Martirologio

Le vittime dell'introversione

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  1. lanepeta
     
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    Occhi pensosi

    Un ragazzino di 14 anni è stato trovato morto a Ischia (Napoli), impiccato. I genitori avevano denunciato la scomparsa di D. G. alla polizia, ieri, nel pomeriggio. In serata gli agenti del commissariato hanno ritrovato il corpo del quattordicenne in un terreno non distante dalla casa in cui viveva con la famiglia. Gli inquirenti non hanno dubbi sul fatto che si tratta di un suicidio. Il ragazzo frequentava il liceo classico di Lacco Ameno. Davanti ai soccorritori, la madre, nella disperazione, ha detto che il figlio veniva preso in giro a scuola. Secondo le prime ricostruzioni il ragazzino, sarebbe stato più volte deriso dai compagni per la sua "eccessiva bravura" grazie ad un media del 9 conseguita in diverse materie. In particolare, il ragazzino si era candidato alle elezioni come rappresentante di classe, e non aveva ricevuto neppure un voto dai suoi compagni, che lo consideravano «un secchione». Il 14enne aveva parlato alla madre di questa sua forte delusione. Gli inquirenti hanno ascoltato alcuni dei suoi insegnanti, che lo descrivono come «una perla della scuola, dagli occhi pensosi...».
    Gli occhi pensosi di D. evocano la meraviglia di un essere sollecitato dagli adulti a fare il suo dovere e a vivere virtuosamente, che, proprio per questo, viene deriso e umiliato dai coetanei che leggono, nel rispetto dell’Autorità, il segno di un’insopportabile legame di soggezione e di amore nei confronti dei Grandi.
    La vicenda, purtroppo, è passata in secondo piano sulla stampa in rapporto al delitto commesso da un rumeno.
    Ci sono pochi dubbi riguardo al fatto che quest’ultimo evento occuperà per giorni le pagine di cronaca e rimarrà impresso nell’immaginario collettivo. Del secondo non si avranno ulteriori notizie. C’è solo da sperare che non venga fuori qualche psichiatra a diagnosticare l’esplosione a ciel sereno di una depressione genetica.
    All’oblio D. sarebbe potuto scampare solo se, anziché rivolgere la rabbia contro di sé, avesse imbracciato una pistola e fatto fuori due-tre compagni di classe. Non sarebbe stato giusto ovviamente perché i persecutori non erano in grado di valutare le conseguenze delle loro prese in giro. Il gesto, però, avrebbe sicuramente attivato l’interesse della stampa e dell’opinione pubblica.
    L’omicidio, specie se agito da un immigrato, fa cronaca. Il suicidio di un adolescente, anche se maturato a causa di una “persecuzione”, è solo un evento triste.
    Non sorprende (purtroppo) che la disperazione legata all’emarginazione esploda in forme di aberrante violenza, attraverso la quale un soggetto di fatto socialmente impotente afferma il suo potere di morte su di una donna indifesa.
    Sorprende, invece, il tasso di violenza implicito nei rapporti quotidiani a livello scolastico, laddove, come nel caso in questione, la colpa di un soggetto è di fare il suo dovere.
    Si può diventare “mostri” per inciviltà, ignoranza, miseria, esasperazione, ma si può anche rimanere vittime di un modo di essere virtuoso. La nostra società non sopporta gli eccessi nel male e nel bene.
    Né troppo cattivi né troppo buoni: è questa la formula della normalità?
    Luigi Anepeta

    Questi i commenti su Repubblica (2. 11.2007)

    IRENE DE ARCANGELIS

    Lo spoglio dei voti va avanti e sul volto di Diego, 14 anni, i segni della delusione sono sempre più evidenti. Ci contava, su quell´elezione a rappresentante di classe, la quinta ginnasio del liceo classico "Scotti" di Ischia. Voleva essere il punto di riferimento dei suoi compagni, ma sui biglietti raccolti nel berretto sul banco il suo nome era stato scritto una volta sola accanto a parole di beffa. Per Diego è una sconfitta atroce. Torna a casa e, poco dopo, si stringe una corda intorno al collo. Si impicca a un albero vicino casa.
    Viveva per la scuola e per lo studio, l´adolescente che il prossimo 5 novembre avrebbe compiuto 15 anni. Dal suo grande amore è arrivato invece il colpo basso che lo ha spinto al suicidio. Malessere di un´età difficile, ma anche, da quel berretto con le preferenze dei compagni, l´improvvisa, traumatica presa di coscienza di non essere accettato, ammirato dai suoi coetanei con i quali trascorreva gran parte del suo tempo. «La scuola mi dovrà rendere conto di quello che è successo a mio figlio», è il disperato sfogo della madre di Diego all´uscita dal commissariato di polizia. Perché per la donna il disagio di Diego, il suo essere diverso dai compagni, non era mai stato avvertito o preso in considerazione dai docenti. Anche loro interrogati, pure loro sconvolti. Perché quello di Diego è il quarto suicidio di uno studente al classico "Scotti" in tredici anni.
    Lo scontro tra sensibilità diverse. Diego, famiglia di alta borghesia, un nonno materno noto studioso delle proprietà terapeutiche delle acque termali, viveva tra scuola e casa. Nel tempo libero scriveva favole e racconti. Figlio unico, era molto legato alla madre separata, da tre anni non aveva più notizie del padre residente a Roma. Per il resto solo scuola. La media del nove e la stima incondizionata dei professori. Ma non era così che lo vedevano i compagni. Per loro, vivaci adolescenti, Diego era un «secchione», uno che «pensava solo ai libri». Peggio, spiegano: «Era l´unico a entrare in classe quando facevamo sciopero. Un crumiro». Proprio i motivi per cui Diego non sarebbe mai stato eletto a rappresentante di classe. Eppure lui lo voleva fortemente. Così due giorni fa, davanti alla delusione saltata fuori dal berretto pieno di bigliettini, si è chiuso nel silenzio. Ma quando è tornato a casa si è sfogato con la madre, le ha manifestato tutta la sua delusione. «Stai tranquillo - le ha detto lei per calmarlo - Domani andrò a parlare con i professori».
    Poco dopo, mercoledì pomeriggio, Diego è rimasto solo a casa, in via Mezzavia, a Lacco Ameno. Non ha scritto un biglietto, non ha lasciato un messaggio sul computer. È uscito, ha percorso alcune decine di metri, si è stretto una corda intorno al collo. Si è impiccato. Quando la madre, rientrata nel tardo pomeriggio, non ha trovato Diego a casa, ha subito lanciato l´allarme. È stata proprio lei a trovarlo, due ore dopo. Senza vita. Disperata è tornata sui suoi passi, è corsa in casa per prendere un paio di forbici. Quindi ha tagliato la corda usata da Diego e lo ha adagiato per terra nella speranza di salvarlo. Ma il ragazzo, come accerterà il medico legale, era morto da almeno due ore.

    Marco Lodoli

    La notizia del suicidio di un quattordicenne dà così tanta pena da rendere quasi impossibile una riflessione: soltanto immaginare i pensieri e i sentimenti che hanno portato quel bambino verso la morte getta in un abisso spaventoso, in fondo a un pozzo dove si può solo gridare di rabbia e di dolore. Pare che fosse il primo della classe, che avesse tutti nove.
    E che per questo i compagni lo deridevano, lo tormentavano, lo escludevano. Pare sia questo il motivo del suicidio, anche se si fa fatica ad accettarlo.
    Vicino casa mia c´è la parrocchia di Sant´Angela Merici, e ogni volta che ci passo davanti leggo una targa fissata sul muro: ricorda una visita di Giovanni Paolo II, ricorda la sua esortazione a tendere sempre alla santità. Non ad essere buoni, non ad essere bravi cristiani, ma essere santi. Quest´invito all´eccellenza mi dà sempre un brivido. Non importa se crediamo o meno in Dio, ciò che importa è quanto oggi crediamo al superamento dei nostri limiti, alla tensione verso il meglio, alla nostra possibile trasformazione in esseri nobili, valenti, impegnati a raggiungere la nostra vetta. Sembra che oggi in Italia questa spinta a raddoppiare o triplicare i propri naturali talenti sia dimenticata: si punta alla sufficienza, al sei esistenziale, alla linea di galleggiamento. Certo, la vita è dura, faticosissima, è già mantenersi a galla è un´impresa: manca il lavoro, mancano le prospettive, le speranze. Però è anche vero che ogni tentativo di dare di più, di uscire dalla palude tiepida e tranquilla è osteggiato. I ricercatori sono costretti a emigrare verso le università tedesche o americane, le menti più aperte e curiose devono andarsene, oppure accettare la mediocrità, la piccola raccomandazione, l´invito a non alzare troppo la cresta. E chi a scuola vuole dare il massimo, rischia di venire sbeffeggiato e messo nell´angolo. Darsi da fare è inutile, se non nocivo. In fondo la televisione è piena di gente che non sa fare nulla e ottiene primi piani, denari a manciate, popolarità. E la politica raccoglie tante mezzecalze che chiacchierano a vuoto e se la passano alla grande. Perché fare di più? Solo per umiliare i pigri, per sbattere in faccia agli inetti il proprio impegno? Attento, pigri e inetti sanno come vendicarsi, come ridicolizzare i tuoi sforzi.
    Questa morte è atroce, ma può aiutarci a riconsiderare i valori di fondo della nostra società, a lavorare per un altro immaginario collettivo. Quel bambino finito così tragicamente deve essere un richiamo potente alla nostra coscienza, ricordare a tutti quanti che la vita ha un senso, ed è bella, solo se si dedica a quanto di meglio contiene e può esprimere: non dico alla santità o all´eccellenza assoluta, ma almeno a fare la propria parte fino in fondo, per non essere comparse scontente, rabbiose, ghignanti.


    MARINA CAVALLIERI

    Può cominciare tutto con una battuta, uno scherzo. Il pretesto può essere occasionale ma le conseguenze poi diventare infinite, dalla presa in giro si arriva alla persecuzione, dallo scherno si passa ad una guerra sottile. È una violenza sommersa, una situazione diffusa. In gergo si chiama «mobbing scolastico», è il tentativo da parte del gruppo di escludere o umiliare qualcuno percepito come capro espiatorio. Vittime possono essere i più bravi, quelli con problemi relazionali, o chi per qualche motivo è diverso, magari perché balbetta oppure perché non indossa le scarpe "giuste". «Siamo i genitori di S., una ragazza di 11 anni e di E., di 14 che frequentano la scuola media. Ci consideriamo fortunati rispetto altri genitori che hanno perso un figlio a causa del disagio subito in ambito scolastico. Infatti quando abbiamo trovato per caso una lettera di E. nelle quale minacciava il suicidio per quello che stava subendo abbiamo preferito farle cambiare subito scuola». Questa è solo una parte di una lunga lettera che si trova in uno dei tanti siti dove si confrontano esperienze di violenza a scuola, di mobbing in età evolutiva. Perché il ragazzo di Ischia non era solo.
    «Sono episodi che in forma più sfumata capita di vedere. Noi professori cerchiamo di intervenire, cominciamo dalle cose più semplici come cambiare i ragazzi di posto fino a parlarne con le famiglie», racconta Lucia Mosca, insegnante in una scuola media di Ostia, «una situazione abbastanza tranquilla», dopo tanti anni passati in un istituto di frontiera. «Un tempo la scuola aveva qualche strumento in più per combattere queste situazioni, c´è stato in questi anni troppo pietismo, troppo giustificazionismo, bisognerebbe sottolineare di più le responsabilità individuali. La comprensione è necessaria ma occorre mandare un messaggio chiaro: certe cose non si fanno altrimenti si dà adito agli altri di fare lo stesso». Bullismo, mobbing, termini nuovi per definire un disagio antico che oggi però si fa più fatica a comprendere, soprattutto a circoscrivere. «La maggiore difficoltà di relazione per i ragazzi è tra i 14 e i 17 anni», dice Lucia Baglio, insegnante in un istituto professionale di Roma. «I professori dovrebbero fare di tutto ma non sempre ci riescono, i ragazzi non accettano l´intervento dell´adulto». Così accadono fatti difficili da controllare, così si va alla deriva «anche perché i ragazzi oggi sono molto meno motivati di un tempo, non hanno interessi che condividono in maniera forte che li tengano uniti, vanno avanti su schemi e modelli che gli vengono indotti ed è difficile trovare qualcosa che li coinvolga». Mobbing tra i banchi, microstorie che si somigliano, che si dimenticano, poi capita a qualcuno forse più fragile e allora qualcosa esplode. «I professori però dovrebbero preoccuparsi di più di quello che accade in classe, occuparsi anche delle relazioni tra studenti, non solo dell´insegnamento del programma. E se non è possibile ci dovrebbe essere uno psicologo a scuola», dice Anna Oliverio Ferraris, psicologa. «È compito di qualunque adulto che svolge un´attività educativa, se in famiglia si è accettati per quelli che si è, a scuola bisogna invece imparare a vivere con i diversi».



     
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  2. star***
     
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    Ho inserito un commento su repubblica. Anche se è difficile, ma bisogna parlare..parlare..parlare e far parlare per capire. Vi invio il mio commento:
    Il nostro mondo è ormai legato a modelli rigidi, la diversità in tutte le forme viene schermita. E quello che più fa rabbia è che nessuno se ne preoccupa. Che cosa fanno le istituzioni per sensibilizzare i ragazzi ad una cultura che li porti ad un'analisi del proprio mondo interiore? A capirsi e ad accettarsi in base alle proprio differenze? Le differenze sono fonte di ricchezza. Sono molte le persone INTROVERSE che vivono un forte disagio. Vivono un disagio perchè sono considerate degli alieni. Invece sono solo persone sensibili, intelligenti e con una grande capacità di amare. Ma purtroppo la nostra società ama e acclama solo chi riesce a stare al centro dell'attenzione. I mezzi mediatici propongono dei modelli assurdi e si parla solo di personaggi FAMOSI. Ma famosi per cosa??? Solo perchè presenti nei salotti televisivi. Non si parla mai di persone FAMOSE per qualcosa di concreto. Artisti, scrittori, pittori, biologi, fisici ecc. ecc. Ditemi voi se non è così? Io ci spero ancora
     
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  3. vivatruffaut
     
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    Tralasciando la superficialità con cui i mezzi di comunicazione in Italia, televisione in primis, si occupano di fatti di cronaca che meriterebbero sensati approfondimenti o in alternativa nessun commento, vorrei condividere con voi dei brevi riferimenti alla mia vita personale.

    Ricordo le scuole elementari come il periodo più felice della mia vita. Ero il primo della classe, ne ero orgoglioso, e la mia vita sociale non era vuota come sarebbe stata negli anni a venire. Odiavo già le feste, ma ero l'unico ad essere sempre invitato. Avevo tre o quattro amici più intimi, con cui frequentavo anche il catechismo.

    Le scuole medie inferiori sono un momento difficile per tutti. Per me furono traumatiche. Mi ritrovai a fronteggiare, con la fragilità psichica di un ragazzino in piena pubertà, una doppia perdita di status: non ero più il primo della classe, e neanche il secondo. Ero completamente solo, con l'eccezione di uno dei compagni di classe delle elementari. La classe era quanto di peggio potesse capitarmi: un gruppetto misto di individui, da me soprannominato "il nucleo", molti dei quali si conoscevano già dalle elementari, escludevano il resto dei compagni dalle loro attività ricreative extrascolastiche. L'interruzione del progressivo processo di socializzazione, proprio nella delicatissima fase caratterizzata dai primi approcci "interessati" con l'altro sesso, ebbe conseguenze disastrose su di me, e, a distanza di anni, ne pago ancora le conseguenze. In quel periodo mi vennero anche delle fantasie suicide.

    Alle medie superiori persi anche la compagnia dell'unico amico che frequentavo sin dalle elementari. E dire che scegliemmo entrambi il liceo scientifico, ma in due edifici diversi. Impiegai i primi due anni delle superiori a sforzarmi di ottenere almeno il rispetto dei miei compagni di classe, lo ottenni solo al terzo anno. Naturalmente, mentre loro si frequentavano, io passavo le giornate chiuso in casa a studiare, leggere, guardare la tv. Per i primi due anni delle superiori, inoltre, un mio compagno di classe delle medie inferiori, che frequentava in un'altra classe il mio stesso liceo, di cui sarebbe diventato rappresentante d'istituto in seguito, mi perseguitò con telefonate anonime a tutte le ore e scherzi di pessimo gusto. Non ne ho ancora capito il motivo.

    La mia autostima era gravemente compromessa. Non riuscii mai a integrarmi completamente neanche nella classe delle superiori, composta prevalentemente da individualisti, conformisti e sportivi agonisti. Mi accorsi tardi che studiare per quasi tutto il giorno non era molto salutare, né d'altronde mi permetteva di avere ottimi rapporti con gli insegnanti, categoria che mi sembrò essere pagata più per lamentarsi che per formare giovani menti. I professori mi biasimavano per la mia scarsa partecipazione durante le loro noiosissime lezioni e per la mia timidezza durante le interrogazioni. Introversi repressi o estroversi nazistalinisti che fossero, la mia applicazione, che pure rendeva inevitabile la mia media molto alta, non sembrava affatto renderli contenti. Inutile aggiungere che per tutti questi anni le ragazze mi sembravano degli esseri mitologici intenti principalmente all'ammirazione per i bicipiti altrui, e sicuramente poco interessate a rivolgermi la parola (io ero troppo timido per farlo).

    Avrete capito che l'ossessione per lo studio era per me più una forma di conformismo da "bravo bambino" che una reale passione. Presi comunque il mio bravo 100/100, ma poi sprecai il primo anno di università in una facoltà per la quale non avevo basi sufficienti, né vero interesse.

    (Nei tre anni successivi, mi sono laureato in corso in scienze della comunicazione. Subito dopo, son caduto in depressione, ho iniziato una psicoterapia di gruppo che porto avanti tuttora, mi sono iscritto ad una specialistica in un'altra città, dove mi son trasferito da pochi mesi. Faccio su e giù ogni settimana (sei ore di treno). Ho preso e prendo anche qualche farmaco, sotto controllo di un neurologo, indicato dal mio psicologo, che è in linea di massima contrario ai farmaci, salvo in casi di necessità. Ho 25 anni, non ho mai baciato una ragazza, né ho mai avuto un flirt o una relazione. Ho festeggiato un quarto di secolo praticando più volte del sesso protetto (piuttosto caro) con delle mercenarie. Ora ho smesso. Almeno la perdita della verginità non è stata traumatica...)

    Per coerenza nei confronti della terapia che sto seguendo, che probabilmente si ispira a teorie differenti da quelle del benemerito dottor Anepeta, e per lontananza da Roma, il mio apporto alla LIDI, di cui condivido appieno le finalità, non può che essere saltuario e collaterale. Spero, in ogni caso, che apprezzerete le mie intenzioni e la mia collaborazione. A vostra disposizione per ogni consiglio, chiarimento, critica, suggerimento da parte vostra. Un saluto a tutti. Spero che la mia breve autobiografia vi sia utile. Buona introversione.
     
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  4. vivatruffaut
     
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    Grazie della risposta. :-)
     
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  5. domanipensami
     
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    questa società in cui viviamo è basata sopratutto sull'individualismo premia il furbo e non l'onesto, subdolamente senza che ce ne accorgiamo entra nelle ns menti attraverso una serie di input che ci arrivano da tutte le parti specialmente dai media e servono per piegarci al volere del capitalismo una società che guarda solo alla ricchezza materiale che sai sfoggiare e creare ai danni degli altri. il sapere non serve se non è fine al consumismo dei beni e alla fine ci ritroviamo anche con il consumismo dei valori le amicizie l'amore servono solo per il breve periodo. Aiutare e capire gli altri è prerogativa dei boy scout nn di chi vive il materialismo della società dei consumi. La gente si incazza se gli rigano la macchina ma se ne frega di aiutare qualcuno in difficoltà. per chi è sensibile si fa ancora più dura accettare ed essere accetati dal gruppo dal branco devi identificarti con loro attraverso le squadre di calcio la politica falsa il vestiario e il loro bestiario umano sognando calciatori e veline. il bullismo selvaggio lo strafottente modo di presentarsi il me ne frego di tanti anni fa il fumare roba e bere birra la pornografia di internet questa è la società. Non riesci a toccare il culo alla prima che ti passa vicinoallora sei una merda che cazzo vivi a fare per te nn c'è posto immergiti nell'isola dei famosi o nel grande fratello forse ti aiuteranno. non devi essere un artista ma devi solo apparire e strillare le tue volgarità poi magari dire che ti sei pentito. vuoi impegnarti in politica o nel sociale probabilmente hai problemi sei una zecca o qualcosa di simile la scuola nn funziona? me ne frego tanto i prof non insegnano nulla quando ci sono per la maggior parte nn ci sono.. il lavoro nn c'è chi se ne frega i soldi me li da papà o nonna santa donna ,l'unica cosa che conta è scopare se ti innamori facilmente sei fregato ed è la fine devi consumare preservativi pillole e sentimenti ogni sabato cambia partner oppure vai ad ubriacarti da qualche parte. Parlare di una società che deve migliorare avere dei valori da trasmettere quando un ragazzo si impicca per una delusione mi sembra assurdo e mi incazzo perchè questa società insegue l'appiattimento dei valori verso il basso. Educazione sensibilità amore amicizia passione stanno finendo nella spazzatura creata dalla società liquida.
     
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  6. faliero
     
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    Entro per la prima volta nel forum e un caro saluto a tutti. Provo a dire due o tre cose sul video che vogliamo fare e sul racconto. Sul raccontare e sul raccontarsi.
    Credo che sia sempre più urgente avere il coraggio di raccontare esperienze ed emozioni in prima persona. Per testimoniare , per comunicare e far capire alle persone sole che non sono sole. Forse, se il ragazzo di Ischia, avesse avuto qualcuno a cui raccontare , qualcuno disposto ad ascoltare, se si fosse sentito in una rete di comprensione, anche virtuale, si sarebbe salvato. Scriveva racconti o poesie, non so, ma aveva il bisogno di esprimersi e di riconoscersi in altri simili a lui.. Penso che il raccontare, bisogno umano e antica medicina, sia una delle poche ancore o passaggi che ancora abbiamo. Credo che ognuno abbia bisogno di raccontare di sé. Il problema è trovare qualcuno capace di ascoltare. Sapete bene che nessuno ascolta più. Ho verificato, in alcuni seminari di sceneggiatura, che molti giovani , pur avendo un grande potenziale creativo, non riuscivano a far emergere la propria identità. I personaggi e le storie che immaginavano erano spesso fumosi, sbilenchi, inquinati da modelli esterni. Perché anche l’immaginario più privato è oggi invaso da altri immaginari. Sono quelli che ogni giorno ci propone la tv. Una polvere sottile che si è insediata dovunque. Ma bastava dare ascolto e fiducia, riflettere sulle vere emozioni dell’autore, per arrivare a un immaginario più pulito e autentico. E superare quella difficile vergogna di essere se stessi.
    Nonostante il diluvio,ci sono alcuni segnali incoraggianti sull’arte del raccontare e sull’arte dell’ascoltare. I successi di Ascanio Celestini e Marco Paolini ne sono una prova. Ma anche i mille blog su internet, youtube, ecc. , non fanno che confermare il diritto di esistere e di raccontare. Non sempre è una ricerca di un facile scandalo o successo. C’è qualcosa di più.
    Il video in preparazione dovrebbe essere non solo un veicolo per meglio penetrare nel mondo scolastico, ma anche una generosa prova di comunicazione. Non è necessaria una lunga testimonianza. Può bastare anche una sola frase, uno sguardo silenzioso, un sorriso. Proviamoci. Ciao, faliero.

     
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    « In questo remotissimo angolo del mondo, da tutti ignorato fuori che da me, sento che la pace dei morti non esiste, che i morti sono sciolti da tutti i problemi, meno che da uno solo, quello di essere stati vivi. Nelle tombe etrusche rugumano i bovi, le più grandi sono fatte ovili. Sui lettini di pietra posano le pentole e le fiscelle, gli umili arnesi della vita pastorale. nessuno ricorda che siano tombe, neppure l’ozioso turista che si arrampica sul sentiero scavato sulla roccia, e si avventura nel buio profondo dove risuona la sua voce. Eppure essi sono ancora là; da duemila, tremila anni, perché la vita non può vincere la morte, né la morte può vincere la vita. La resurrezione della carne comincia il giorno stesso in cui si muore. Non è una speranza, non è una promessa, non è una condanna. Pietro Catte, quello che si era impiccato ad un albero la notte di Natale, nella tanca di Biscollài, credeva di poter morire. Ed ora anch’egli è qui (poiché i preti, facendolo passare per pazzo, lo hanno sepolto nella terra consacrata) con don Pasqualino e Fileddu, Don Sebastiano e ziu Poddanzu, canonico Fele e maestro Ferdinando, i contadini di Séuna e i pastori di San Pietro, i preti, i ladri, i santi, gli oziosi del Corso; tutti in un groviglio inestricabile, qui sotto.
    Come in una di quelle assurde processioni del paradiso dantesco sfilano in una teoria interminabile, ma senza cori e candelabri, gli uomini della mia gente. Tutti si rivolgono a me, tutti vogliono deporre nelle mie mani il fardello della loro vita, la storia senza storia del loro essere stati. Parole di preghiera o d’ira sibilano col vento tra i cespugli di timo. Una corona di ferro dondola su una croce disfatta. E forse mentre penso la loro vita, mi sentono come un ridicolo dio, che li ha chiamati a raccolta nel giorno del giudizio, per liberarli in eterno della loro memoria.
    [...]
    Riprendo, dopo molti mesi, questo racconto che forse non avrei dovuto mai cominciare. Invecchio rapidamente e sento che mi preparo una triste fine, poiché non ho voluto accettare la prima condizione di una buona morte, che è l’oblio. Forse non erano Don Sebastiano, Donna Vincenza, Gonaria, Pedduzza, Giggia, Baliodda, Dirripezza, tutti gli altri che mi hanno scongiurato di liberarli della loro vita: sono io che li ho evocati per liberarmi della mia senza misurare il rischio al quale mi esponevo, di rendermi eterno. Oggi, poi, di là dai vetri di questa stanza remota dove io mi sono rifugiato, nevica: una neve leggera che si posa sulle vie e sugli alberi, come il tempo sopra di noi: fra breve tutto sarà uguale. Nel cimitero di Nuoro non si distinguerà il vecchio dal nuovo: ‘essi’ avranno un’effimera pace sotto il manto bianco. Sono stato una volta piccolo anch’io, e il ricordo mi assale di quando seguivo il turbinare dei fiocchi col naso schiacciato contro la finestra. C’erano tutti allora, nella stanza ravvivata dal caminetto, ed eravamo felici poiché non ci conoscevamo. Per conoscersi bisogna svolgere la propria vita fino in fondo, fino al momento in cui si cala nella fossa. E anche allora bisogna che ci sia uno che ti raccolga, ti resusciti, ti racconti a te stesso e agli altri come in un giudizio finale. È quello che ho fatto io in questi anni, che vorrei non aver fatto e continuerò a fare perché ormai non si tratta dell’altrui destino ma del mio. »
    Salvatore Satta

    SULL’OBLIO, SULL'ESSERCI, SULL'AVERE SENSO
    nel giorno che commemora i morti
    2.11.2007

    Per un fanciullo che si avvia all’oblio.
    Eppure il suo semplice soltanto «esserci stato», forse, no, non è stato senza senso.
    Un fanciullo invisibile, una donna massacrata in un fosso, uno straniero, dannato della terra...
    Essi comunque sono ancora là, non importa chi fra loro, per più tempo, avrà l’onore della cronaca, in ogni caso sarà sempre un tempo troppo breve; importa che essi “siano stati”, tutti con il loro carico di sofferenza, di domande irrisolte, importa che essi ancora si rivolgono a noi, coi loro occhi pensosi, con la loro lingua muta e straniera, interrogandoci...

    Rossana



     
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  8. lanepeta
     
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    Riporto da un sito giovanile alcuni commenti sul suicidio del povero Diego. Ce n’è solo uno che esprime indignazione. Gli altri galleggiano tra la banalità e il disprezzo. Mi torna alla mente una frase di Einstein: «Solo due cose sono infinite, l'universo e la stupidità umana, e non sono sicuro della prima.»

    1
    è chiaro che i compagni ne parleranno benissimo per far bella figura davanti alle telecamere, quando saranno (gl)i (pseudo)giornalisti a intervistarli

    2
    trovo indefinibilmente immaturo il comportamento dei compagni di classe, ma altrettanto patetico l atto suicida del povero ragazzo
    una persona che si abbandona al suicidio per un "problema" (se tale si può definire) del genere, non avrebbe mai trovato uno spazio proprio in questa società la vita è dura e quel ragazzino, nonostante la media voti dimostrasse le sue capacità intellettive, si è dimostrato poco intelligente e per niente forte

    3
    si ....questa è la triste verità...la vita è dura e il mondo fa schifo e si deve essere forti per sopravvivere

    4
    ma essere presi in giro a scuola è normalissimo. quindi o lui era un'idiota o i suoi compagni sono piccoli Hitler o c'era qualcos'altro che lo ha spinto a suicidarsi.

    5
    Io non commento dato che nello specifico nessuno sa cosa ha passato sto ragazzo.. a prima vista sembra il classico sfigato senza vita sociale sfottuto da tutti, un po troppo permaloso, ho compiuto il gesto estremo. A me sembra a dir poco esagerato però sinceramente non me ne frega nulla.

    6
    beh i compagni saranno stati un po duri...
    ma per piacere... adesso non diamoli tutta la colpa... penso che tutti siamo stati scoglionati e abbiamo scoglionato i nostri compagni di classe... ma di sicuro non arrivo a togliermi la vita per questo... (piuttosto faccio un pensierino sulle loro teste ecco... )
    quindi sicuramente il ragazzo avra avuto i suoi problemi (senza malvagità ma la butto la lo stesso, vita sociale pari a zero??...) la presa per il culo continua è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso...

    7
    sfigato?Perchè?
    Non mi pare molto sfigato,viste le sue doti,avrebbe potuto fare molto.
    Comunque,lo disprezzo per il gesto del suicidio,doveva dimostrarsi superiore ai suoi compagni,è sbagliato togliersi la vita per queste cose,anzi è sbagliato a priori.

    8
    Sono senza parole, attonito. Io non do la colpa al ragazzo e se avessi il potere di trovarmi davanti la sua classe, gli griderei in faccia quanto mi fanno schifo. Proprio come faceva il Sgt. Hartman in quel famoso film...
    Che vuoi che ti dicano ? Che era bravo, un tesoro, un amicone.
    Vedremo l'ipocrisia sbocciare sui giornali. Che schifo...
    Ma perchè sono sempre le persone migliori a scomparire ?
    Intanto, ringrazio i commenti di coloro che li scriveranno, e faccio le mie condoglianze a tutti coloro che veramente apprezzavano questo ragazzo.
    EDIT: Aggiungo che anche io NON sono d'accordo sul suicidio, e trovo davvero eccessivo suicidarsi, ma per portarlo fino a quel punto...

    9
    bè difficile giudicare situazioni che non si conosce, ora se questi gli rompevano l'anima poteva semplicemente eliminarli prima di suicidarsi, ognuno fa quello che vuole (suicidio) purchè non sia di danno al prossimo almenochè il prossimo non sia un danno vivente x quell'ognuno (poi penso ci siano varie sfumature ovviamente)
    cmq sono sicuro che centra anche la scuola xchè x esperienza personale la scuola è un sistema menefreghista e ipocrita

    10
    secondo me arrivare a suicidarsi è un po troppo

    11
    Il tuo pensiero innovativo mi colpisce nel più profondo del cuore, complimenti.

    12
    è assurdo. Solo perchè dei tizi lo prendevano in giro, è solo assurdo.

    13
    Non capisco, perchè suicidarsi solo perchè ti prendono in giro?
    O aveva problemi serissimi oppure i compagni erano dei gran ba*****

    Luigi Anepeta
     
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  9. vivatruffaut
     
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    I giovani sono il nostro futuro. Già segnato.
     
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  10. maria rossi
     
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    che impressione. ma nessuno sente più nulla?
     
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  11. davidthered
     
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    come al solito scrivo dal pc della biblioteca di facoltà, ci sono circa 7 persone in fila e verrò cacciato come al solito.

    non me ne frega nulla, ecco la frase dei commenti di quei poveracci del sito giovanile che fotografa perfettamente questa generazione: l'individualismo, come dire "io sono io e voi...non siete un cazzo".
    Che infinita tristezza ed amarezza, tanto grande è il dispiacere che provo per la morte di questo ragazzo che salto volentieri la lezione su Marx che in questo momento mi sembra inutile e superflua.
    Tanto dispiacere perché io quella persecuzione che quel ragazzo ha subito l'ho subita e superata, anche se ho desiderato infinite volte di farla finita, ne sono uscito ma ancora non so dire se sarebbe stato meglio legarmi una corda al collo.
    Diego non ce l'ha fatta, e come si permettono quei "ragazzi" di quel sito giovanile, a giudicare la giustezza o l'immoralità di quel gesto.
    Come fanno a non considerare la disperazione infinita che annebbiava la sua mente, come nessuno ha potuto fare niente?!
    E quella madre che corre a prendere le forbici per tagliare la corda dal collo del figlio, non commentabile, strazio infinito.
    Sulla bara di Diego ci dovrebbe essere una scritta: UCCISO DA: con i nomi di tutti i miseri bulletti del mondo.
    I professori dov'erano? Che se ne faceva Diego della sua media del nove? Un cappio al collo. Cosa se ne fa un ragazzino di tutti nove se è un invalido sociale, se sente il peso costante e insostenibile di una diversità immensa, di un baratro profondo che divide lui dal mondo e che a 14 anni sembra un burrone senza fine.
    Dovevano fare 1 minuto di silenzio per Diego, un minuto di vergogna, un minuto di brividi.

    Davide
     
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  12. lanepeta
     
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    Repubblica 6. 11. 2007

    DALLA TRAGEDIA DI DIEGO UN ALLARME PER LA SCUOLA
    CORRADO AUGIAS

    Caro Augias, il ragazzo Diego morto suicida a 14 anni, è un lutto che riguarda tutti. In particolare gli operatori scolastici che hanno visto la deriva di un'istituzione che, anziché garantire il successo formativo, ha garantito l'accesso, abbassando la qualità dell'istruzione. E' questa scuola che ha mortificato l'eccellenza, distrutto i talenti, smorzato la naturale curiosità per la conoscenza. La derisione verso chi studia e ama la cultura è un atteggiamento diffusissimo che si è potuto sviluppare senza troppi problemi, senza ostacoli davanti a sé e se anche non c'è la derisione in ogni caso colui che studia è come colui che rispetta le regole: uno che non ha capito bene in che razza di paese si trova. D'altro canto la scuola italiana dal 95 ad oggi, annullando gli esami di riparazione, ha dato un messaggio preciso: il disimpegno e tutte le conseguenze che esso comporta non deve essere sanzionato né corretto. Se pensiamo per un momento alla battaglia che negli anni 60 fu fatta per ottenere il diritto di assemblea nelle scuole come momento di democrazia viene da piangere. La scuola deve riprendersi il ruolo di istituzione preposta all'istruzione.
    Olimpia Ammendola olimpia. ammendola@virgilio. it

    La denuncia di alcuni compagni di classe del povero Diego potrà o no portare a individuare qualche (inconsapevole) responsabile. Il problema comunque resta. Anche la scuola assomiglia al resto del paese. Qualche mese fa a Torino un ragazzo s'era ucciso perché i compagni lo deridevano chiamandolo 'gay'. Qualche giorno fa Diego s'è ucciso perché lo deridevano chiamandolo 'secchione'. Bisognerebbe far capire a degli adolescenti preda dei loro turbamenti ormonali, chiusi nel conformismo proprio dell'età, che di 'secchioni' in realtà ci sarebbe un gran bisogno. Che nel mondo di domani dovranno competere con ragazzi indiani, cinesi e speriamo anche italiani, ed europei, secchionissimi, che se li mangeranno vivi se non stanno attenti, che occuperanno i posti migliori e che quelli che si sono consumati gli occhi e le dita sulla 'pleistescion'saranno per lo più costretti ad arrancare nelle retrovie. Salvo le solite eccezioni dei privilegiati, anche questo è scontato. Curioso destino quello degli adolescenti di oggi. In Italia il valore di fondo di buona parte della gioventù sembra diventato il tirare a campare, una spensieratezza ilare oppure, al contrario, una piccola rabbia impotente pronta a scaricarsi sul più debole. Negli Stati Uniti, invece, un preside di Boston ha constatato, sgomento, l'alto livello di stress tra i suoi allievi. Stress da competizione, spesso accompagnato dall'abuso di alcol e droghe. E' corso ai ripari alleggerendo compiti, orari, consigliando yoga. Non so dire quale sia, tra questi opposti modelli, il più alienato: i giovani che ghignano alle spalle del coetaneo per qualche aspetto 'diverso', o quelli che si consumano di ansia in attesa della competizione che li attende dopo il diploma. E' generico dire che sono entrambi sintomi di società malate, ma forse è anche l'ipotesi giusta.

    Sono d’accordo per filo e per segno con il commento appassionato di Davide. Molto meno con quello di Augias. E’ senz’altro vero che nella nostra società occorre riabilitare il sapere e la passione della conoscenza come criterio di merito (anche se è utopistico pensare ad una repubblica governata dai sapenti). La scuola, però, non funziona come promotrice della passione della conoscenza. Essa irretisce solo soggetti iperdotati costringendoli a percorrere tragitti istituzionalizzati di conoscenza che producono medie elevate di voti, ma scarsa conoscenza di sé, degli altri e del mondo.
    L’introverso perfezionista è vittima della brutalità dei coetanei, ma anche delle aspirazioni narcisistiche dei grandi. E’ schiacciato, insomma, tra il dover esser quello che i grandi “vogliono” che sia e quello che “vogliono” i coetanei.
    Augias ritiene che il valore della competitività debba essere il valore di riferimento dei giovani, e che questi debbano trasformarsi in “secchioni” per non essere emarginati. Un mondo nel quale le persone si tormentano dalla mattina alla sera studiando prima e lavorando poi come schiavi non è il migliore dei mondi possibili: è un universo di automi programmati per avere successo.
    La passione della conoscenza, se è autentica, prescinde da qualunque altro obiettivo che non sia il piacere del funzionamento della mente e il capire la vita nella sua complessità inesauribile. Presente negli introversi, quella passione viene spesso sfruttata dal sistema educativo per fini suoi propri.
    Occorrerà tenere conto di questo perché la pressione educativa nella direzione dello status produce, a seconda del terreno in cui si imbatte, pochi giovani perfezionisti e molti nichilisti.
    Luigi Anepeta


     
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  13. warum
     
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    Mi trovo pienamente d'accordo con le ultime osservazioni del dottor Anapeta; non credo che il modello dell'eccellenza ad ogni costo, dello studio massacrante finalizzato esclusivamente al voto alto, sia un modello positivo. Spesso quei ragazzi che, contrarariamente alla massa dei loro coetanei, si impegnano totalmente nello studio, lo fanno esclusivamente per un senso di dovere, che può essere verso i genitroi, o verso un concetto ideale di perfezione.
    Credo che tra i due estremi del totale disinteresse e dell'eccellenza, debba esserci un modello di studio basato sull'interesse verso la materia, sulla riflessione e non sull'apprendimento acritico dei manuali. Uno studio in cui il fine principale dell'alunno sia la crescita personale, e non un voto, che di per sè non significa niente.
    Ora, per non essere troppo pessimisti, bisogna dire che ragazzi che studiona in questo modo, che si dedicando maggiormente a ciò che gli interessa, senza puntare esclusivamente sul voto, e magari si accontentano di una sufficenza nelle materie che non amano, che approfondiscono anche con letture private ciò che più gli interessa, ragazzi del genere, per quanto rari, esistono ancora.
    E di solito, pur non ottenendo il massimo dei voti, sono gli unici a trarre dei benefici dagli anni scolastici.
    Ma perchè questi casi siano meno isolati, dovrebbe essere la scuola in primo luogo a proporre un modello differente ai suoi studenti.
     
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  14. vivatruffaut
     
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    Di sicuro se non avessi avuto per professori dei "terroristi", mi sarei accontentato anch'io della sufficienza in certe materie...
     
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  15. marabalente
     
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    Non so se c'entra qualcosa, ma l'istinto mi dice d'inserirla.
    Anche se ancora non me la sento di parlarvi di me, faccio comunque parte della truppa e......: " Io ti stimo.... Pina".

    UN MATTO (dietro ogni scemo c'è un villaggio) F. De André.

    Tu prova ad avere un mondo nel cuore
    e non riesci ad esprimerlo con le parole,
    e la luce del giorno si divide la piazza
    tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,
    e neppure la notte ti lascia da solo:
    gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro.
    E sì, anche tu andresti a cercare
    le parole sicure per farti ascoltare:
    per stupire mezz'ora basta un libro di storia,
    io cercai di imparare la Treccani a memoria,
    e dopo maiale, Majakowsky e malfatto,
    continuarono gli altri fino a leggermi matto.
    E senza sapere a chi dovessi la vita
    in un manicomio io l'ho restituita:
    qui sulla collina dormo mal volentieri
    eppure c'è luce ormai nei miei pensieri,
    qui nella penombra ora invento parole
    ma rimpiango la luce, la luce del sole.
    Le mie ossa regalano ancora alla vita:
    le regalano ancora erba fiorita.
    Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina
    di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina;
    di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia
    una morte pietosa lo strappò alla pazzia.

    Un abbraccio virtuale ( sono gli unici che riesco a dare) a tutti.
    Mara.
     
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36 replies since 2/11/2007, 07:51   6119 views
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