Un giorno decisi di smettere di uccidermi

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  1. marinoni
     
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    Un giorno decisi di smettere di uccidermi



    Quando decisi di smettere di uccidermi, iniziai a cercare gli strumenti per poter interpretare la vita. Per quanto potessi pensare di essere “particolare”, cosciente che il cammino apparteneva a me, al pari di ogni responsabilità, sapevo però che l’esperienza altrui è di grande aiuto e che potevo cogliere i segnali lasciati da altri sul percorso.
    Ho dovuto trasformare il “tutto e subito” che era parte integrante del mio modo di sentire, imparando l’attesa, a volte un periodo lungo fra un periodo e l’altro, ma di grande importanza, in cui dovevo cimentarmi nel rimanere calmo e tranquillo senza permettere all’ansia e all’agitazione di trasformare l’attesa in un evento devastante.
    Ho dovuto imparare l’attenzione, che è l’anticamera della consapevolezza, per comprendere che se non fossi stato attento ai miei moti interiori, non potevo giungere a nessuna conoscenza. La troppa sofferenza, il concentrarsi troppo sul mio dolore, mi allontanava dalla conoscenza. In fondo il dolore doveva diventare un mio alleato, non un avversario. Pensavo a quante volte ho combattuto il dolore, per poi doverlo accettare senza poter far nulla. E poi alla paura, che sempre precede il dolore e a quel senso di impotenza, come se niente e nessuno mi potesse aiutare ad uscire da quello stato di prostrazione, che conoscevo molto bene. Ho provato un po’ alla volta ad invertire la tendenza, invece che rifiutare quel dolore, che non è possibile allontanare con il rifiuto in quanto, anzi, ne viene amplificato, provavo a farlo entrare con coraggio, parlandoci, come se fosse qualcosa di conosciuto ma impersonale. Non esiste essere umano che non abbia incontrato il dolore. Riflettevo sul momento in cui inavvertitamente toccavo qualcosa che scottava: se non ci fosse il dolore, mi brucerei la mano prima di accorgermene. Il dolore è quindi mio alleato, mi aiuta nella conservazione del mio corpo e mi spinge a trovare soluzioni per i miei dolori esistenziali, costringendomi a camminare anche quando la depressione e l’angoscia raggiungono livelli esasperati. Quel dolore quindi è stata una grande opportunità, oggi lo rispetto e lo ringrazio per avermi impedito di buttare la mia vita. Lo ringrazio per avermi forgiato e grazie ad esso è nato lo spirito del guerriero, che non cede mai, che si rialza dopo ogni caduta, consapevole che la grandezza di ogni uomo si vede da come si alza non da come cade. Non c’è gloria nel cadere, ma ci vuole coraggio e determinazione nel rialzarsi.
    Nessuno ci insegna come stare con noi stessi, perché la maggior parte degli uomini vive solo all’esterno di sé e pochi conoscono la radice dei loro malesseri. Accettano di star male, perché non possono fare altro, incolpando la società e le persone con cui vivono dei loro malesseri, ma riflettendoci nessuno ha il potere di farmi male, se io non lo voglio. Per riuscire a fare a meno del dolore, è necessario un grande rispetto per la propria vita, che nasce dalla presa di coscienza che sono un essere completo e che il mio mondo interiore è vasto e sconosciuto come quello esteriore.

    Ho dovuto imparare che portare rancore e ospitare sentimenti negativi era un modo tossico per avvelenarmi la vita, ho dovuto imparare la comprensione che non significa, perdonare tutti quelli che mi hanno fatto del male, ma togliere loro il potere di infliggermene di nuovo.
    La comprensione mi ha avvicinato a quel senso di unità necessario per vedere l’aspetto duale della vita cioè avere una visione più completa di ciò che accade, vedendo tutti e due gli aspetti di ogni evento, intuendo che, aldilà degli opposti, poteva nascere una visione che li comprendeva, e che la sofferenza era dovuta al mio attaccamento a solo una delle due parti, se dentro di me c’era tristezza doveva esserci anche la gioia perché ogni cosa in questo mondo ha il suo contrario e comprendere questo significava avere una visione unitaria dove i due opposti venivano visti sperimentati senza permettere che mi trascinasse in una sola via, ho compreso che la conoscenza non è coscienza ma l’essere coscienti passava dalla conoscenza di tutto ciò che in me si agitava e a tutto cera una risposta logica anche se la coazione a ripetere le esperienze negative era ancora un ordigno non disinnescato. Arrancavo con un filo di speranza in cerca di quella forza ai più sconosciuta ma da tutti posseduta, che non si sa né quando né dove, ma ad un certo punto entra in azione e allora la lunga notte volge al termine per lasciare il posto ad una nuova alba, che illuminerà gli angoli più reconditi della mia interiorità, portando in dote un gran bisogno di umanità e di perdono.
    Sono entrato in contatto con i miei sentimenti negativi di cui non ero cosciente; ero depresso senza rendermene conto: è solo quando sono entrato in contatto con la gioia e la pace che ho capito in che stato ero.
    Il mio primo obiettivo doveva essere raggiungere la consapevolezza dei miei sentimenti negativi, entrare in contatto con essi: mi sentivo malinconico, ero di cattivo umore, provavo odio nei confronti di me stesso, avevo sensi di colpa per non essere stato in grado di soddisfare le aspettative che altri avevano nei miei confronti.
    Cercare di capire che il sentimento era dentro di me e non nella realtà, era una cosa talmente evidente… che io non la riconoscevo.
    La mia mente: strumento e macchina straordinaria in grado di guarire, ma anche di ammalare.
    Forse ero cosciente di due o tre processi mentali che nell’arco del giorno venivano prodotti dalla mia mente, e gli altri, innumerevoli, da dove avevano origine?
    Mi presi la briga di passare qualche tempo ad osservare i miei pensieri, è un esercizio interessante scoprire come funziona la mente, ma non era semplice osservare nel vero senso della parola: l’osservatore non emette giudizi.
    Quando giudicavo il mio modo di pensare, la mente mi toglieva ogni possibilità di conoscere. Divenire osservatore senza giudicare era un principio molto difficile da imparare per una mente come la mia, abituata a giudicare tutto, è stato necessario far nascere la curiosità di chi vuol capire come funziona un meccanismo complesso.
    Abituato ad essere giudicato fin dai primi istanti della mia vita, la mia logica era basata sul “giusto e sbagliato” e, di conseguenza, c’è voluto un grandissimo sforzo per non emettere nessun giudizio e nel comprendere la radice dei miei pensieri da che cosa erano prodotti e quale era il condizionamento che aveva regalato loro l’energia per poter agire a mia insaputa.
    Essere osservatore imparziale dei miei processi mentali è stato molto istruttivo: ho dovuto provare, avvicinandomi per osservare ciò che mi appartiene ma non conoscevo, senza la presunzione di giudicare in buoni o cattivi i miei pensieri, dei quali non ero peraltro del tutto consapevole.
    Il segreto è sempre l’attenzione: quando si presta attenzione si diviene consapevoli dei pensieri che la mente sta producendo e, come conseguenza dell’essere presenti a se stessi, si rimane nel presente, unico momento veramente reale della vita.
    Compresi che per tanto sforzo avessi potuto produrre, non sarei mai riuscito a rivivere il passato e in ugual misura nemmeno a “pre-occuparmi” del futuro. Eppure conoscevo bene la difficoltà di vivere il presente come unico momento reale.
    Perché, dunque, la mia mente registrava innumerevoli momenti di vita passata e me li trasmetteva a suo piacimento, a seconda delle dinamiche di vita che stavo vivendo, oppure si lanciava nel futuro, progettando catastrofi o deliri di onnipotenza, mantenendomi in tensione ed occupato ad ascoltarla?
    La mia vita era inquinata da pensieri di non valore, da giudizi sentiti anni prima su questioni simili a quelle che stavo vivendo, ritrovandomi in questo modo spettatore inconscio di ciò che stava succedendo.
    Mi accadeva di essere triste o depresso senza saperne il motivo, poi compresi l’aspetto più devastante del condizionamento, venendo a conoscenza di come l’uomo ammaestra gli animali e in particolare mi ricordai di come si insegna a ballare ad un orso. L’orso non è in grado di ballare né di seguire la musica, perciò i movimenti che lui fa al suono di una musica ritmata assordata non sono altro che l’effetto di un condizionamento avvenuto precedentemente in maniera crudele da parte dell’uomo e per effetto di questo trauma l’orso, ogni volta che sente la musica, risente il dolore patito e muove le zampe a ritmo di musica, dal nostro punto di vista, ma in realtà lui sente lo stesso dolore patito durante l’evento traumatico che lo ha reso condizionato. L’uomo nella sua capacità di condizionare si è inventato un sistema semplice e crudele, ma efficace: usando lastre di ferro sulle quali l’orso è costretto a rimanere, le arroventa con il fuoco, mettendo una musica altissima. L’orso per istinto comincerà ad alzare le zampe una alla volta, per soffrire meno e da quel giorno in poi l’orso, ogni volta che sentirà quella musica, comincerà a ballare per effetto di un processo d’associazione.
    Questo fatto mi fece riflettere sugli eventi della mia vita e alle mie lamiere incandescenti che erano la disconferma continua, il tono di voce accusatorio, gli sguardi carichi di pregiudizio, la non accettazione della mia rabbia da parte dei miei genitori e questo mi portò alla comprensione profonda che ogni volta che le dinamiche della mia vita mi dimostravano attraverso lo sguardo delle persone anche sconosciute l’attivazione di quella musica che produsse il mio trauma cambiando totalmente il mio stato d’animo e ripiombando ancora nella depressione e in quei comportamenti che nulla avevano a che vedere con il nuovo fatto che stavo vivendo ma che solo per aver riconosciuto negli sguardi o nella voce qualcosa che richiamava il trauma subito, io non facevo ne più ne meno quello che fa l’orso: ubbidivo al condizionamento subito.
    La messa a nudo di questo meccanismo è stato di vitale importanza per non permettere più al condizionamento di vivere al posto mio e di riuscire ad accorgermi in tempo del momento esatto in cui partiva la musica e la giostra cominciava a girare. Fu una grande intuizione scoprire che potevo scegliere se fare un giro di giostra oppure solo guardarla girare. Mai avrei potuto fare questa scoperta, se non avessi trovato la forza ed il coraggio di osservare i miei pensieri e, attraverso l’attenzione nel guardare gli eventi della vita anche nei minimi particolari, scoprire il momento esatto in cui lo stato d’animo si modificava.
    Scoprii che tutto ciò che potevo conoscere sarei riuscito a modificarlo e cambiarlo, togliendo l’energia distruttiva del condizionamento e sostituendola con un profondo amore nato da una comprensione avvenuta.

    Se il sentimento negativo è dentro di me e non nella realtà, ci deve essere per forza un motivo, anche se a me sfuggiva.
    Ritengo che, visto che il patrimonio di sensibilità per la natura introversa è notevole, questo processo sia anche amplificato in quanto sensibile significa capacità di sentire, identificandosi con ciò che si vede o si sente.
    Per molte persone ciò non comporta gravi conseguenze, ma per me introverso travestito da uomo forte le mancate conferme producevano quel senso di non valore, che mi perseguitava in tutti i momenti della mia vita, facendomi sentire inadeguato, goffo, poco intelligente e generando senso di rabbia, anche autolesionista, di prostrazione e di inadeguatezza.


    Imparai che piccoli gesti quotidiani creano un’abitudine. Un’abitudine continuata genera un carattere e se i piccoli gesti sono amorevoli il risultato non potrà che essere un carattere amorevole. Questa non è filosofia ma è una formula matematica e logica. Nell’attesa che l’amore per noi stessi diventi l’unico ed il solo obiettivo permetteremo ad ogni giorno di essere il nostro maestro.

    Renzo Marinoni :D

     
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