Il buon uso della sofferenza

Mistificazione e demistificazione

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  1. lanepeta
     
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    Codice deontologico per introversi (giovani e meno giovani)
    1. Non piangersi addosso. Il narcisismo della sofferenza non serve a nulla.
    2. Non limitarsi a dire “quanto sto male”: il dolore non è una quantità, ma una qualità (un vissuto emozionale).
    3. Chiedersi sempre (e solo) “perché sto male”. Non esiste il male oscuro: l'oscurità è il limite della comprensione.
    4. Non credere alla prima risposta, che di solito è stereotipica (tipo: il mondo fa schifo).
    5. Idem con la seconda (nessuno mi si fila), la terza (i miei non mi capiscono), la quarta (ho bisogno d’affetto), ecc.
    6. Arrivare al fondo dei luoghi comuni sul malessere (sono una decina).
    7. Prendere atto che la risposta giusta è: “non lo so”.
    8. Dare credito alla formula aurea secondo la quale non lo so significa non so di sapere (vale a dire non voglio saperne di sapere).
    9. Assumere a colpo sicuro il malessere come una protesta dell’inconscio contro un amministratore (l’Io) che, non accettando i vincoli del suo ruolo, intende spadroneggiare sul patrimonio che gli è affidato.
    10. Dare per scontato che, in genere, non si sta male perché si è introversi, bensì perché non si sopporta di essere tali e si fanno carte false per giustificare la volontà di cambiare (per esempio esasperando la sofferenza fino al punto di dire: “come posso accettare ‘sta cosa se mi fa stare così?”).
    11. Prendere atto (e ricordarselo per tutta la vita) che la sensibilità, l’intelligenza, la cultura non pongono automaticamente al riparo dalla tendenza dell’Io ad ingannare sistematicamente se stesso (inganno inconsapevole=mistificazione).
    Il codice è eracliteo (oscuro). Funziona solo per chi ha orecchi da intendere. "Guarire" è null'altro che (!) un processo di demistificazione. Se dura tutta la vita (lo dico per esperienza), non porta alla saggezza: riduce solo, e di poco, il tasso di universale stupidità...
    Luigi Anepeta

    Edited by lanepeta - 23/9/2007, 14:21
     
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  2. Paolo55
     
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    “La Natura ama nascondersi” (physis kryptesthai philei)
    “Di questo logos che è sempre non intendono gli uomini né prima di udirlo né quando una volta lo hanno udito e per quanto le cose si producano tutte seguendo questo logos, è come se non ne avessero alcuna esperienza”
    “Nello stesso fiume entriamo e non entriamo, siamo e non siamo”
    “Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada”
    "Questo cosmo né alcuno degli dei lo fece né alcuno degli uomini, ma fu sempre ed è e sarà, fuoco di eterna vita, che si accende con misura e si spegne con misura"
    Eraclito
     
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  3. lanepeta
     
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    Il riferimento ad Eraclito era più che altro ironico (anche se si è trattato di sicuro di uno dei primi introversi che hanno lasciato il segno sulla cultura). Aggiungerei comunque, alle tue, due citazioni che mi sembrano pertinenti:
    "La trama nascosta è più forte di quella manifesta"
    "La strada all'in su e all'in giù è una sola e la medesima".
    Quest'ultima, in particolare, che sembra scritta apposta per quelli che soffrono di alti e bassi, nella sua apparente ovvietà, contiene una verità così densa che occorrono anni per capirla.
    Luigi Anepeta

    Edited by lanepeta - 25/9/2007, 07:23
     
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  4. maria rossi
     
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    quali sono i dieci luoghi comuni sul malessere?
     
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  5. lanepeta
     
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    Ho buttato lì dieci per dire che sono parecchie, non perché avessi in mente la tabellina. Probabilmente sono anche di più, dato che la “creatività” della coscienza sul piano della mistificazione è (quasi) senza limite.
    L’high parade delle più frequenti (a occhio e croce) è la seguente:
    il mondo fa schifo
    nessuno mi si fila
    i miei non mi hanno mai capito-a
    ho un bisogno disperato d’affetto
    nessuno al mondo mi capisce
    sono nato-a sbagliato-a
    la famiglia mi ha distrutto
    è il passato che mi ossessiona
    le ho provate tutte, ma nessuna ha funzionato
    al mio cervello manca una sostanza chimica
    Qua e là (escluse la sesta e la decima) ci può essere anche un granello di verità. Un granello però…
    Luigi Anepeta
     
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  6. maria rossi
     
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    ok. non restiamo attaccati "stretti stretti" al nostro naso.
    che il nostro cervello e i nostri stati emotivi non siano più così contratti e rattrappiti a ricercare cause e condanne private,domestiche da cortile. ok, va bene.
    distendiamo gli arti. alziamo gli occhi. allarghiamo l'orizzonte di attese ed esploriamo nuovi "lidi" (haha!) uscendo fuori dal tormentato dramma personalistico dove attori e spettatori sono interpretati sempre dalla medesima persona ed il finale è sempre lo stesso!
    non crogioliamoci nell'autolesionismo da riporto. sono d'accordo.

    infondo se "nulla si crea e nulla si distrugge" tutto questo pacco di dolore e sofferenza non l'abbiamo inventato noi giovani ultimi arrivati.ce lo ciucciamo perchè ce lo ritroviamo già qui al nostro arrivo!! se lo porta la specie umana tutta (con i nostri genitori,nonni,avi, compresi certamente!) da parecchio tempo,forse da sempre! e quindi il nostro è solo un ulteriore nuovo "ciclo di gestione" di questa mole dolorosa che ognuno di noi si ritrova impacchettata alla nascita con tutto il resto. (certo non a tutti nella stessa quantità o qualità,questo è vero ma poco incide con quanto detto finora.) e allora vediamo come è andata fino ad oggi e come potrebbe andare ancora...come altri essere umani prima di noi abbaino riflettuto su questa storia, come l'anno risolta-se l'hanno risolta!- e che cosa potremmo aggiungere noi a riguardo!
    va bene,ok.
    ma che il mondo faccia obbiettivamente un pò schifo,io, non riesco a non pensarlo!

    m'aria
     
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  7. lanepeta
     
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    Dalla recensione, pubblicata su Nil alienum, di un saggio metodologico di M. Block (Apologia della storia) riporto questa citazione:
    “Giudicare o comprendere? è il titolo del primo capitolo. Un tema infinitamente suggestivo se si tiene conto che l'attività interpretativa di ogni soggetto è naturalmente incline a privilegiare, con una sorta di automatismo, il giudizio rispetto alla comprensione. I soggetti affetti da disagio psichico, da questo punto di vista, sono particolarmente a rischio. Nonostante una sensibilità quasi sempre viva e un'intelligenza non di rado acuta, essi inclinano, consciamente e inconsciamente, a giudizi rigidi e inappellabili su di sé e sugli altri.
    Se la tendenza al giudizio è propria della mente umana, e se chi soffre è particolarmente esposto al rischio di identificare, dentro o fuori di sé, un colpevole della sofferenza, come si può giungere all'imparzialità, vale a dire ad un giudizio più equo?
    Bloch scrive:"Ci sono due modi di essere imparziali: quello dello studioso e quello del giudice. Essi hanno una radice comune: l'onesta sottomissione alla verità... Eppure ad un certo punto le loro strade divergono. Quando uno studioso ha osservato e spiegato, ha concluso il suo compito. Al giudice tocca ancora di dare la sua sentenza. facendo tacere ogni simpatia personale. Egli la pronuncia secondo la legge? Allora si reputerà imparziale. e, infatti, lo sarà, almeno secondo la misura dei giudici. Ma non secondo quella dei dotti. Infatti non si può condannare o assolvere senza prendere partito per una tavola di valori che non deriva da nessuna scienza positiva." (pp.123-124)
    E aggiunge:" Malauguratamente, a forza di giudicare, si finisce, quasi fatalmente, per perdere persino il gusto di spiegare. siccome le passioni del passato mescolano i loro riflessi ai preconcetti del presente, la realtà umana non è più che un quadro in bianco e nero." (p.125)
    C'è un rimedio? Bloch ne suggerisce uno: comprendere appunto: "Parola, non nascondiamocelo, gravida di difficoltà, ma anche di speranze. Soprattutto, carica di amicizia... Non comprendiamo mai abbastanza. Colui che differisce da noi - straniero, avversario politico - passa, quasi necessariamente, per un malvagio... La storia deve aiutarci a guarire di questo difetto." (p.127)
    Ecco infine a che serve la storia: a privilegiare la comprensione rispetto al giudizio, o meglio a far discendere il giudizio da una comprensione sempre più profonda dei fatti umani. Tutti gli uomini hanno bisogno di una "cura" del genere. La psicoterapia non può prescindere da essa se non a patto di tradire la sua vocazione e il suo senso. Ne ha bisogno soprattutto la psichiatria, ferma ai suoi terribili giudizi nosografici nei quali risuona, troppo spesso, un difetto totale di comprensione della realtà umana. Affascinata dalla causalità biologica, essa incorre sistematicamente in un errore metodologico. Tale errore, rilevato da Bloch nel campo della storiografia, è estensibile a qualunque scienza umana:"La superstizione della causa unica, in storiografia, è molto spesso la forma insidiosa della ricerca di un responsabile; quindi di un giudizio di valore... Pregiudizio del senso comune, postulato del logico o mania del giudice istruttore, il monismo della causa unica è per la spiegazione storica soltanto una fonte di imbarazzo. Essa cerca treni d'onde causali e non si spaventa, poiché la vita li mostra così, di trovarli multipli." (p. 163)”
    Aggiungo, e non è superfluo, che Block ha scritto queste pagine nel 1941, dopo l’invasione nazista della Francia, nel periodo stesso in cui decideva di entrare nelle file della resistenza. Scelta che gli costerà la vita (morirà fucilato nel 1944).
    Avrebbe avuto tutte le ragioni, tenendo conto di ciò che stava avvenendo, di esprimere il disgusto nei confronti del mondo. Lo ha fatto praticamente, senza rinunciare al bisogno critico di comprendere. Una testimonianza – la sua – ancora oggi commovente, sulla quale non si finirà mai di riflettere.
    Nil alienum, nil alienum…
    Luigi Anepeta



     
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  8. houccisoilariadusieleièrisorta
     
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    CITAZIONE (lanepeta @ 23/9/2007, 06:49) 
    Codice deontologico per introversi (giovani e meno giovani)
    1. Non piangersi addosso. Il narcisismo della sofferenza non serve a nulla.
    2. Non limitarsi a dire “quanto sto male”: il dolore non è una quantità, ma una qualità (un vissuto emozionale).
    3. Chiedersi sempre (e solo) “perché sto male”. Non esiste il male oscuro: l'oscurità è il limite della comprensione.
    4. Non credere alla prima risposta, che di solito è stereotipica (tipo: il mondo fa schifo).
    5. Idem con la seconda (nessuno mi si fila), la terza (i miei non mi capiscono), la quarta (ho bisogno d’affetto), ecc.
    6. Arrivare al fondo dei luoghi comuni sul malessere (sono una decina).
    7. Prendere atto che la risposta giusta è: “non lo so”.
    8. Dare credito alla formula aurea secondo la quale non lo so significa non so di sapere (vale a dire non voglio saperne di sapere).
    9. Assumere a colpo sicuro il malessere come una protesta dell’inconscio contro un amministratore (l’Io) che, non accettando i vincoli del suo ruolo, intende spadroneggiare sul patrimonio che gli è affidato.
    10. Dare per scontato che, in genere, non si sta male perché si è introversi, bensì perché non si sopporta di essere tali e si fanno carte false per giustificare la volontà di cambiare (per esempio esasperando la sofferenza fino al punto di dire: “come posso accettare ‘sta cosa se mi fa stare così?”).
    11. Prendere atto (e ricordarselo per tutta la vita) che la sensibilità, l’intelligenza, la cultura non pongono automaticamente al riparo dalla tendenza dell’Io ad ingannare sistematicamente se stesso (inganno inconsapevole=mistificazione).
    Il codice è eracliteo (oscuro). Funziona solo per chi ha orecchi da intendere. "Guarire" è null'altro che (!) un processo di demistificazione. Se dura tutta la vita (lo dico per esperienza), non porta alla saggezza: riduce solo, e di poco, il tasso di universale stupidità...
    Luigi Anepeta

    volevo solo far ritornare in auge questa discussione :)
     
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  9. houccisoilariadusieleièrisorta
     
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    10. Dare per scontato che, in genere, non si sta male perché si è introversi, bensì perché non si sopporta di essere tali e si fanno carte false per giustificare la volontà di cambiare (per esempio esasperando la sofferenza fino al punto di dire: “come posso accettare ‘sta cosa se mi fa stare così?”).

    questa è quella che preferisco

     
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  10. tandream
     
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    CITAZIONE (houccisoilariadusieleièrisorta @ 30/10/2012, 20:41) 
    10. Dare per scontato che, in genere, non si sta male perché si è introversi, bensì perché non si sopporta di essere tali e si fanno carte false per giustificare la volontà di cambiare (per esempio esasperando la sofferenza fino al punto di dire: “come posso accettare ‘sta cosa se mi fa stare così?”).

    questa è quella che preferisco

    Già, è quella che ho sottolineato mentalmente anch'io mentre leggevo i punti... alcuni andrebbero spiegati un po' meglio.
     
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  11. JanQuarius
     
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    Io personalmente come buon inizio, iniziai a scrivere... :)
     
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  12. crox
     
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    Sarà che stasera sono sul depresso andante, ma secondo me l'elenco del dottore semplifica troppo. Alcune dovrebbe spiegarle meglio. Sono d'accordo sul fatto che piangersi addosso serva a ben poco, ma da qui ad affermare che alcune cause del malessere siano luoghi comuni....

    CITAZIONE
    Chiedersi sempre (e solo) “perché sto male”. Non esiste il male oscuro: l'oscurità è il limite della comprensione

    Su questo sono d'accordo. Infatti conosco perfettamente le cause della mia sofferenza e riguardano la vita concreta, nulla di metafisico e oscuro. Purtroppo alcune cose non si possono modificare, è questo che mi fa star male. Non so, probabilmente esiste un'altra via d'uscita. la sto cercando.

    CITAZIONE
    Assumere a colpo sicuro il malessere come una protesta dell’inconscio contro un amministratore (l’Io) che, non accettando i vincoli del suo ruolo, intende spadroneggiare sul patrimonio che gli è affidato.

    Quì sono d'accordo. Tuttavia dipende dalle situazioni poiché in alcuni casi, come detto sopra, la sofferenza ha radici 'materiali' che non si possono modificare. Questo è insopportabile (stasera sono ottimista :emoticon-0100-smile.gif: ).

    CITAZIONE
    Dare per scontato che, in genere, non si sta male perché si è introversi, bensì perché non si sopporta di essere tali e si fanno carte false per giustificare la volontà di cambiare (per esempio esasperando la sofferenza fino al punto di dire: “come posso accettare ‘sta cosa se mi fa stare così?”).

    Anche secondo me questa è la più interessante. Mi viene in mente uno dei leitmotiv di mio padre:“Il mondo è dei mediocri”.
    Molti introversi si reputano mediocri proprio perché non riescono a raggiungere la 'normalità', ovvero la mediocrità. E' un paradosso: stanno male perché vorrebbero essere dei mediocri ma la natura glielo impedisce e allora sorge il disagio. E' un bel circolo vizioso.
     
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  13. crox
     
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    Forse mi sono espressa male.

    La sofferenza psichica è sempre causata da qualcosa di esterno (materiale e non). Quindi la causa del malessere è esterna all'individuo (inevitabilmente).
    Credo che il dottore con l'espressione 'male oscuro' si riferisse agli effetti che situazioni del mondo esterno (materiale e non) producono sul mondo interiore degli individui. Il male oscuro sono quindi gli effetti interiori (squilibrio tra super-io e io-antitetico) e non le cause esterne (più facilmente conoscibili).

    Ora i conti tornano... :mf_megaphone.gif:

    Ieri leggendo questo elenco mi sono incazzata perché mi sono venute in mente persone che hanno vissuto situazioni concretamente difficili (ad esempio minori in comunità e altre situazioni drammatiche). In questi casi non penso che le cause esterne del malessere siano dei luoghi comuni (il bisogno d'affetto, etc.)!

    Spero di essermi spiegata meglio.. Ora posso andare a fare l'esame di tecniche del colloquio con più tranquillità..
    Questo mezzo di comunicazione mi mette ansia. Ho sempre paura che si creino fraintendimenti.
     
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  14. houccisoilariadusieleièrisorta
     
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    ma non preoccuparti :) pure ci si dovesse fraintendere, non succede nulla.

    (ps. spero ti sia andato bene, l'esame!)
     
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  15. JanQuarius
     
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    Non so se può esser utile il mio intervento. Credo che non sempre piangersi addosso sia un fatto negativo. Poi, dipende cosa capisce uno dal detto "piangersi addosso". Se una persona sta male e non può raccontarlo a nessuno, le mancano le forze per continuare diversamente, si piange addosso perchè quella è l'unica soluzione per sfogarsi. Si può mai chiamare una reazione naturale una debolezza? Debolezza è se il piangersi addosso non è conseguenza da sofferenze vere subite.

    Sarei comunque curioso di capire il senso di quel "piangersi addosso"? Che significato gli attribuite voi?
     
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23 replies since 23/9/2007, 05:49   1279 views
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