Appartenenza/individuazione

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  1. maria rossi
     
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    sui desideri di appartenenza e di individuazione che spesso le donne vivono in maniera ancor più conflittuale:
    "uno buono e uno vero".


    Titti di fabrizio De Andrè


    Come due canne sul calcio del fucile
    come due promesse nello stesso Aprile
    come due serenate alla stessa finestra
    come due cappelli sulla stessa testa
    Come due soldini sul palmo della mano
    come due usignoli pioggia e piume
    sullo stesso ramo
    Titti aveva due amori
    uno di cielo, uno di terra
    di segno contrario
    uno di pace, uno di guerra
    Titti aveva due amori
    uno di terra, uno di cielo
    insomma, di segno contrario
    uno buono, uno vero
    Come le lancette dello stesso orologio
    come due cavalieri dentro il sortilegio
    e furono i due legni che fecero la croce
    e intorno due banditi con la stessa voce
    Come due risposte con una parola
    come due desideri per una stella sola
    Titti aveva due amori
    uno di cielo, uno di terra
    di segno contrario
    uno di pace, uno di guerra
    Titti aveva due amori
    uno di terra, uno di cielo
    insomma, di segno contrario
    uno buono, uno vero.
     
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  2. maria rossi
     
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    "Quella donna parla diciotto lingue ma in nessuna sa dire "No".

    Dorothy Parker
     
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  3. maria rossi
     
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    quando una perdita che viviamo di un nostro caro,di un affetto, è grande la sensazione di annientamento temporaneo è umana e comprensibile. spesso, però, le donne vivono questo stato di drammatica perdita di senso ad ogni minima avvisaglia di incrinazione sentimentale e relazionale. insieme alla fine di una relazione con qualcuno sembra sempre esserci legata la sensazione di abbandono e lo smacheramento di un'insostenibile inutilità della propria esistenza, del proprio mondo. degni di essere vissuti solo se in funzione di una relazione,di un' appartenenza. la reazione a questo stato di "debito" totale e ontologico spesso è rifuggito con un atteggiamento di anestetizazzione e ritiro dagli affeti in nome di un autonomia e indipendenza assolute e spietate con se e con gli altri. ma il problema con la dipendenza non cambia e neanche il conflitto disfunzionale fra appartenenza e individuazione.
    questa poesia è stata scritta da un uomo per la morte del suo compagno. ma molte donne la vivono e "recitano" quotidianamente per cose ben più lievi e meno definitive. "che il modno si fermi!": poche si rendono conto dei veri motivi che le portano a drammatizzare in maniera così sproporzionata gli eventi legati alla loro vita affettiva.

    blues in memoria


    Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
    fate tacere il cane con un osso succulento,
    chiudete i pianoforte, e tra un rullio smorzato
    portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

    Incrocino aeroplani lamentosi lassù
    e scrivano sul cielo il messaggio Lui È Morto,
    allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
    i vigili si mettano guanti di tela nera.

    Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest,
    la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,
    il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;
    pensavo che l'amore fosse eterno: e avevo torto.

    Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;
    imballate la luna, smontate pure il sole;
    svuotatemi l'oceano e sradicate il bosco;
    perché ormai più nulla può giovare.

    W. H. Auden
     
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  4. maria rossi
     
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    Molta follia è divino buon senso
    per chi sa vedere.
    Molto buon senso, completa la follia.
    Ma è la maggioranza che prevale,
    in questo come in tutto il resto.
    Acconsenti? Sei sano di mente.
    Obietti? Sei pericoloso, e certo
    si farà bene a incatenarti subito.

    emily dickinson
     
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  5. maria rossi
     
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    "La donna, chiamata dalla sua missione ad una esistenza placida e tranquilla e non dovendo -in genere- cercare la felicità nella testa ma nel cuore, ha minor bisogno di immaginazione. Infatti essa fa alla donna più male che bene, contrariamente all'uomo, le donne fantastiche sono le più infelici. Una madre prudente non deve permettere che le fanciulle si abbandonino ai pensieri solitari e che accarezzino soverchiamente quello stato vaporoso del pensiero che i francesi chiamano reverie. Non parliamo delle gran dame e delle artiste che sono eccezioni, sono esseri a parte nel mondo borghese della maggioranza, le osservazioni e le teorie si fanno sempre per la massa.(!) La donna, che deve occuparsi di tutta la materialità della casa, che deve ubbidire il marito e tenersi intorno i bambini colle loro mille importunità ed esigenze, che non è quasi mai libera, che non può, che npn deve fare quello che vuole, perchè avrebbe da coltivare l'immaginazione? tutti i suoi pensieri, le sue aspirazioni, i suoi affetti le vengono dal cuore- il cuore solo la farà felice (donarsi e vivere per compiacere gli altri?). l'immaginazione è come l'atmosfera acuta e rarefatta delle alte montagne, non giova che alle aquile. E' soprattutto per le donne che questa riflessione di uno scrittore francese mi pare profondamente vera: l'imagination nous fait perdre pied, sans nous donner des alies (l'immaginazione ci fa perdere i piedi senza darci incambio le ali).
    voce dedicata all'immaginazione ne Il dizionario d'igine per le famiglie, 1881,

    la cosa ancor più interessante di questo passo non è solo la delineazione di come per molto tempo il conflitto fra individuazione e appartenenza si sia articolato per l'identità femminile ma che a scrivere tutto ciò sia stata Neera, una scrittrice famosa e anticonformista per i suoi tempi. In queste righe nega/sconsiglia il diritto di vivere fuori dalle convenzioni a tutte le donne, di fantasticare sui propri desideri e bisogni senza avvertire alcuna contraddizione con il suo esempio personale e la sua professione (che senza immaginazione è impensabile!). Facendo proprie le concezioni dell'elite maschile alla quale si aggrega, giunge a considerare se stessa come una eccezione (grande dama e artista, con qualità superiori,maschili) in grado di giudicare e guidare a distanza, dall'alto il restante del comune genere femminile.
    La sentenza è doppiamente pesante: non solo è di genere ma anche un giudizio classista. Le donne non possono concedersi un'individuazione autentica per il buon assolvimento della loro funzione e del loro ruolo sociale ma se e quando questi sono superabili o rinnegabili bisogna appartenere ad un certo ceto, ad una certa classe e possedere qualità e doti superiori alla media, appartenere all'olimpo delle persone superiori. Insomma bisogna meritarselo!
    Qui l'elitarismo e la visione gerarchica della reatà sociale e dell'essere umano è evidente: alto e basso si dividono mashile e femminile come aristocratico e borghese, testa e cuore, vivere per se e vivere per gli altri e così via...questo sistema di valori composto di antinomie e la loro organizzazione gerarchica sono tutt'altro che passati sia nella compagine sociale che nelle nostre teste!

    Edited by maria rossi - 10/9/2008, 10:41
     
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  6. senzanome70
     
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    trovo molto interessante il binomio appartenenza-individuazione applicato all'evoluzione della donna, o meglio ancora alla storia dell'emancipazione femminile. Sono convinta che se per tutti, sia uomini sia donne, vale il suddetto binomio, esso per le donne ha una rilevanza ancora più grande.
    Il termine individuazione associato a femminile già suona strano.
    La cultura patriarcale ha insegnato altro, ha insegnato alle donne e agli uomini ad accoppiare il termine femminile con appartenenza. Quanto, sia uomini sia donne, ci siamo liberati da questa visione?
    Quanto, soprattutto le donne, visto e considerato che la stessa autrice del brano riportato, una donna, sconsiglia alle altre donne di fare quel che ha fatto lei?
    Quello che mi viene da chiedermi è quanto sarà costato a questa donna essere diversa, quanto in termini affettivi, di sofferenza, se essa stessa sconsiglia alle altre donne di seguire le sue orme?
    Quanto costa alle donne essere diverse?
    Quanto, per esempio, in termini di sofferenza psichica?
     
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  7. maria rossi
     
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    tanto,molto, parecchio.
    ho partecipato ad un convegno sul disagio psichico organizzato proprio da una psicoterapeuta socia della Lidi.
    riporto un passo del suo intervento,secondo me particolarmente affine a quel che dici:


    La sofferenza psichica delle donne


    Il disagio femminile coinvolge tutte le fasce di età e tutti i ruoli sociali .Le adolescenti sono affette in particolare da disturbi del comportamento alimentare e dagli attacchi di panico; le giovani donne sono logorate da difficoltà affettive e sessuali nella relazione con l’uomo, le casalinghe soffrono di emicranie ricorrenti, angosce ipocondriache, depressioni cicliche più o meno mascherate, disturbi ossessivi in particolare la fobia dello sporco; le donne con il doppio lavoro domestico ed extradomestico soffrono di un’ansia pressoché perenne, sono al limite dello stress, quando poi non cadono in qualche depressione o attacco di panico. La famiglia nucleare è di fatto un’istituzione a rischio, priva com’è di una reale rete sociale di tutela; l’assistenza ad un anziano ricade inevitabilmente sulle spalle della donna, con la possibilità che il suo equilibrio e quello della famiglia nel suo insieme collassino.
    Le esperienze di vita femminili sono pervase dalla rabbia, che produce perpetui sensi di colpa, con il risultato che più la donna si sente colpevole più tenta di riparare diventando più donativa, più malleabile con il risultato di forzarsi in un vicolo cieco di rancore che si autoalimenta. Spesso tale circolo vizioso induce qualcuno dei disagi psichici prima accennati, oppure si traduce in un comportamento maltrattante e di attacco ai legami affettivi (partner,figli, anziani ecc) non esente quindi da giudizi esterni negativi. Ma peggiori sono quelli negativi che provengono dal proprio interno, per la donna che li avverte, convivere con un’immagine interna negativa è drammatico.ed estenuante.
    Di fatto l’atteggiamento della donna è una continua recriminazione: tra donne, negli studi medici ecc il lamento è cosa abituale per l’ingiustizia della propria sorte, ma è una collera impotente; il rancore è l’inverso della dipendenza:quando si dà tutto non si riceve mai abbastanza in cambio (De Beauvoir)
    Perché una donna non riesca a ridefinire un proprio ruolo, ed a perseguire un progetto di vita più incentrato sui suoi bisogni, la spiegazione va cercata nell’analisi dei modelli culturali cui prima si è parlato, così importanti nella formazione delle strutture psichiche costituenti l’identità femminile con il risultato che tale identità è vissuta come funzione di una relazione, come un essere con o un essere per qualcuno.
    Il conflitto tra una dipendenza coercitiva mal vissuta ed un’indipendenza intensamente desiderata ma che risulta impossibile è riscontrabile in quasi tutte le forme di disagio femminile, a prescindere dalla modalità in cui esso si manifesta.
    Il consumo di farmaci da parte delle donne ( come l’abuso di alcool) è a volte eccessivo,(d’altronde qualcuno glieli prescrive) ma la sofferenza psichica abbiamo visto essere un impasto di dolori, memorie ,rancori, nostalgie, sensi colpa, pregiudizi, un percorso di guarigione deve necessariamente passare nel recupero e nella rielaborazione di vissuti che hanno a che fare con l’esperienza umana, con quella specifica esperienza.







     
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  8. star***
     
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    Il mio pensiero ruota molto su questi argomenti. Mi scoppia una rabbia interiore fortissima. Molti di noi stanno facendo un percorso che li sta portando ad un'individuazione ad un accettare se stessi e le proprie esigenze...Al sentirsi amati, da se stessi e dal mondo. Mentre la società lavora in senso opposto.....io sento ancora molti discorsi che non comprendo e che sono un non rispetto dell'invidualità dell'uomo. Ma perchè la società impone ancora che la donna debba sobbarcarsi tutto il carico della casa oltre che del lavoro? Senza tener presente che poi tutto questo si paga sia al livello personale, che di rapporto di coppia e di serenità familiare. Non si vivrebbe più tranquilli se ognuno fosse consapevole e responsabile del ruolo che deve occupare all'interno di una famiglia? Invece di occupare per sempre il ruolo di bambini mai cresciuti, che aspettano la mamma che li imbocchi? Per me questo è un percorso che non porta da nessuna parte e rende tutti infelici e non solo le donne. La cosa buffa è che, anche se tutto questo fa parte del mio modo di pensare, ancora non fa parte del mio modo di essere e mi sento oppressa dai sensi di colpa se non riesco ad essere come le casalinghe modelle che mi si presentano davanti agli occhi.....e mi sento come un'aliena che nuota in mezzo ad un mare di umani....Non so se sono riuscita ad esprimere al meglio quello che volevo dire...
    Ciaooo
     
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  9. titan03
     
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    Secondo me il fatto che certe idee ti siano chiare nella mente è già un fatto positivo, considerando che molte donne che ho conosciuto (giovani e non) non hanno la minima percezione di quale sia il loro vero potenziale umano, né di quali e quanti ruoli possano svolgere in società, se tralasciamo facili slogan di stampo femminista niente affatto assimilati criticamente a livello profondo.

    Mi piange il cuore se ripenso a certe situazioni di ragazze cui sono stato vicino, che trovandosi alquanto strette nel ruolo sociale ad esse riservato dalla società (tramite i suoi agenti: la famiglia, i maschi etc.), ma non avendo la benché minima consapevolezza del loro tesoro interiore, hanno sviluppato alcune forme di disagio, in qualche caso anche importante.

    Da maschio mi resta difficile sopportare queste situazioni, non voglio pensare a quanto possa essere pesante per te e per quelle donne che si rendono conto del problema o anche solo lo intuiscono. Cionondimeno sono convinto che una evoluzione culturale che dia vera dignità e potere alla donna al di là degli slogan e dell'"uovo oggi" sia in qualche modo possibile e parta anche da te, da voi che vi trovate qui a parlare.

    Avete tutta la mia solidarietà, e non solo a chiacchiere.

    ciao
    Francesco
     
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  10. maria rossi
     
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    il salto epistemico che deve fare la donna sulla sua individuazione lo deve fare pure l'uomo. in fondo per entrambi c'è da riappropriarsi dell'umanità integrale di essere quel che sono: persone. la rilfessione sulla natura umana è ugualmente imprescindibile per una nuova e diversa individuazione di uiomini e donne.
    l'educazione "di genere" ci ha fregati e "mutilati" tutti. bisogna rivederla e riscoprirla partendo da un presupposto diverso.
    gli uomini sono privati o inibiti nella sensibilità, nelle capacità di cura e di attenzione verso se gli altri e le cose se non in senso "alto", dirigenziale autoritario; le donne private o inibite di un senso di se che vada aldilà dell'esserci per gli altri che le porta ad usare intelligenza e sensibilità sempre in funzione di un ruolo leggittimato socialmente.
    bisogna recuperare il valore di certe parti di noi cercando di non bandire quelle che già ci sono. e-soprattutto!- disimparare ad essere uomini e donne in senso stereotipato scambiandoci un pò trasversalmente competenze,tradizioni e saperi... soprattutto quelli considerati bassi,poco importanti,noiosi,faticosi e stancanti o sorpassati! mi sa che poche sono le persone che non si spaventino e disorientino a morte!
    eppure come diceva fromm: "bisogna convincersi di riconsiderare l'uomo nella sua totalità fisico-spirituale, ritenendo che il compito di ogni uomo sia di essere se stesso e che la condizione per attingere a questa meta sia che l'uomo stia dalla parte di se stesso. la condotta morale va trovata nella natura stessa dell'uomo; le norme morali si fondano sulle qualità intrinseche dell'uomo, violarle comporta la disintegrazione mentale ed emotiva. se l'uomo deve affidarsi a valori, deve consocere se stesso e la capacità di bontà e produttività della sua natura."
     
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  11. maria rossi
     
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    Joan Armatrading.
    Me myself I

    I sit here by myself
    And you know I love it
    You know I don't want someone
    To come pay a visit
    I wanna be by myself
    I came in this world alone
    Me myself I

    I wanna go to China
    And to see Japan
    I'd like to sail the oceans
    before the seas run dry
    I wanna go by myself
    I've just room enough for one
    My myself I

    I wanna be a bigshot
    And have ninety cars
    I wanna have a boyfriend
    And a girl for laughs
    But only on saturdays
    Six days to be alone
    Just me myself I
    Me myself and I
    Just me myself I

    Don't wanna be the bad guy
    Don't wanna make a soul cry
    It's not that I love my self
    I just don't want company
    Just me myself I
    Me myself and I
    Just me myself I

    I sit here by myself
    And you know I love it
    You know I don't want someone
    To come pay a visit
    I wanna be by myself
    I came in this world alone
    Me myself I


    Me, me stessa ed Io

    Mi siedo qui da sola
    E sai quanto mi piaccia.
    Sai che non voglio qualcuno che
    venga a trovarmi (a farmi compagnia)
    Voglio stare con me
    Sono venuta a questo mondo da sola.
    Me, me stessa ed Io

    Voglio andare in Cina
    E vedere il Giappone
    Vorrei navigare gli oceani
    prima che i mari vengano prosciugati del tutto
    Voglio andare da sola
    Ho giusto una stanza per una persona
    Me, me stessa e Io

    Voglio essere una persona importante
    Ed avere novanta automobili.
    Voglio avere un ragazzo
    E un'amica per ridere
    Ma soltanto i sabati
    (gli altri) Sei giorni voglio stare da sola
    solo me, me stessa e Io
    Me, me stessa ed Io
    Appena me, me stessa ed io.

    Non voglio fare la parte della (cinica) cattiva
    Non voglia far soffrire gli altri
    Non è che sia innamorata di me stessa
    E' solo che non voglio compagnia
    (ma) solo stare con me, me stessa ed Io
    Me, me stessa ed Io
    Solo me, me stessa ed IO

    Mi siedo qui da sola
    E sai quanto mi piaccia.
    Sai che non voglio qualcuno
    che venga a farmi compagnia
    Voglio starmene con me
    Sono venuta a questo mondo da sola
    Me me stessa ed Io


    non è affatto facile essere veramente se stessi e vivere la propria "solitudine" in termini di unicità e originalità ontologiche-esistenziali; non è affatto facile vivere la condizione di solitudine senza sentirsi addosso un marchio di emarginazione o esclusione sociale,di non conformità colpevole; non è facile nenmmeno riuscire a non cadere nei tranelli narcisistici delle finte emancipazioni che oggi si vedono spesso in circolazione e che confondono individualismo con individuazione. non è facile per nessuno. per le donne ancor di più...


    Joan Anita Barbara Armatrading , nota come Joan Armatrading (Basseterre, 9 dicembre 1950) è una cantante, chitarrista e compositrice anglo-caraibica. Ha ottenuto un discreto successo negli anni '70 con canzoni folk, per poi cambiare decisamente registro negli anni '80, orientandosi verso un pop elaborato, influenzato anche dal reggae, dal jazz e dal rhythm & blues. I suoi testi, decisamente introspettivi, fanno quasi sempre riferimento agli stati emotivi dell'individuo, e alle gioie e alle difficoltà nei rapporti sentimentali. Nel 2007 in Inghilterra Joan Armatrading è stata: la prima artista donna a debuttare al numero #1 nella Classifica Di Billboard, la prima artista donna ad essere nominata per un Grammy nella categoria Blues, la prima artista di colore ad esordire al #1 nella classifica Blues di Billboard. Le sue doti come composotrice e chitarrista sono riconosciute e apprezzate da molti mostri sacri del folk-blues. Negli ultimi anni ha rallentato la produzione discografica e si è dedicata all'impegno sociale, soprattutto orientato al problema del razzismo, appoggiando attivamente la fondazione di Nelson Mandela. Me myself I è il suo maggior successo (a livello di vendite di album) nel Regno Unito e la canzone tramite la quale mi appassionai di lei e di alcuni suoi testi. La sua produzione è molto varia e discontinua e tocca spesso dei "bassi" creativi evidenti (soprattutto le produzioni anni 80 e influenzate dalla new age) ma quando la sua voce e la sua "ispirazione" sono al meglio e più vicine alle radici blues e folk a me piace molto. Per chi avesse desiderio di ascoltare anche la melodia della canzone: http://it.youtube.com/watch?v=mBRNfWGxBp8&feature=related. and enjoy il video del 1980!
     
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  12. maria rossi
     
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    da l'inserto di "la Repubblica"

    Mannies
    UOMINI-TATA Amano stare con i bambini e ne hanno fatto un lavoro: un moderno modello di maschilità serena. Diventato business
    di Barbara Placido

    Sono giovani, aitanti, sportivi e instancabili. Cucinano, fanno il bucato, tengono la casa in ordine, amano i bambini e sanno come trattarli. Mariti ideali? No, mannies. Parola coniata per descrivere una nuova specie di uomini che si aggirano per il mondo anglosassone: maschi (men) che scelgono di essere nannies (tate). Cinque o sei anni fa, l'idea che un uomo potesse guadagnarsi da vivere occupandosi di bambini era assolutamente impensabile. Ora, non più. In America i mannies stanno acquistando sempre più prestigio e c'è persino un website - themanny.com - con tutte le informazioni su come scegliere e cosa aspettarsi da un manny. In Inghilterra, Elisabeth Hurley e Gwyneth Paltrow li hanno scelti per occuparsi dei loro figli. Sarà per via del fatto che donne belle, ricche e famose li prediligono, o perché, come insegna la storia di Jude Law e Sienna Miller, una nanny in casa potrebbe essere pericolosa, sta di fatto che le famiglie inglesi sempre più spesso impiegano un manny. Al punto che, per rispondere a tutte le richieste, a Londra è nata l'agenzia "Supermanny": fondata da due fratelli australiani, Mark and Rick Firth, già conta due succursali a Sydney e Mosca. Soprannominati "Hairy Poppins" (Mary Poppins Barbuti), i fratelli Firth lavorano da anni come mannies per famiglie di ricchi londinesi. Una carriera iniziata per caso e rivelatasi un grande successo. Mark era arrivato a Londra per lavorare come avvocato in uno dei più prestigiosi studi legali della capitale. Nick per fare l'allenatore in una esclusiva scuola di South Kensington. Ma è bastato poco perché scoprissero che non erano quelli i mestieri adatti a loro. Meglio, allora, diventare mannies. Per guadagnare, e divertirsi, di più. Visti i loro datori di lavoro, la cosa non stupisce. Miliardari di origine russa o mediorientale, giunti in città di recente, che non chiedono di meglio che veder trasformati i loro pargoli in perfetti scolaretti britannici: in grado di giocare a rugby e a cricket, di andare un giorno a Eton e poi, magari, a Cambridge o a Oxford. Fargli da manny, rivela Mark Firth in un'intervista, "è come fargli da allenatore, fratello maggiore e amico al tempo stesso". Sebbene dati i costi (un minimo di 500 sterline a settimana, più tasse, più infiniti regali e privilegi) non sia da tutti impiegare un manny, a farlo non sono solamente i ricchi e gli stranieri. Ryan Dalton, 26 anni, anche lui australiano, è un ex istruttore di nuoto e tennis. Oggi lavora come manny presso una famiglia inglese composta da madre e due figli. Se la madre l'ha scelto, è stato proprio perché mancava in famiglia una figura paterna. Altro che timore di essere tradite dal marito: nella maggior parte dei casi il problema è che un marito a casa non c'è affatto. Per un divorzio, o per un lavoro che lo tiene lontano 12 ore al giorno. Così, se diventa sempre più accettabile l'idea che un uomo si occupi dei bambini (persino in casa Blair è sempre stato Tony, si mormora, a svegliarsi di notte per accudire i pargoli), non sempre quest'uomo è loro padre. Compagni ideali I mannies sono allora il compagno ideale per chi non ha un papà abbastanza presente. Per questo Alice, 35 anni, divorziata, ha scelto un manny francese per occuparsi di suo figlio dodicenne. Con vantaggi maggiori di quanto si fosse mai immaginata: "È un modello maschile meraviglioso. Ha reso mio figlio più sicuro di sé. Per un ragazzo è importante vedere che un uomo sa essere materno, affettuoso e, allo stesso tempo, un "duro"". Anche per i mannies i vantaggi sono infiniti. "È come ritrovare una seconda adolescenza", dice Jaro, manny dal 2006 di Harry (12 anni) e Theo (16). Di origini slovacche, Jaro sostiene che nel suo Paese è del tutto normale per un ragazzo occuparsi di bambini. E a lui piace farlo. La sua vera passione è la musica: così insegna a Harry e Theo a suonare la chitarra e il piano. Con il padre, che i ragazzi vedono poco, nessuna competizione: lui, piuttosto, è una sorta di fratello maggiore. Anche Chris non ha dubbi. Neozelandese, ex giocatore di football, è a Londra per occuparsi di Thomas (11 anni) e Ned (5). "I miei amici mi prendono in giro per il mio lavoro. Ma basta pensare alle ore che loro passano chiusi in ufficio, mentre io gioco con i bambini al parco o alla Playstation per capire chi ci guadagna". Non c'è dubbio: in Inghilterra avere, ed essere, un manny va di moda. Tanto che persino il Norland College, luogo di formazione delle tate più tradizionali (e costose) d'Inghilterra, ha accettato per la prima volta un uomo. Più che una scuola il corrispettivo femminile di un'accademia militare, il Norland College offre dal 1892 nannies rinomate per discrezione, professionalità e disciplina. Moderne Mary Poppins, ma più severe e meno fantasiose. Tra loro, ora c'è anche Peter Cummins, robusto ventenne che ama il rugby quanto i bambini. Il suo talento Cummins lo ha scoperto quando, finite le superiori, si è ritrovato, quasi per caso, ad accudire a tempo pieno sei bambini tra i due e i dodici anni. "Leggevo loro le favole, li mettevo a letto, ci giocavo, gli facevo da mangiare. E ho scoperto che mi piaceva moltissimo". Così, dopo aver messo alla prova la sua vocazione lavorando in un asilo e in una scuola elementare, Peter è entrato alla Norland. E da lì è uscito quest'anno: capace di consolare un neonato che piange, di fare una torta, di giocare con un ragazzino, di rammendargli gli abiti: "Il sogno di ogni madre stremata", come lo ha definito un articolo del Telegraph a lui dedicato. Peter crede fermamente che i bambini "traggano vantaggio dall'avere dei modelli maschili. In una famiglia dove il padre è fuori per la maggior parte del tempo e la madre è spesso sola, so di colmare un vuoto". Finalmente il successo Ma essere un manny non sempre è facile. Mark fa questo lavoro dal 1993, e all'inizio le cose non andavano bene. Cresciuto in una fattoria nell'entroterra australiano, Mark ha sempre desiderato occuparsi di bambini. Ma quando lo rivelò al padre, suscitò una reazione inorridita. Alla fine, però, Mark ha seguito la sua vocazione; non senza incorrere in una serie di ostacoli. Qualcuno lo ha ritenuto "strano" (o perverso) per aver scelto questa carriera. Qualcun altro gli ha preferito una nanny. Ma, da quando è stato assunto per la prima volta, Mark ha avuto un lavoro dopo l'altro, e, negli ultimi anni, è stato così impegnato da rifiutare l'offerta di una coppia molto famosa: Jude Law e Sadie Frost. Che, chissà con quali rimpianti, hanno ripiegato su una tata. Malgrado i mannies stiano riscuotendo un enorme successo, la maggior parte delle famiglie finisce ancora per impiegare una tata. Sarà perché i mariti sono sospettosi e gelosi almeno quanto le mogli? Sarà perché l'idea che un uomo desideri occuparsi di bambini ci appare ancora così strana? Il dubbio e il timore si insinuano: e se finissimo per ritrovarci in casa un pedofilo? La verità resta che sono davvero pochi gli uomini che lavorano nel settore dell'infanzia. In Danimarca, che vanta la percentuale più alta di qualsiasi altro Paese europeo, solo l'8 per cento del personale impiegato nella scuola e negli asili è di sesso maschile. In un Paese come l'Inghilterra, dove nel settore c'è un'enorme carenza di lavoratori di entrambi i sessi, gli uomini costituiscono solo il 2 per cento. Il governo si è prefisso di arrivare al 6 per cento nel giro dei prossimi dieci anni. E la spinta per convincere gli uomini a intraprendere questa carriera è enorme: nel 2003 è stata anche lanciata una campagna con lo slogan "He Who Cares Wins". Come dire: "Il vero vincitore è l'uomo che ha cura del più debole". Di questi "veri uomini", attenti, responsabili, domestici, abbiamo bisogno, sostengono gli esperti. A un bambino, maschio o femmina che sia, avere di fronte esempi maschili positivi fa bene. Così la pensa anche Peter Cummins: "Non si tratta semplicemente di saper giocare a pallone, ma di offrire ai bambini una figura maschile rassicurante, buona". Forse, i mannies non sono solamente una moda, ma il sintomo di una silenziosa, significativa, rivoluzione. Forse stiamo imparando che i ruoli e i mestieri associati alle donne e alle madri non sono poi da denigrare. Forse, con il crescere del numero di mannies entusiasti, appagati e felici del mestiere che fanno, potrebbe crescere la percezione che chi lavora con i bambini deve essere valutato - e di conseguenza - pagato quanto è giusto. Come dice Adriano Fanti, ventitreenne brasiliano, manny di Roman, sei anni, Anoushka, quattro, e Wolfang, sei mesi: "I bambini ti danno moltissimo, sempre. Noi ci lasciamo spesso alle spalle momenti preziosi legati alla nostra infanzia, emozioni che dovremmo invece conservare. Quando si lavora con i più piccoli, queste emozioni riemergono. I bambini hanno un qualcosa di veramente magico. Lavorare con loro è certo una fatica, ma soprattutto è un enorme piacere". Forse, adesso che a dirlo è un uomo, qualcuno ci crederà.
     
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