"Musicofilia" di Oliver Sacks

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. maria rossi
     
    .

    User deleted


    Un giorno, a New York, Oliver Sacks partecipa all'incontro organizzato da un batterista con una trentina di persone affette dalla sindrome di Tourette: tutti appaiono in preda a tic contagiosi, che si propagano "come onde". Poi il batterista inizia a suonare - e come per incanto il gruppo lo segue con i tamburi, fondendosi in una perfetta sincronia ritmica. Questo stupefacente esempio è solo una particolare variante del prodigio di "neurogamia" che si verifica ogniqualvolta il nostro sistema nervoso 'si sposa' a quello di chi ci sta accanto attraverso il medium della musica. Presentando questo e molti altri casi con la consueta capacità di immedesimazione, in "Musicofilia" Sacks esplora la straordinaria robustezza neurale della musica e i suoi nessi con le funzioni e disfunzioni del cervello. Allucinazioni sonore, amusia, disarmonia, epilessia musicogena: da quali inceppi nella connessione a due vie fra sensi e cervello sono causate? Come sempre l'indagine su ciò che è anomalo getta luce su fenomeni di segno opposto: l'orecchio assoluto, la memoria fonografica, l'intelligenza musicale e soprattutto l'amore per la musica - un amore che può divampare all'improvviso, come nel memorabile caso del medico che, colpito da un fulmine, viene assalito da un "insaziabile desiderio di ascoltare musica per pianoforte", suonare e persino comporre. Grazie alle testimonianze dei pazienti di Sacks ci troviamo così a riconsiderare in una nuova prospettiva appassionanti interrogativi, e assistiamo ai successi della musicoterapia su formidabili banchi di prova quali l'autismo, il Parkinson, la demenza. Dai misteriosi sogni musicali che ispirarono Berlioz, Wagner e Stravinskij, alla possibile amusia di Nabokov, alla riscoperta dell'"enorme importanza, spesso sottostimata, di avere due orecchie": ogni storia cui Sacks dà voce illumina uno dei molti modi in cui musica, emozione, memoria e identità si intrecciano, e ci definiscono.
    "Una tale inclinazione per la musica traspare già nella prima infanzia, è palese e fondamentale in tutte le culture e probabilmente risale agli albori della nostra specie. Questa 'musicofilia' è un dato di fatto della natura umana. Può essere sviluppata o plasmata dalla cultura in cui viviamo, dalle circostanze della vita o dai particolari talenti e punti deboli che ci caratterizzano come individui; ciò nondimeno, è così profondamente radicata nella nostra natura da imporci di considerarla innata, proprio come Edward O. Wilson considera innata la 'biofilia', il nostro sentimento verso gli altri esseri viventi. (Forse la stessa musicofilia è una forma di biofilia, giacché noi percepiamo la musica quasi come una creatura viva)".

    I limiti di questo testo sono molti a mio parere. E' piacevole, interessante ma lascia un pò di domande insolute ad un lettore minimamente motivato e curioso. Molto spesso si aspetta il momento dell'approfondimento, dell"'affondo" qualitativo, interpretativo dei dati e delle varie storie collezionate lungo i capitoli del libro dovendosi accontentare di pochi commenti, fuggevolmente articolati e poi subito abbandonati.
    Probabilmente sulla materia (cervello e musica, musicalità) ancora c'è molto da esplorare e definire dal punto di vista della ricerca e questo impedisce di fare delle grandi dissertazioni sull'argomento (ma l'elevato numero di esempi e di letteratura sceintifica riportata in continuazione lungo tutto il libro sembrerebbe smentire questa possibilità o ridimensionarla parecchio) ma la spiegazione più plausibile sembrerebbe un'altra e cioè che l'approccio multidisciplinare e panantropologico che un lavoro del genere richiederebbe imprescindibilmente, difetta in questo autore (neurologo britannnico che vive e lavora in america da anni) e non ce ne stupiamo. Oramai la dissociazione che c'è fra sapere scientifico e sapere umanistico arriva al parossismo e ben pochi ricercatori, intellettuali, scienziati o docenti sanno far parlare insieme i due ambiti del sapere e della ricerca. La capacità di sintesi, di integrazione è pressochè evitata da tutti anche perchè oramai sempre meno ricercatori, studiosi ne hanno gli strumenti. E così le scienze umane che vivono e si poggiano proprio su questo vanno a farsi benedire e rimangono mutilate.
    Un neurologo che ignori o che non consideri strumenti e oggetto dei suoi studi le scienze umane; che non abbia fatto studi di storia, di antropologia, sociologia e psicologia dinamica colleziona e riporta dati interessanti e suggestivi su questo straordinario ed eccezionale organo umano che è il cervello (e sulle sue facoltà) ma non riuscie a interpretarli in maniera innovativa, brillante, originale. E questo succede leggendo Musicofilia di Oliver sacks.
    Le sugggestioni (di varia natura e titolo) non mancano ma le implicazioni che suggeriscono e comportano sono abbandonate o sottovalutate, quasi non interessassero l'autore stesso o esulassero dal suo campo di interesse. Considerare l'immersione degli individui (e quindi dei loro cervelli) nei grandi e collettivi oceani sociali, culturali e storici in maniera un pò velata e stereotipata, poco approfondita, poco integrata con le importanti e interessanti acquisizioni della neurologia, della biologia della genetica e così via è il vero limite che delude un pò. Insomma ogni tanto il medico del cervello e delle sue funzioni/disfunzioni si ricorda e richiama l'attenzione alla condizione di "umanità" e storicità in cui quest'organo strano e ancora enigmatico vive, si crea e costruisce ma non si va oltre a qualche frase ovvia e un pò stanca. E tutto finisce lì. Un vero peccato, un'occasione mancata.

    La scelta di raccontare, invece, il rapporto fra musica, uomini e cervello partendo dalle disfunzioni, dai ritardi, dalle malattie congenite o meno, funziona e fa leggere piacevolmente il libro. Ribaltare la prospettiva e partire dalle minoranze per spiegare le maggioranza, da chi ha problemi o doti al disotto o aldisopra della media (dall'orecchio assoluto all'amusia) per spiegare la "musicalità" di tutti noi, ricostruire la normalità da tutto ciò che non lo è (temporaneamente o permanentemente) è un 'operazione che fa il suo effetto e da soddisfazione. Chi scrive non sa dire se sia più frutto di un calcolo cotruito a tavolino in maniera paracula e sorniona o se possa rientrare in un' onesta (tutt'alpiù ingenua) operazione di riscatto, di ribaltamento delle gerarchie dovuta alla vicinanza del medico-autore con le persone-pazienti di cui parla. A chi scrive, comunque, è piaciuta soprattutto in alcune pagine dove l'autore sembra suggerire come i nostri normali e comuni concetti di intelligenza, di padronanza delle facoltà mentali, di sanezza, di essere presenti a se stessi, di capacità di sentire, di emotività, di capire e comunicare con l'esterno siano un pò monocorde, semplicistiche e velleitare se si tiene veramente conto delle grandi acquisizioni che i vari campi del sapere stanno individuando.
    Questa scelta narrativa che appoggiamo nel suo portato di ribaltamento di rapporti formali normale/malato a lungo andare diventa un pò aneddotica e ripetitiva riportando casi di pazienti, di personaggi vicini e lontani nel tempo e nello spazio, o vicende personali in una carrellata di capacità cognitive perse o acquisite nei modi più singolari, di funzioni o disfunzioni cerebrali possibili senza interrogare troppo anche altre branche del sapere che sono initmamente coinvolte.

    Edited by maria rossi - 3/7/2008, 12:15
     
    Top
    .
  2. alanisluce
     
    .

    User deleted


    Grazie Maria..sei davvero preziosa.

     
    Top
    .
1 replies since 1/7/2008, 12:31   270 views
  Share  
.
Top