Sul blue post-parto

una visione più sociale e integrata...

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  1. maria rossi
     
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    c'è tutto un mondo, un patrimonio che quotidianamente viene degradato, svilito e sotto-valutato. è un mondo governato da donne. già in un altro post avevo scritto che tutto il lavorio femminile che secondo me umanizza ancora un pò gli individui e questa società viene continuamente rimpicciolito. nel domestico come nel pubblico. io non voglio diventare uomo nel lavoro e nella vita (uomo nel senso di predatore senza scrupoli, sicuro di se e menefreghista) ne assumere modi e mentalità che non mi appartengono ma non voglio nemmeno che l'essere sensibili e attenti agli altri sia un destino da subire solo al femminile. la cura di se e degli altri, il farsi carico degli altri ( E DI SE'!) non può essere una richiesta/pretesa fatta solo al mondo femminile, è ingiusto e patologizzante! e infati le donne stanno male...soprattutto le madri, o comunque quelle che in casa si trovano costrette (non sempre da compagni aguzzini ma anche dall'interiorizzazione del loro ruolo, di certi modelli) a farsi carico da sole di tutto un mondo, un lavoro, un sapere ed un carico che agli occhi degli altri rimane un misero sottobosco di poco conto.


    LA DEPRESSIONE
    una epidemia sociale al femminile

    a cura di Elvira Reale

    “Conoscerla di più per prevenirla, per evitarla, per non averne più paura, per superarla.”

    Comune di Ferrara
    Assessorato Pari Opportunità
    Assessorato Servizi Sociali Sanitari
    Commissionne Donne Elette
    Azienda Usl Dipartimento Salute Mentale
    Piani per la Salute
    Centro Donne e Giustizia

    Comune di Ferrara • 2006 Anno della Salute



    Stanchezza Demotivazione Svalorizzazione

    1. Se ti senti stanca e non sai perché
    Analizza il tuo carico di lavoro familiare come analizzi - se lo hai - il carico di lavoro esterno. Avrai una risposta alla tua stanchezza, prima inspiegabile.

    2. Se ti senti demotivata e non sai cos'è
    Analizza il rapporto con i fruitori del tuo lavoro, i tuoi utenti naturali: il marito i figli, i tuoi genitori e scoprirai di sentirti demotivata priva di energie positive ed allora questo vorrà dire che sei in burn-out.

    3. Se ti senti svalorizzata nel rapporto di coppia
    Approfondisci questa sensazione e vedi se nel rapporto di coppia ti senti umiliata dal partner, ti tradisce o diversamente ti richiede eccessive attenzioni, facendoti sentire in colpa, o ancora svilisce la tua funzione, la tua immagine, vorrà dire che stai subendo un'azione di maltrattamento psi cologico o molestie morali, o ancora un vero e proprio mobbing.

    Se tutto ciò ti sta capitando
    non ti devi disperare, c'è un problema, lo vedi ed il vederlo ti permette di affrontarlo. Fin quando lo vedi e ce lo hai di fronte, non sei ancora in depressione, stai valutando la tua situazione. Se però non trovi soluzioni ai tuoi problemi allora è possibile che tu vada in depressione, ovvero che tu dica a te stessa: “non posso cambiare nulla al di fuori di me, tutto va nel migliore dei modi o nell'unico modo possibile, sono io che non vado, che devo cambiare, sono io che forse non vado perchè sono malata o perchè comunque ho un problema personale”

    Mettiamo uno stop alla depressione
    non pensiamo che sia colpa nostra o sia solo colpa nostra, pensiamo che, se prima non eravamo depresse ed ora lo siamo, ci sono motivi e ragioni concrete su cui possiamo agire. L'aiuto esterno facilita la soluzione del problema ma intanto ci sono cose che puoi fare da sola… e falle subito.

    1. Se ti senti stanca riduci il lavoro in casa, e non pensare come prima cosa a ridurre il lavoro esterno.
    2. Se ti senti demotivata, metti una distanza subito dalle relazioni di supporto e di aiuto. Cambia orientamento e chiediti se il tuo coinvolgimento non sia eccessivo e inadeguato allo scopo di benessere che ti sei proposta.
    3. Se ti senti svalorizzata e pensi di essere incapace, chiediti prima di tutto se per caso non sono gli altri a farti sentire così. Vedi quali possono essere le ragioni degli altri ad umiliarti e denigrarti. Se non le vedi da sola fatti aiutare dagli altri, ad esempio dalle amiche, anche da quelle che ultimamente hai allontanato perchè critiche con la tua relazione coniugale.

    In tutti e tre i casi
    esci dallo stretto giro familiare e riprendi in mano le relazioni sociali ed amicali: è come aprire la finestra quando c'è una fuga di gas!
    Se invece...
    lasci correre queste situazioni, lasci crescere questi sentimenti apparentemente innocui, come impotenza, svalutazione della tua immagine, senso di incapacità e di mancanza di controllo sulla tua vita; se riduci, per vergogna o per stanchezza, i rapporti con gli altri, i legami con il mondo esterno, chiudendoti su te stessa e sui tuoi problemi, senza saperlo puoi far crescere i fattori di rischio per la depressione.

    E allora...
    è il momento di approfondire le tue sensazioni, e di imparare a riconoscere i fattori di rischio sottostanti.
    Da questa conoscenza inizia la prevenzione come strumento nella vita quotidiana per potenziare le prospettive di salute e benessere delle persone.



    Non chiamiamola più male oscuro
    E scopriamo insieme come dietro ogni depressione vi siano motivi e fatti della nostra vita quotidiana che possono essere modificati.
    Ora è il momento di vederci chiaro
    Iniziamo insieme il viaggio all'interno dei fattori della vita quotidiana che ci mettono a rischio di depressione.



    Avanti tutta con i nuovi fattori di rischio
    Condividendo quindi alcuni punti fermi: più eventi stressanti negativi, meno autostima e meno supporto sociale incidono sulla cattiva salute delle donne e sull'orientamento verso la depressione, entriamo nel vivo dei nuovi fattori di rischio:

    * Lo stress del lavoro familiare
    * Il burn-out del lavoro di cura
    * Il maltrattamento nelle relazioni familiari

    La nuova frontiera della prevenzione:

    * Considerare nella depressione le cause scatenanti più frequenti: il sovraccarico da cure materne e la violenza del partner
    * Sviluppare pratiche diagnostiche e preventive in grado di cogliere queste due cause
    * Sviluppare interventi di alleggerimento dello stress e di contrasto della violenza

    Rischio sovraccarico di cure materne
    Costituisce una protezione dal rischio:
    dare informazioni e strumenti alla donna con carico familiare perché:

    1. la maternità non sia assunta come esclusivo onere personale;
    2. il lavoro materno abbia dei limiti precisi di tempo e di spazio; ed in particolare non modifichi radicalmente stili di vita precedenti;
    3. il rapporto con i figli e gli altri componenti della famiglia sia improntato all'assunzione della cura di sè (sviluppo delle autonomie) da parte di ciascun membro.

    Rischio sovraccarico da doppio lavoro
    Costituisce una protezione dal rischio:

    1. informare la donna dei rischi contenuti nella sovrapposizione e costante interferenza dei carichi familiari con quelli extra-familiari;
    2. informare la donna del peso maggiore contenuto nel carico familiare rispetto a quello extra-familiare: indicare cautela nelle decisione “al buio” di eliminazione del carico extrafamiliare;
    3. offrire alle donne strumenti di orientamento per affrontare la condizione di lavoratrice senza stress rispetto alla condizione di madre;
    4. offrire alle donne lavoratrici e ad i loro partners occasioni di formazione per la condivisione delle responsabilità del management familiare.

    Rischio isolamento
    Costituisce una protezione dal rischio:

    1. incentivazione alla programmazione di tempi liberi, giornalieri e settimanali, da impegni familiari e di cura;
    2. sviluppo dell'orientamento a stare con gli altri, al di là delle relazioni familiari ed al di là dei compiti di cura;
    3. stimolazione alla comunicazione dei fatti privati, contro il detto: “i panni sporchi si lavano in famiglia”

    Rischio da carenza di interessi personali
    Costituisce una protezione dal rischio:

    1. sottolineare l'importanza di imparare: a focalizzare l'interesse su di sè; ad ascoltarsi, silenziando le richieste degli altri;
    2. indirizzare la donna alla riscoperta del "piacere di fare" contrapposto al "dovere di fare", attingendo a patrimoni anche passati, accantonati per soddisfare le esigenze della "cura degli altri";
    3. sviluppare gruppi di auto-aiuto, in particolari tappe di vita (maternità ad esempio) finalizzati al sostegno di uno stile comportamentale auto-riferito ed auto-centrato.

    Rischio da rinuncia dei progetti personali
    Costituisce una protezione dal rischio:

    1. sostegno alle donne nel riconoscimento delle proprie spinte progettuali, collegate a capacità e risorse personali presenti nell'attualità o nella storia di vita;
    2. individuazione dei progetti risarcitori, ovvero fatti in nome di altri come prolungamento della progettualità altrui, e dei vincoli che essi creano alla libera progettualità femminile;
    3. informazione alle donne sulla necessità di sviluppare, in ogni momento ed età, progetti ed obiettivi auto-centrati, svincolati anche dal consenso di altri soggetti specificamente individuati (partner, figli, ecc.).

    Rischio da caduta dell'autostima
    Costituisce una protezione dal rischio:

    1. informare la donna sui percorsi che portano alla caduta della stima di ssé: riduzione di interessi e progetti personali, perseguimento di progetti perfezionistici centrati sul presunto benessere altrui, attacchi esterni, svalutazioni, maltrattamenti e violenze condotti da persone o ambienti significativi per la propria realizzazione;
    2. sostenere la donna nella adozione di uno stile comportamentale maggiormente collegato ad un incremento della stima di sé, e quindi svincolato dal giudizio degli altri;
    3. sviluppare la conoscenza sui processi di incremento della stima di sé nel rapporto con gli altri, che può avvenire solo al di fuori dei rapporti di dipendenza dai bisogni altrui;
    4. offrire alle donne, anche attraverso i gruppi di auto-aiuto, occasioni per riconoscere nell'ambiente familiare ed extra-familiare le minacce concrete al proprio patrimonio di sicurezze personali e ricercare i modi più appropriati per difendersene.


    Elvira Reale


    Lo stress del lavoro familiare
    Cos'è lo stress da lavoro?
    Lo stress da lavoro può essere definito come le risposte dannose fisiche ed emotive che si verificano quando le esigenze lavorative non si conciliano con le capacità, le risorse o i bisogni del lavoratore.

    Tutti concordano che le condizioni di stress al lavoro si trasformano in disagi e malesseri e se cronicizzati ed a lungo termine o in vere e proprie malattie. Due le malattie ad alto rapporto con lo stress lavorativo: le malattie cardiovascolari e quelle psichiche con le sindromi ansiose e depressive in primis.

    Dice l'Agenzia Europea per la sicurezza e la salute al lavoro che: “Lo stress lavorativo è fonte di depressione ansia, nervosismo, affaticamento e malattie cardiache."
    Se vogliamo ridurre la stanchezza e sentirci maggiormente in forma, con adeguate risorse per affrontare la nostra giornata di lavoro, è opportuno visualizzare quello che facciamo in termini di sforzo e fatica come lavoro per la famiglia.
    Noi prenderemo in esame soprattutto il carico ed il suo eccesso, connesso con la mancanza di riposo adeguato.

    Hai visualizzato il tuo carico di lavoro?
    Non potrai più dirti e dire agli altri, compresi i medici, sono stanca ma non so perché. Potrai cominciare a buona ragione a parlare di stress come causa di qualche tua défaillance nella tua vita quotidiana.

    Ed ora facciamo una contro-prova : parliamo del tempo dedicato a te stessa.

    Quanto tempo dedichi a te stessa ed in quali attività?
    Se:

    1. hai una elevata percezione del tuo stato di stress,
    2. hai una giornata tipo assolutamente improponibile per un qualsiasi lavoratore europeo, ovvero con:
    * più di otto ore di lavoro,
    * senza pause adeguate,
    * con turni notturni, o sonno discontinuo,
    * senza alcuna condivisione e socializzazione del carico di lavoro (senza aiuti),
    * con scarsa soddisfazione, mancanza di riconoscimenti esterni,
    * con segnali di malessere in molte attività che svolgi,
    allora…

    FERMATI!


    I SEGNALI DICONO CHE STAI VIAGGIANDO PERICOLOSAMENTE PER LA TUA SALUTE

    E non dimenticare che allo stress del lavoro familiare devi aggiungere quello del lavoro esterno, quando questo per le sue caratteristiche aumenta la fatica e non ti compensa con gratificazioni adeguate.
    Occhio quindi anche allo stress del lavoro produttivo dopo però aver bene visualizzato quello familiare, denominatore comune per lo stress di tutte le donne.

    Uno sguardo al lavoro esterno ed al suo ruolo
    Se lavori di più della media delle donne del tuo paese puoi pensare di essere sotto stress, se cominci ad accusare sintomi di stanchezza, è il momento di prenderti una pausa, senza decisioni affrettate.
    Se lavori anche fuori casa puoi avere la tentazione di pensare di recidere questo ramo della tua attività.
    Ecco, prima di prendere decisioni rifletti sul fatto che il lavoro esterno è sempre più protetto. Ha diritti condivisi, organizzazione del lavoro, leggi avanzate dalla parte dei lavoratori cui fare riferimento.
    E poi le ricerche dimostrano che spesso il lavoro esterno è un fattore di protezione, perchè sebbene le donne patiscano più stress dovuto alla loro collocazione, il lavoro esterno le supporta dal punto di vista e della autonomia economica e della autonomia psico-sociale rispetto alla vita familiare ed alla relazione con il partner.
    Quindi, anche se le donne sono impiegate maggiormente in quei tipi di lavoro definiti ad High strain (elevata domanda con bassa libertà di decisione), anche se questa tipologia è fortemente collegata all' usura delle energie psico-fisiche e quindi più stressante di altre, nonostante tutto ciò, il lavoro esterno rispetto al carico familiare può essere un moderatore dello stress.
    Insomma:
    Il lavoro professionale può essere
    sia un fattore di protezione dallo stress familiare
    che un fattore di rischio aggiuntivo (aumento dello stress)

    Sotto il primo aspetto (protettivo), esso può avere un ruolo di compensazione dello stress familiare offrendo alla donna alcune condizioni di vita che mettono al riparo dalla depressione o da eventi che favoriscono la depressione, quali:

    * l'autonomia economica, e l'autonomia dal partner;
    * il mantenimento della stima di sé attraverso riconoscimenti e gratificazioni professionali,
    * lo stimolo a mantenere la cura di sé,
    * la spinta ad accrescere le proprie risorse e competenze,
    * la socializzazione, ecc.


    Sotto il secondo aspetto (di rischio), il lavoro esterno può essere esso stesso un elemento di potenziamento dello stress se ripete, accrescendole, le condizioni di stress familiare. E ciò può succedere anche frequentemente per una serie di ragioni. Nel lavoro professionale, il maggior potere decisionale è concentrato nelle mani degli uomini che dettano le regole per l'accesso al lavoro e per la carriera. In esso quindi possiamo individuare specifici agenti stressanti (stressor) legati alla differenza di genere e cioè: discriminazioni e minori riconoscimenti economici e di carriera dati alle donne a parità di qualità ed impegno con i maschi; mobbing e molestie sessuali.

    Dopo che ci siamo fermate cosa fare ?
    Ridurre, Ridurre, Ridurre, Ridurre, Ridurre, Ridurre, Tagliare, Tagliare, Tagliare, Tagliare, Tagliare, Tagliare...

    …ma sapendo cosa tagliare e dove ridurre.

    Non si taglia in prima battuta il lavoro esterno: quella è l'ultima ipotesi da valutare.
    La prima causa di rischio per la depressione è il lavoro familiare: esso va messo sotto la lente di ingrandimento per valutare le parti da tagliare e quelle da ridurre.

    Facciamoci aiutare dalle linee guida europee per la prevenzione dello stress lavorativo e apprendiamo così che i primi passi vanno nella direzione seguente:

    1. riorganizzare l'attività professionale, ridistribuendo le competenze ed i carichi di lavoro tra più persone (evitando che la quantità di lavoro assegnata sia eccessiva per alcuni o insufficiente per altri);
    2. migliorare il sostegno sociale;
    3. prevedere una ricompensa adeguata per gli sforzi compiuti dai lavoratori.



    Consigli pratici per ridurre il carico familiare
    prima di andare in tilt

    1. Ricordati che essendo il lavoro domestico il più complesso, articolato, espanso e senza limiti tra tutti i lavori, hai sempre diritto, per tutelare la tua salute, alla condivisione.
    2. Se lavori fuori casa in genere l'aiuto in casa è necessario, ricordati che l'aiuto ti salva dallo stress. Ma anche se sei casalinga il lavoro in casa è il più pesante in confronto ad ogni altro tipo di lavoro ed hai quindi diritto ad un aiuto.
    3. Pensa ancora, se hai resistenze o difficoltà a chiedere aiuto o a procurarti un aiuto a pagamento, che quando si tratta di salute sei disposta a fare qualsiasi sacrificio, allora avanti: si fa per la tua salute e per quella delle persone cui tu offri cura.
    4. Se proprio ritieni che avere un aiuto è impossibile o anche se non ti risolve tutto pensa allora a ridurre tutte le attività superflue.
    5. E' superfluo tutto ciò che non punta alla sopravvivenza. Esempio: se è necessario preparare il cibo per qualcuno, sia io una casalinga o una con un lavoro esterno devo impegnarmi a ridurre lo stress in questa mansione. Allora cucinerò qualcosa di semplice.
    6. Ricordati che poche cose sono necessarie e quelle comunque non dovrebbero per definizione pesare solo su di te: la cura dei bambini piccoli, e la cura degli anziani e dei disabili.

    Obiettivo della riduzione del carico di lavoro è la cooperazione di tutti all'azienda famiglia. Con i figli il discorso si collega e alla loro autonomia e allo sviluppo di competenze nella cura personale, del loro spazio e delle loro cose. Più cose imparano sulla cura di sé, più sviluppano competenze e capacità di gestione della loro vita personale.
    Il primo che deve condividere le responsabilità del lavoro familiare è il partner. Se il partner è assente o non è in alcun modo cooperativo, la condivisione può avvenire sul piano dello scambio in una rete familiare allargata o extrafamiliare/amicale. In questo caso la condivisione dei compiti significa entrare in una organizzazione di scambi di competenze e cure.
    Ricordati poi sempre quello che molte persone dicono della loro infanzia: Ciò che mi è mancato è il sorriso di mia madre. E come può trovare la forza di sorridere una donna piegata dallo stress, che non ha il tempo o la forza di guardarsi allo specchio?

    E allora quello che non si deve ridurre è il tempo per sè e per le relazioni amicali, il così detto tempo libero, quel tempo che ti fa stare bene con te stessa e che rigenera e reintegra le tue forze spese per il benessere degli altri.

    Se invece stai pensando proprio a questo, che per difenderti dallo stress e dalla fatica quotidiana puoi solo tagliare il tempo delle attività che gli altri giudicano superflue perchè non impiegate per loro, allora......

    ATTENZIONE!
    Stai dando fondo alla botte ed alle tue riserve energetiche, se ti capita un evento stressante, anche di non gravissima entità in questo periodo, ti troverai in serie difficoltà a fronteggiarlo.
    Ecco, questo tipicamente accade alle donne quando dicono di sè: “non capisco perchè ho retto a cose ben più gravi, ed ora per una cosa davvero insignificante anche se fastidiosa crollo!”

    Sappi che è ben possibile che accada se non hai più con te energie di riserva ed in particolare le tue sicurezze personali (gli amici fidati, i tuoi interessi, il tuo tempo impiegato con soddisfazione per accrescere te stessa e le tue competenze)

    Non tagliare...
    ...la tua rete amicale, il tempo dedicata ad essa, la cura di te: ovvero i tuoi interessi, le attività che non interessano gli altri perchè non li riguardano, non riguardano la loro cura.
    Tutto ciò è per te una riserva di energie e risorse che puoi azionare per fronteggiare lo stress quotidiano o gli eventi stressanti della vita.

    Il burn-out ovvero la sindrome dello scoppiato
    Ed ora devi sapere che lo stress non è dato solo dal sovraccarico di mansioni, e compiti, dalla loro urgenza e fretta, e convulsività ma è dato anche dal tipo di coinvolgimento emotivo.

    Il coinvolgimento emotivo è caratteristico non tanto di un insieme di compiti, essi stessi onerosi, quanto dal fatto di sentire, pensare ed essere considerata responsabile degli altri, avere in mano la chiave del loro benessere e della loro salute, nonchè della loro vita.

    Spesso le donne raccontano che l'inizio della depressione è stato segnalato dal fare le cose senza gioia, meccanicamente, con un senso di oppressione e di dovere. Quelle stesse cose che fino a poco prima erano gioiose e davano senso alla vita.

    Quando ciò accade ed insieme alla stanchezza cade su di noi questa forma di apatia e di mancanza di gioia, prima di parlare di depressione parliamo di una sindrome sufficientemente conosciuta nel mondo del professioni di aiuto che si chiama burn-out, ovvero sindrome della persona bruciata, scoppiata, esaurita.

    Il burn-out e le aspettative impossibili
    Le aspettative nel lavoro di cura familiare sono impossibili, sopra le righe, assolutamente non perseguibili e quindi facilmente soggette a fallimento.

    Impariamo a riconoscerle e a ridurle!!
    Che fare se sei in burn-out?
    Se ti senti anche tu bruciata guardiamo alle misure di prevenzione che possiamo trasferire dal settore pubblico alla famiglia.

    Sei misure contro il burn-out familiare
    Non si può svolgere bene un lavoro di cura, attendere al benessere altrui se tutto è centrato come attenzione sul cliente (ovvero un familiare): al contrario una misura centrale di prevenzione è tenere l'occhio su se stessi.
    L'operatore della cura deve essere in buona salute se vuole portare aiuto e se vuole essere utile agli altri.

    1. La prima misura correttiva è centrare l'attenzione su di sé e sulla cura di sé.
    Attenzione cioè ai propri bisogni fisici e psicologici, al riposo, alla distensione nelle pause e nel tempo libero, ecc.
    2. La seconda misura, in connessione con il centrare la risposta sul proprio sistema di bisogni, è conoscere i propri limiti e le proprie competenze, avere un quadro realistico delle proprie possibilità psico-fisiche senza considerarle espandibili ad oltranza e a dismisura..
    3. La terza misura è filtrare le richieste. Non tutte le richieste che vengono fatte all'operatore o alla donna sono da prendere in carico. Alcune sono richieste impossibili, altre poco significative per il benessere, altre controproducenti.
    4. La quarta misura collegata alla terza è farsi una rappresentazione del sistema dei bisogni dei vari componenti della famiglia. Differenziare all'interno della famiglia chi ha diritto alla cura massima in rapporto a: età, capacità di autonomia, livello di salute ecc, e chi invece può divenire, da oggetto di cure, un attore o un cooperatore della cura degli altri.
    5. La quinta misura è inserire tra sé ed i curati un sistema di riferimento sociale che triangoli il rapporto diretto con i curati, allentando il sistema di dipendenza e la tendenza del curato a tenere in ostaggio il curante con la sua dichiarazione di soddisfazione rispetto alle cure erogate. Altri punti di riferimento che valutino l'azione del curante potranno prescindere dalla soddisfazione del curato e definire il limite oltre il quale l'azione del curante consista in “accanimento delle cure o sovraproduzione delle cure”.
    Stabilire così un proprio sistema, svincolato dai fruitori delle cure, di “supervisori” riferendosi per questo non a figure professionali, ma ad amiche ed amici, con cui scambiare esperienze di cura e con cui confrontarsi sulla bontà delle proprie scelte anche se “rifiutate e denigrate “dai curati.
    6. Infine la sesta misura, valida nel lungo periodo: trasformare la cura degli altri, che a lungo andare è controproducente per lo sviluppo delle autonomie personali, in capacità di ciascuno di provvedere alla cura di sé.
    Trasferire quindi competenze per la cura di sé, sostenendo le sicurezze e le certezze degli altri sulle capacità individuali a fare conto sulle proprie forze nell'affrontare le difficoltà e gli eventi stressanti.



    Ed ora stop alle cure per tutti
    Ridurre, Tagliare, Ridurre, Ridurre, Tagliare, Tagliare...

    Avanti tutta con la cura di te stessa
    Il primo antidoto alla cura indiscriminata degli altri è la cura di te stessa.
    Impara ad acquisire competenze sul tuo benessere: non rinunciare mai alla cura di te.

    UN RISCHIO PER LA SALUTE DELLA DONNA È: LA RINUNCIA ALLA CURA DI SÉ

    * È fare per altri come fare per sé: sovrapporre e fondere gli interessi degli altri con i propri.
    * È attendere il giudizio degli altri per valutare il proprio operato: solo gli altri sono giudici del mio comportamento, che deve essere principalmente rivolto alla soddisfazione dei loro bisogni.
    * È non riconoscere stanchezza e noia, essere sempre pronta a farsi carico di tutto.
    * È restringere i propri spazi, silenziare i propri bisogni, per non essere intralciata nell'ascolto e nell'attenzione ai bisogni altrui.
    * È ridurre/azzerare le relazioni con gli altri: sottraggono tempo ed energie alla cura.

    UNA PROTEZIONE PER LA SALUTE DELLA DONNA E': ACQUISIRE COMPETENZE SULLA CURA DI SE'

    * D i s t i n g u e r e i propri interessi, le cose che piacciono, che ti fanno sentire bene da quelli degli altri.
    * Non focalizzare l'attenzione sul giudizio di coloro che curi: io posso valutare il mio comportamento e le mie scelte nel soddisfare i bisogni altrui, tenendo presente anche i miei bisogni.
    * Essere sempre attente alle proprie reazioni di stanchezza: sono segnali importanti di stress e burn-out.
    * Non restringere mai i propri spazi, semmai ampliarli come protezione da stress e burn-out.
    * Mantenere/ampliare le relazioni di supporto: sono necessarie per sottrarsi ai rapporti di dipendenza familiare.



    Se la cura di te ti è estranea
    impara a costruirla così:
    Metti i paletti ed i limiti alle richieste degli altri.
    Impara a dire NO - NON POSSO - NON VOGLIO - NON DESIDERO - NON MI PIACE

    Per prima cosa NO alle cose che senti ti fanno stare male: fisicamente e psicologicamente.
    Molti sono i compiti della cura che richiedono sforzo fisico pericoloso (sollevamento pesi e movimentazione carichi eccessivi), dannoso per la tua salute. Molte richieste sono improprie: cercano di scaricare su di te compiti di pertinenza degli altri, imponendoti di fatto un ruolo di servizio che ti può mortificare sia a livello di immagine che a livello pratico, nel ridurre le tue risorse ed le tue energie personali.

    Dire NO alle richieste che implicano un danno psico-fisico per te e che non sono necessarie alla sopravvivenza degli altri.

    Il rispondere NO rinvia ad una percezione di te come persona “finita“ che ha limiti precisi; la ridefinizione dei propri limiti comporta inevitabilmente il ri-disegnare i limiti ed i confini anche dell'altro.

    Passa dalla dipendenza a senso unico alla inter d i p e n d e n z a

    E libera le tue risorse:
    capacità, attività, progetti,relazioni sottratti alla cura degli altri e dedicati a te.

    Ricordati che sei libera di cambiare: la direzione delle tue risorse, dei progetti e dei modelli.

    Il maltrattamento familiare
    Non vi è un profilo di donna maltrattata come non vi è un profilo caratteristico della donna depressa.
    Il maltrattamento come la depressione attraversa tutte le fasce di età ed i livelli socio-culturali. Esso, come dicono l'Organizzazione Mondiale della Sanità e le Nazioni Unite, ha origine nel dislivello di potere sociale tra uomo e donna, deriva dalle discriminazioni di genere che penalizzano il femminile, presenti ancora oggi in tutte le culture.
    Le condizioni generali del maltrattamento stanno e attraversano tutte le società e fanno parte della cultura dei paesi in via di sviluppo quanto di quelli sviluppati.

    NON DIPENDE DA TE, NE' DA COME SEI FATTA SE SEI MALTRATTATA
    È UN FENOMENO DIFFUSO CHE INTERESSA TUTTE LE DONNE

    * Il maltrattamento entra a pieno diritto nelle cause della depressione.
    * Esso costituisce, da un punto di vista statistico, una causa molto frequente di depressione.
    * Le donne ne sono vittime nel corso della vita ed anche nel periodo della gravidanza e del postparto.
    * Il maltrattamento va quindi sempre tenuto presente come possibile causa o con-causa in una depressione femminile apparentemente sine causa.

    La violenza ha a che fare con la depressione perché:
    danneggia l'autostima, riduce i supporti
    Ogni tipo di violenza sia fisica che psicologica, determina un effetto di lesione e di danno sulla salute psichica perchè:

    1. induce un vissuto di esposizione, inermità, disvalore;
    2. riduce l'autostima, deteriora l'immagine di sè, induce sensi di incapacità ( il non aver saputo agire, contrapporsi) e di inferiorità rispetto alle altre donne percepite come "rispettate" e indenni da violenza;
    3. stimola l'isolamento da un contesto "che non deve sapere";
    4. in definitiva collabora attivamente alla crescita dei disturbi psichici ed in particolare della depressione.

    Il tempo misura la forza del danno
    Il più potente alleato nella formazione di un disturbo psichico codificato è il tempo che la donna trascorre all'interno della situazione di violenza: più è lungo il tempo, più il disturbo psichico, la depressione in particolare, si espande, si cronicizza e si rafforza.

    Violenza e maltrattamenti
    Fisici - Economici - Psicologico-emotivi
    Sociali - Mobbing - Verbali
    Lavorativi - Sessuali
    Ed ora parliamo di maltrattamento come mobbing.
    La Corte di Appello di Torino con sentenza del 21.2.2000 ha accomunato i maltrattamenti familiari al mobbing ed ha affermato che: “costituisce causa di addebito della separazione il comportamento del marito che assuma atteggiamenti di mobbing nei confronti della moglie, ingiuriandola e denigrandola, offendendola sul piano estetico, svalutandola come moglie e come madre”.

    Cos'è il mobbing?

    Il termine “mobbing” ha origine inglese, deriva dal verbo “to mob” che vuole significare attaccare, assalire. Questo termine deriva dall'etologia per indicare quello specifico comportamento di alcuni animali che circordano minacciosamente un membro del loro gruppo, da cui si sentono minacciati, per spingerlo ad allontanarsi.

    Cosa succede nel mobbing familiare?

    il mobbing viene posto in essere da quei coniugi che artatamente ed in modo preordinato tendono con atteggiamenti “persecutori” a costringere i loro partner a:

    * ridurre il loro potere contrattuale,
    * fare qualsiasi azione a vantaggio dell'altro,
    * lasciar correre qualsiasi abuso patito,
    * o anche lasciare la casa familiare o addirittura ad addivenire a separazioni consensuali svantaggiose per se stessi.

    Come nei rapporti di lavoro, anche nei rapporti familiari, attraverso metodi striscianti di “terrorismo psicologico”, spesso la vittima puo' incorrere in gravi reazioni psichiche quali la depressione o anche il suicidio.



    Ed ora AZIONE
    Se hai rintracciato i segni di maltrattamento e questi non sono occasionali, se non derivano cioè da litigi occasionali e di breve durata, in cui ti senti e sei ad armi pari, ma durano per un minimo di sei mesi / un anno ed hanno una frequenza che va da un minimo di più volte al mese a un massimo di ogni giorno,
    è ora di agire
    per evitare che questa nuova tendenza nel rapporto di coppia possa incrinare la stima di te e farti andare in depressione.

    Vademecum per uscire dal maltrattamento

    1. De-struttura ed interrompi la dipendenza dal partner, lavorando sul superamento dell'isolamento e sul recupero di risorse sociali presenti nella tua vita e prosegui inserendo nuove risorse esterne di supporto.
    2. Individua strategie di alleggerimento del carico di lavoro familiare e della pressione dei compiti di ruolo, condizione materiale primaria per il costituirsi di una situazione di dipendenza ed isolamento.
    3. Struttura spazi personali di investimento alternativo al partner e alla famiglia, e su questi sperimenta in maniera soft l'affermazione delle tue capacità.
    4. Sviluppa strategie personali di contrasto all'interno della relazione di coppia: I° regola, non sottoporre al giudizio e consenso dell'altro le tue scelte.
    5. Elabora una percezione di te più realistica, rivedendo e riscoprendo le tue risorse e capacità (non perse, ma accantonate), confermale in relazioni con altre persone più positive e meno critiche, e sperimentale soprattutto in rapporti ed in attività al di fuori dell'ambito familiare.
    6. Rivedi un progetto di vita a lungo temine con la possibilità di pensare e fare programmi “ a partire da te stessa.”
    7. Riconosci nel maltrattamento subìto i limiti e le responsabilità culturali del tuo partner senza sentirti in colpa ma senza più tollerare. Se il partner ha problemi personali deve imparare a risolverli affrontandoli con l'aiuto di altri.



    Come riepilogo ricordati che
    lo stress - il burn-out - il maltrattamento...
    ... sono i principali fattori di rischio per la depressione.
    In tutti e tre ritrovi gli stessi componenti:

    * sovraccarico di lavoro,
    * la mancanza di controllo sulle condizioni del lavoro,
    * riduzione di interessi, risorse e progetti personali (riduzione della cura di sé),
    * isolamento e dipendenza,
    * riduzione della stima di sé.



    Ma poi proviamo a ridurre tutto ad unica misura di prevenzione: una sorta di comune denominatore cui ridurre i fattori di rischio.

    UN'UNICA MISURA PER TUTTO
    Prendiamo spunto da un esempio eccellente in medicina: la malattia cardiovascolare.
    In questo ambito si sono fatti passi avanti per la prevenzione. Guardiamo cosa ci dicono gli esperti:

    LINEE GUIDA per ridurre il rischio c a rd i o v a s c o l a re

    Una moderata intensità di esercizio fisico per almeno trenta minuti al giorno più volte alla settimana, preferibilmente tutti i giorni, riduce del 30% il rischio di eventi cardiocircolatori.
    L'esercizio fisico è dimostrato che abbassa tutti i fattori di rischio per la patologia cardiovascolare:

    1. permette di controllare il peso,
    2. riduce la pressione arteriosa,
    3. aumenta il colesterolo HDL,
    4. riduce l'insulino-resistenza e pertanto la glicemia.

    Ed ora procediamo nella stessa direzione per individuare una misura che agisce in senso preventivo su tutti i fattori di rischio e sui loro componenti di base.

    LINEE GUIDA per ridurre il rischio depressivo:

    Uscire dall'isolamento e praticare una attività sociale, in cui sei a contatto con persone positive e di supporto per te, per almeno trenta minuti al giorno più volte alla settimana, preferibilmente tutti i giorni, abbassa clamorosamente il rischio di eventi depressivi.

    La pratica sociale è dimostrato che abbassa tutti i fattori di rischio per la patologia depressiva:

    1. permette di controllare il sovraccarico lavorativo,
    2. riduce l'isolamento,
    3. riduce la pressione degli eventi di vita negativi.

    In definitiva controlla positivamente il rischio stress, burn-out, maltrattamento.

    Questa misura agisce sul complesso delle condizioni che sostengono:
    Stress, Burn-out, maltrattamento.



     
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    "Una volta si chiamava il "pianto del latte". Oggi ha il nome di una musica lenta, dolce e triste che evoca invece il pianto dell’anima: “blues del dopo parto” o “babyblues”. Così, Donald Winnicott, pediatra e psicoanlista inglese, aveva definito quel leggero stato di depressione, quell’incomprensibile malinconia, che colpisce circa l’80% delle donne verso il quinto giorno dopo il parto, insinuando fra i sentimenti gioiosi di aver generato un bambino, altri, meno nitidi, più confusi e indecifrabili.
    Una normale reazione della mamma al primo grande distacco fisico, all’improvvisa, cesura del legame simbiotico, sostengono in molti, una dolente malinconia che affonda le sue radici nel venir meno del “bambino della notte”, il bambino lunare, fantasticato durante la gravidanza o ancora prima, da bambine.
    Con l’avvento sulla scena del bambino “reale”, ecco allora che questa sorta di silenzioso, fisiologico, ritiro in se stesse assume altre valenze riflessive, e le neo-mamme si osservano, perplesse sulle proprie capacità di allevare il neonato: un grande sconosciuto.
    Perché oggi, spesso, si diventa mamme senza avere mai visto un neonato, diversamente da un tempo in cui era da mamme, zie, cuginetti e fratellini, in un contesto di famiglia allargata, che si imparava un "saper fare" al femminile, rassicurante, che toglieva al tanto esaltato “istinto materno” quell’aurea di odierno misticismo a favore di una concezione dove alla “natura” faceva seguito e risconto una “cultura” condivisa della competenza materna.
    Chiacchierare con un neonato, appassionarsi alle sue straordinarie visioni della vita, diventa così difficile, ed è davvero curioso che in un contesto culturale come il nostro che in teoria esalta la maternità, condannando aborto, contraccezione e referendum, in pratica la maternità la emargina, tagliando in contemporanea fondi monetari a Nidi, Servizi e Sicurezza Sociale.
    Certo non sono gli “sportelli rosa” del comune di Milano o i mille euro dati in premio dal Governo per il secondo figlio, ad alleviare il senso di solitudine quasi fisica, o la frettolosità, o l’anonimato, in cui si trovano a vivere molte mamme di oggi, conseguentemente impaurite da un coinvolgimento “a due” con il bambino; un legame che possono avvertire come eccessivo, come un qualcosa che le assorbe totalmente, tanto da annegarci dentro.
    In questo senso la fretta di “togliersi la vestaglia”, di riprendere rapidamente il lavoro riconquistando competenze sociali sicure, come denunciano le statistiche, rappresentano anche una fuga dall’isolamento e dalla solitudine. Il fiorire e moltiplicarsi sul mercato di riviste specializzate da “Io e il miobambino”, “Mamma e Bambino”, “Insieme”, “Primi giorni”, “Primi mesi” e così via, e di una miriade di libretti divulgativi, a ben guardare, danno ragione a una visione incerta, paralizzante e solitaria che accompagna la neomamma quando, fuori taglia e spaesata, torna a casa con il suo neonato.
    Inevitabili irritazioni, momenti di stanchezza e di insofferenza da una parte, avide pretese e proteste rabbiose dall’altra segnano le tappe della lotta quotidiana che costituisce l’altra faccia della medaglia nell’idilliaco rapporto madre-bambino. Basta poco per capire che l’amore materno (per intendersi quello della pubblicità Barilla o dell’acqua Sangemini) non basta, e che la canzoncina della Zanicchi “Mamma tutto” è una frottola.

    Sotto la dittatura dell’orologio, al limite delle forze, loro, le mamme-sorriso, in realtà si sentono tritate come polpettoni. E corrono, le mamme, al primo pianto senza dare al bambino il tempo di vivere l’attesa.
    E’ vero, hanno fretta di decodificare il pianto o la bizza, perché in un'ora devono fare il bagnetto al piccino e preparare la cena.
    E sanno di sbagliare perché proteggendolo a oltranza sottraggono al rampollo l’esperienza creativa di infilarsi, magari, nell’attesa, un dito in bocca.
    Li viziano, dunque, ricorrono anche a un allattamento ininterrotto, dando loro la sensazione che solo nel rapporto continuo e fusivo con la madre ci sia la possibilità di star bene.
    E poi è vero. Il pianto del piccino è intollerabile. Lo vivono come un rimprovero; altre volte ne hanno proprio paura, si sentono incapaci di frenare quella furia irosa.
    Diciamo pure che di fronte a quell’oggetto piccino, totalmente dipendente dalle proprie cure, le neo-mamme si sentono schiacciate dal peso della responsabilità, svalutate dalla solitudine, preda di un groviglio di sentimenti, in un “acceleriamo” contemporaneo che non dà tregua perché i bambini invece sanno che il mondo è tutto per loro e si regolano di conseguenza!
    Mamme, alla fine, esauste, che non si divertono più e che intrattengono il bambino come fosse un piccolo imperatore offrendo attività, cambiamenti e eccitazioni, incapaci di porre dei limiti; per questo i ragazzini, annotano i sociologi, diventano poi spietati e tirannici facendo esplodere di rabbia anche la più materna delle mamme. Sentimenti difficili da decodificare, ambivalenze che poco si legano a un¹idealizzazione dell’amore materno che provoca in molte madri l'incapacità di accettare momenti di stanchezza, di irritazione, di insofferenza, a volte anche di collera e di aggressività nel confronti del figlio, senza sentirsi in colpa.
    ”Ci sono persone che rimangono colpite quando scoprono che un neonato non suscita in loro solo sentimenti d¹amore” affermava Winnicott. Invece è importante sapere che anche l’aggressività è una componente dell’amore materno, da sempre.
    In fondo, Hansel e Gretel o lo stesso Pollicino avevano una mamma che non aveva esitato a esporre i loro bambini alle fiere del bosco, senza togliersi certo “il pane di bocca”, come vorrebbe la tradizione. E anche la mamma di Cappuccetto Rosso: lasciare andare con disinvoltura la sua bambina in un bosco infestato dai lupi! E quante strege, maghe, orchesse, suocere o sorellastre, stanno lì a segnalare archetipi di una madre cattiva dispotica e invidiosa, sdoppiamento, tuttavia, indispensabile della primitiva immagine materna nella dolce mamma del cielo da un lato e nella malvagia mamma della terra, dall’altro.
    Rabbie e rancori albergano così nella mente materna, di colei che per principio e comodità - siamo abituati a considerare buona, disponibile e preoccupata solo del bene dei propri figli. Eppure, Freud per primo aveva aperto la via alla concezione dell’ambivalenza affettiva, intesa nel senso di un decorrere parallelo dei sentimenti di amore e di odio.
    La madre, quindi, per quanto amorosa, è per naturale conseguenza quella che inconsciamente odia di più il bambino e quella che ha più motivi per odiarlo, "schiavizzata" e "vampirizzata" com’è dalle sue incessanti richieste, in uno sfibrante servizio a tempo pieno, in una dedizione assoluta, e apparentemente senza contropartita.

    Senza pruderie e sentimentalismi Winnicott, proprio lui, il teorico della mamma normalmente devota e sufficientemente buona, aveva ritenuto che fosse per prima la mamma a odiare il suo bambino, molto prima che questi desse il via alle proprie ostilità.
    E a questo umano sentimento materno riconobbe ben diciotto validissime motivazioni.
    Vogliamo ammettere che il bambino, diverso da quello immaginato, non lo porta la cicogna e che per nascere ha sformato il suo corpo e messo a repentaglio la sua vita?
    Vogliamo considerare che la tratta come una colf senza stipendio, che lei è costretta ad amarlo, cacca inclusa, mentre lui, l’ingrato, le mordicchia rabbioso il seno gonfio di latte, esige la sua presenza continua poi dopo la molla come si fa con un limone spremuto?
    Inoltre, nulla della mamma resta inviolato, non c’è uno spazio fisico o mentale che il figlio non possa mettere a “ferro e fuoco”, impadronendosi dei segreti. Senza considerare che la tradisce con la tata, fa le boccacce alla sua pappa, ignora e ignorerà sino alla vecchiaia i suoi tremendi sacrifici, e in più la frustra perché crescendo si sottrae al suo amoroso potere e perché lui non può tollerare il suo odio, e lei deve fare di tutto per controllarlo e reprimerlo senza cedere al desiderio di fargli male.
    La madre viene grossolanamente usata, concludeva Winnicott, il suo serbatoio di energie individuato, forzato e svuotato con puntigliosa regolarità da bambini che vanno per la loro strada e che si lamentano. Non c’è pietà, non un ringraziamento esplicito, le vie di mezzo sono escluse, perché il compito principale del bambino piccolo è sopravvivere.
    E dunque i bambini continueranno ad essere una seccatura. Però una soluzione, il socratico Winnicott l’aveva individuata nel fatto che alla madri serve “dire”, “condividere” le proprie tribolazioni mentre le stanno vivendo.
    “Una parola al momento opportuno fa giustizia di tutti quanti i rancori, scriveva, sono convinto, per dirla in termini pratici, che sia utile far toccare con mano alle madri i loro risentimenti, anche i più aspri”. Condividere il mestiere di mamma, sollevare la coltre della solitudine consente alla mamma stessa, non più idealizzata, di “odiare a volte il suo bambino, senza mai fargliela pagare” (Winnicott).
    Manuela Trinci "
     
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