La merlettaia

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  1. maria rossi
     
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    Un film toccante, tremendo e bello. Quasi un manifesto per molte/i, tanto composto quanto lacerante.
    Sul non aspettarsi granchè dalla vita se non stare sullo sfondo, in silenzio, per non disturbare troppo, godendo di far star bene gli altri, sicuramente più degni di andare avanti rispetto a se...quante persone (donne e uomini) introverse amano, vivono così? in punta di piedi fino a sprofondare? quante persone abdicano nel fare piccoli o grandi progetti su di se convinti di non meritare molto dalla vita? quanti sono dei comodi cuscini su cui poggiare e far star bene tutti, proprio tutti, fino a perdere completamente il contatto con se stessi? chi le vede queste persone, chi si accorge di loro? c

    Scena finale...pomme ci guarda.

    http://it.youtube.com/watch?v=fhrr-EczbmM


    La merlettaia (La dentelliere, 1977)
    "Da un romanzo di Pascal Lainé: nella cittadina balneare di Cabourg studente universitario di famiglia agiata e Beatrice detta Pomme, parrucchiera apprendista, si conoscono, si amano, decidono di convivere in un appartamentino a Parigi. Lui si disamora, lei se ne va in silenzio, si ammala di anoressia, è ricoverata in un ospedale psichiatrico. Una delle più belle storie d'amore degli anni '70 per delicatezza e profondità. È anche la storia di un delitto, di una demolizione, una metafora del modo con cui la ricca borghesia sfrutta la classe lavoratrice, una riflessione sulla donna come oggetto di consumo. La Pomme di I. Huppert sarebbe piaciuta a Bernanos: appartiene alla famiglia degli esseri umili e indifesi la cui silenziosa ricchezza è impercettibile al mondo."

    "Beatrice ha diciott'anni, la chiamano “Pomme” perché appena può rosicchia una mela. Apprendista parrucchiera, figlia d'una commessa, è timida e modesta. Ha per unica amica Marylène, una collega trentenne che è tutto l'opposto: estroversa e di piccola virtù, ogni qualvolta viene abbandonata da un uomo minaccia di suicidarsi ma trova subito chi la consola. Testimone dei suoi pianti, Pomme la conforta con la sua candida presenza. Non è che non abbia niente da dirle. È che vive all'alba della storia: con gli occhi e coi gesti, meglio che con le parole, le esprime il suo affetto. In vacanza a Cabourg sulla costa normanna, le due amiche vivono ore serene. Vanno in barca, e la sera al night Pomme resta a guardare Marylène che si sfrena nel ballo con un nuovo venuto. Un giorno appare François, uno studente di lettere dai modi gentili. Sboccia l'amore, il primo di Pomme, ingenuo e devoto, e di ritorno a Parigi i due vanno a vivere insieme.
    Non durerà a lungo. Circondato da amici intellettuali, figlio di un notaio, l'uomo sente presto il disagio d'avere accanto una donna incolta, che quasi mai apre bocca e proviene da un mondo tanto diverso dal suo. Né Pomme, contenta di dirgli il suo amore in punta di piedi, tutta casa e lavoro, sa come difendersi: mentre François discute con gli ospiti di filosofia, ascolta, sorride, le basta l'intelligenza del cuore. Quando François le chiede di separarsi, accetta senza proteste. Passano i mesi, e Pomme, all'orlo di una quieta follia, è in clinica psichiatrica. L'uomo viene a trovarla, ma ormai per pietà: un'ombra di rimorso non basta a fargli misurare il male che involontariamente le ha fatto. Né forse Pomme, spenta ogni grazia, gli serba rancore. Piegata su un piccolo lavoro donnesco, si volge a guardarci. E nel suo silenzio c'è come una sfida.
    Premiato a Cannes nel '77 dalla giuria ecumenica, La merlettaia è un film di cui si è serbata memoria fortissima, e non soltanto perché involontariamente rovesciava il senso del contemporaneo Padre padrone. L'opera dei Taviani celebrava il possesso della parola e della cultura come strumento d'identità. Per rammentarci che esso non basta alla comprensione reciproca, e anzi può essere un fossato, lo svizzero Claude< Goretta (ricorderete L'Invito) ci dà un film delizioso, parente stretto d'uno dei quadri più famosi del Seicento olandese, appunto La merlettaia di Jan Vermeer. Come nell'umile silenzio di quella donna assorta c'è un'intensità d'espressione, un raccoglimento operoso che qualsiasi voce sciuperebbe, così il ritratto di Beatrice, un “cuore semplice” schiacciato dalla barriera alzata fra le classi dal mito della cultura, è fra i più toccanti del cinema intimista.
    Le virtù di Goretta, soprattutto il suo visualizzare con lenta attenzione gli attimi sospesi, il suo accostarsi con trepido affetto ai tumulti sepolti nell'animo della gente qualunque, la sua analisi puntuale delle fragilità sociali, il suo contrapporre le ricchezze interiori dei cosiddetti poveri di spirito alle nevrosi dei giovani che si credono superiori perché discutono sulla dialettica marxista, sono virtù fiorite al meglio in questo film semplice e lineare, pieno di pudore e di amarezza per la difficoltà di far convivere un uomo e una donna tanto diversi, l'uno educato ad accogliere soltanto quanto capisce, l'altra nata a conoscere coi sentimenti, e dunque muta ma vittoriosa il giorno della resa.
    Per questo film Goretta fece il nome di Carlo Cassola. Noi vi aggiungiamo quello di Ermanno Olmi. Il vecchio motivo dell'incomunicabilità della coppia torna infatti sullo schermo, lavato d'ogni scoria intellettualistica, con un accento umbratile e casto che lo adegua alle ultime malinconie d'una società distruttiva per troppo sapere, e lo fissa in immagini pittoriche (con quegli esterni deserti, quell'aura cecoviana) così ricche di mezzetinte da comporre uno dei più sconsolati quadri d'epoca. Interprete magnifica ne è Isabelle Huppert, una presenza emozionante per convinzione e verità, ma sono ben calibrati anche Yves Beneyton, un Francois cui gli amici giustamente rimproverano di comportarsi da padrone, e Florence Giorgetti, l'esuberante Marylène, l'altra faccia della femminilità. I dialoghi italiani dei film (che discende dal romanzo di Pascal Laine premiato col Goncourt) sono di Dacia Maraini."

    Da Il Corriere della Sera, 7 ottobre 1979

    Edited by maria rossi - 30/3/2009, 17:16
     
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