho la piena e razionale convinzione conscia che cercare la "normalità" sia il modo migliore per godere appieno la vita ed avere una vera vita "speciale".

    Mo il mio inconscio e il mio subconscio non ne sono tanto convinti e anche se raggiungo un certo controllo appena abbasso la guardi ritorno sempre agli stessi errori.

    Ti capisco, ma fai attenzione, che la tua idea di normalità non sia a sua volta un'illusione.
    Io,come te non ho ancora trovato il Mio posto nel mondo. Non che debba essere un posto in cui fare "grandi cose", ma semplicemente un posto dove la mia personalità si senta a casa. Mi riferisco principalmente ad un posto di lavoro.
    Non mi ritengo speciale, ma diverso dai molti si. Vedo in me grandi potenzialità, grandi doti innate (intelligenza,sensibilità,manualità,precisione...) e non riesco ad introdurle nel mondo, non riesco a metterle a frutto nella società. Vivo con la costante sensazione da "treno perso" visto che ho già trent'anni (che oggi non sono tanti, ma neanche pochi).
    Così ho pensato come te negli anni passati: sforzarmi di vivere da normale. Ovvero sforzarmi di essere efficiente sul lavoro(che non mi piace) e sforzarmi di ritrovare una "normalità" sociale, iniziare a considerare gli altri miei "aneliti" come delle mie fantasticherie da eliminare. E pensando che dalla loro eliminazione avrei trovato un po' di pace. Ti dirò che un po' funziona, ma alla fine l'insoddisfazione resta. Una parte di me tende sempre a qualcos'altro, e anche se mi sforzo di considerare questo tendere un capriccio, alla fine bene non riesco a stare.
     
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  6. Madamadore
     
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    Ho seguito questa conversazione con molto interesse e voglio dire la mia. Io credo che la parola "normale" sia un termine vuoto, privo di significato. Normale ha in sé la parola Norma ma è un termine relativo, come la media matematica. La normalità è la media dei comportamenti di una determinata collettività ed una medesima condotta, applicata in due contesti diversi può non essere percepita al medesimo modo.
    In quanto numero, la mia condotta ha il medesimo valore degli altri ma il diverso replicarsi di un comportamento determina un diverso grado di accettazione. Modi di fare, pensieri, comportamenti possono dar luogo ad esiti diversi. Come introversa d'oro ho dovuto lottare costantemente per accettare questo pensiero. Non intendo giustificare il mio comportamento ma se è vero che la condotta accettabile è quella della maggioranza, il non coincidere pienamente non significa per forza essere in torto. Ho provato ad adeguarmi in passato ma non ero felice, così come non ero felice perché ero diversa. Dopo una serie di delusioni, sto accettando queste cose: che io sono così come sono e che ho il diritto ad esserlo. Ritenere la mia natura un problema perché fuori dal coro e tentare di adattarla, soffocando la mia differenza, non mi garantirà meno dolori. Non posso soffocare i miei interessi e le mie passioni, i miei sentimenti e bisogni, solo perché non si trovano nella maggioranza.
    Io non sono speciale. Sono solo una tra tanti ma se devo soffrire, preferisco farlo assecondando la mia natura. Anche fingendo di essere una persona più vicina ai canoni, rinunciando ad una parte di me, non sarei comunque felice. Il mio essere sarà la sola cosa che porterò con me per sempre, comunque vada e alla quale dovrò rendere conto.
     
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  7. Julian Carax19
     
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    CITAZIONE (Madamadore @ 25/2/2016, 17:21) 
    Ho seguito questa conversazione con molto interesse e voglio dire la mia. Io credo che la parola "normale" sia un termine vuoto, privo di significato. Normale ha in sé la parola Norma ma è un termine relativo, come la media matematica. La normalità è la media dei comportamenti di una determinata collettività ed una medesima condotta, applicata in due contesti diversi può non essere percepita al medesimo modo.
    In quanto numero, la mia condotta ha il medesimo valore degli altri ma il diverso replicarsi di un comportamento determina un diverso grado di accettazione. Modi di fare, pensieri, comportamenti possono dar luogo ad esiti diversi. Come introversa d'oro ho dovuto lottare costantemente per accettare questo pensiero. Non intendo giustificare il mio comportamento ma se è vero che la condotta accettabile è quella della maggioranza, il non coincidere pienamente non significa per forza essere in torto. Ho provato ad adeguarmi in passato ma non ero felice, così come non ero felice perché ero diversa. Dopo una serie di delusioni, sto accettando queste cose: che io sono così come sono e che ho il diritto ad esserlo. Ritenere la mia natura un problema perché fuori dal coro e tentare di adattarla, soffocando la mia differenza, non mi garantirà meno dolori. Non posso soffocare i miei interessi e le mie passioni, i miei sentimenti e bisogni, solo perché non si trovano nella maggioranza.
    Io non sono speciale. Sono solo una tra tanti ma se devo soffrire, preferisco farlo assecondando la mia natura. Anche fingendo di essere una persona più vicina ai canoni, rinunciando ad una parte di me, non sarei comunque felice. Il mio essere sarà la sola cosa che porterò con me per sempre, comunque vada e alla quale dovrò rendere conto.

    Non posso non essere d'accordo. Ma stai attenta che una forte individuazione può essere anche un contro, perché prima o poi il bisogno di appartenenza si fa sentire forte. Bisogna tener conto dei due poli. Ma già evitare di registrarti su un falso IO ti rende più forte nell'esplorare il senso di appartenenza.
     
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21 replies since 18/5/2013, 13:15   1217 views
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