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Codice deontologico per introversi (giovani e meno giovani)
1. Non piangersi addosso. Il narcisismo della sofferenza non serve a nulla.
2. Non limitarsi a dire “quanto sto male”: il dolore non è una quantità, ma una qualità (un vissuto emozionale).
3. Chiedersi sempre (e solo) “perché sto male”. Non esiste il male oscuro: l'oscurità è il limite della comprensione.
4. Non credere alla prima risposta, che di solito è stereotipica (tipo: il mondo fa schifo).
5. Idem con la seconda (nessuno mi si fila), la terza (i miei non mi capiscono), la quarta (ho bisogno d’affetto), ecc.
6. Arrivare al fondo dei luoghi comuni sul malessere (sono una decina).
7. Prendere atto che la risposta giusta è: “non lo so”.
8. Dare credito alla formula aurea secondo la quale non lo so significa non so di sapere (vale a dire non voglio saperne di sapere).
9. Assumere a colpo sicuro il malessere come una protesta dell’inconscio contro un amministratore (l’Io) che, non accettando i vincoli del suo ruolo, intende spadroneggiare sul patrimonio che gli è affidato.
10. Dare per scontato che, in genere, non si sta male perché si è introversi, bensì perché non si sopporta di essere tali e si fanno carte false per giustificare la volontà di cambiare (per esempio esasperando la sofferenza fino al punto di dire: “come posso accettare ‘sta cosa se mi fa stare così?”).
11. Prendere atto (e ricordarselo per tutta la vita) che la sensibilità, l’intelligenza, la cultura non pongono automaticamente al riparo dalla tendenza dell’Io ad ingannare sistematicamente se stesso (inganno inconsapevole=mistificazione).
Il codice è eracliteo (oscuro). Funziona solo per chi ha orecchi da intendere. "Guarire" è null'altro che (!) un processo di demistificazione. Se dura tutta la vita (lo dico per esperienza), non porta alla saggezza: riduce solo, e di poco, il tasso di universale stupidità...
Luigi Anepeta

Le domande sono troppo impegnative. Nessuno – penso – è in grado di scrivere un manuale su come si fa a "vivere bene" (anche se molti psicologi statunitensi ne pubblicano di continuo). Il come si debba vivere è una faccenda troppo personale, troppo creativa per essere codificata.
E’ più semplice (per modo di dire) elencare ciò che di sicuro impedisce agli introversi di vivere meglio. Un elenco (approssimativo) potrebbe essere il seguente:
1)Tormentarsi nel perpetuo confronto con gli altri chiedendosi come fanno ad andare avanti senza porsi troppi problemi.
2)Interrogarsi sulla propria diversità ruminando di continuo per farsene una ragione. La diversità è un fatto genetico: si può solo accettarla e tentare di utilizzarla.
3)Arrabbiarsi per la superficialità altrui. La realtà è stratificata: la superficie è comunque parte di essa. Occorre concedere alle persone di galleggiare senza mettere la testa sotto l’acqua.
4)Adottare strategie di imitazione del comportamento altrui o di difesa (implicitamente sprezzante).
5)Preoccuparsi perpetuamente di conseguire la conferma di tutti. Una personalità differenziata evoca per forza reazioni di simpatia e di antipatia nei diversi contesti interpersonali.
6)Ritenere che un rapporto significativo, affettivo, duale sia la soluzione del problema della solitudine (di solito per questa via diventa il problema).
7)Dimenticare o ignorare che il mondo è un prodotto della storia, che va compreso prima di essere giudicato.
8)Rimuovere il fatto che si vede sempre la trave nell'occhio dell'altro e quasi mai quella nel nostro (ci sono sempre travi non fuscelli).
9)Adottare nelle relazioni con gli altri una logica lineare, interpretando il proprio comportamento come conseguenza di quello altrui, e non una logica interattiva, che porta a riconoscere che tutti adottano la prima logica.
10)Nutrire indignazione, rancore, rabbia, ecc. perché il mondo non è fatto a misura dei propri bisogni.
L'elenco potrebbe andare avanti all'infinito. Se si riesce ad evitare di cadere nelle trappole citate, si è già un bel pezzo avanti.
Il problema è che occorre sviluppare una nuova visione del mondo, della storia, dell'uomo e dell'individuo immerso nel flusso della storia per raggiungere un qualche equilibrio. Nessun manuale può promuovere una cosa del genere. Io di sicuro non sono comunque in grado di scriverlo o meglio l'ho scritto ma in una forma che – pare – non è molto utile (Abbecedario di scienze umane e sociali).
Luigi Anepeta