Introversione? Posso spiegarti tutto...

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  1. Koenig4
     
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    La giovane studentessa è sicuramente un'introversa sia perchè voleva scrivere una tesi sull'introversione sia perchè voleva parlare dell'introversione in chiave innovativa ( positiva? ) ma ha dovuto rinunciarci sia perchè ha associato all'introversione
    il tema "veleno" ( l'interiorizzazione dei pregiudizi? ). La risposta è razzista allo stato puro. Se non l'avessi trovato io quest'articolo e in mancanza di fonti non mi sarebbe sembrato vero. E' invece è verissimo. Stà cosa mi fà incazzare...

    Da Internet ( fonte ) :

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    Giano si rivolge a tutti gli studenti delle medie superiori e in particolare a coloro che hanno curiosità culturale, voglia di studiare e l’ambizione di accrescere la propria formazione.

    Da Internet ( fonte ) :

    Tesina introversione
    Delia, sabato 02 gen ha scritto:

    Caro Giano,
    frequento il Liceo Classico e quest’anno chiudo un percorso che almeno nominalmente dovrebbe avermi reso matura.
    L’esame per cui mi preparo esige, come sai, oltre ad un ripasso generale di tutti i programmi di tutte le materie, l’elaborazione di un percorso monografico interdisciplinare.
    Avevo riflettuto principalmente su due argomenti, uno più intellettualistico ed astratto ed un altro più materiale, ma curioso.
    Il primo voleva trattare dell’“Introversione”, non della timidezza, ma di quella particolare disposizione dell’animo che riguarda proprio tutti in determinati momenti della vita, ponendoci a confronto col nostro Io più intimo escludendo le contingenze ed il mondo esterno. Purtroppo ho ritenuto di dover rinunciare avendo riscontrato difficoltà da parte degli altri nell’intendere il mio argomento che forse è un po’ troppo cervellotico ed indirizzarmi sul secondo, “veleno”.
    Veleno inteso di per se’, ma anche come avvelenamento dello spirito, dell’anima.
    Non voglio dirti nulla dei collegamenti e delle argomentazioni che ho autonomamente ipotizzato, così da non precluderti alcuna possibilità ed ottenere da te un aiuto assolutamente libero ed a 360 gradi.
    Ho ovviamente necessità di trarre in ballo quante più materie possibili fra quelle del mio curriculum classico (letterature greca, latina, italiana, inglese; storia; storia della filosofia) con qualche eventuale riferimento anche alle materie scientifiche.
    Mi fido, grazie dell’aiuto,
    D.

    Cara Delia,

    entrambi i temi che hai scelto sono molto interessanti e non credo si possano distinguere semplicemente tra ‘intellettualistico’ e ‘materialista’, come suggerisci tu. Mi pare che gli aggettivi che usi in maniera oppositiva riducano di molto il campo delle possibilità che entrambi ti offrono. Credo, inoltre, che tu abbia, da quanto lasci intravedere nella tua lettera, anche già elaborato un percorso tuo che hai deciso di tenere gelosamente per te. A questo punto non mi resta che ‘svelarti’ un po’ di cose che mi sono venute in mente in riferimento alla tua ‘impresa’ e mi riservo di confrontarle con le tue, quando e se deciderai di espormele. Tra i due, mi concentrerò sul primo. L’introversione, come espressione dell’orientamento della personalità ricco di un corredo emozionale sulfureo e intimista, può essere accostato, senza alcuna forzatura, alla malinconia. Da sempre, infatti, la malinconia è stata interpretata come una patologia del singolo proprio per il ‘distacco’ dal mondo e dalle relazioni che essa sembra produrre. Non solo, come la malinconia, l’introversione sembra essere anche espressione di una personalità ‘geniale’ dotata di una sensibilità spiccatamente artistica. Entrambe queste visioni insistono sull’opposizione tra esterno e interno, vita psichica e vita sociale, individuo e mondo e mettono a fuoco il movimento recessivo, di allentamento dalle cose di fuori. Il soggetto introverso è un soggetto malinconico proprio perché l’introversione allude ad una sorta di ripiegamento su se steso dell’Io, di un’attenzione al mondo ‘intimo’ della propria identità e di dipartita dai legami sociali. Pensa alle riflessioni di Freud in Lutto e malinconia, per il quale la tendenza a rintanarsi in sé e a vivere dei fantasmi della psiche tipica della malinconia, designa un’interruzione del lavoro luttuoso che segue la perdita di un oggetto investito d’amore e che, se condotto fino in fondo, cioè fino al distacco da ciò che si è perduto e ad un nuovo attaccamento pulsione ad un altro oggetto d’amore, ci consente una salvifica sopravvivenza psichica. Oppure pensa a Jung che è stato il primo a coniare il termine su cui stai riflettendo e per il quale esso rappresenta una tipologia psichica negativa, un disagio della personalità, che designa una figura misantropica e insicura.

    Queste importanti riflessioni possono essere per molti versi relativizzate e lette in modo critico, se si pensa che nessun mondo interiore, nessuna identità, può formarsi, emergere e costituirsi a prescindere da un’implicazione radicale con il mondo, le regole sociale e una stringente relazione con gli altri. In altri termini l’introversione malinconica può essere considerata come un sentimento utile a dimostrare al mondo l’esistenza di un mondo interiore “unico e originale” da contrapporre alla ‘volgarità e alla banalità’ del mondo esterno o, comunque, alla sua incapacità di entrare nella scena interiore. Ma è davvero così? A questa immagine – che sul piano filosofico può essere ricondotta all’idea cartesiana del soggetto auto-fondato e trasparente a se stesso, capace, quindi, di conoscersi e di esprimere senza vincoli la propria volontà sovrana – risponde una tradizione filosofica che legge il soggetto come un piano d’iscrizione del mondo che lo circonda, un ‘luogo’ marcato da una continua trasformazione sinergica con ciò che è diverso da sé. Puoi fare riferimento a importanti filosofi francesi come Michel Foucault e in tal senso possono esserti utile queste pagine di Bodei. Anche il pensiero ha insistito su questo aspetto, basandosi su un’idea di soggettività decentrata, sempre esposta al di fuori di sé, tipico del pensiero francese. Tra le tante voci, ti consiglio Judith Butler. Puoi leggere un capitolo de La Vita psichica del potere in cui la filosofa americana riflette proprio su questo aspetto dell’introversione malinconica.

    Come vedi, queste mie indicazioni, più che offrirti una semplice strada su cui far avanzare la tua analisi in modo lineare, intendono suggerirti una visione più complessa e contraddittoria di temi a prima vista univoci. Credo che questo ti sia molto utile per dare spessore alla tua ricerca e, in generale, per apprendere un metodo che la filosofia ci ricorda da millenni: interrogarsi, scomporre e ricomporre le idee per coglierne tutte le implicazioni, anche quelle più nascoste. L’esercizio a cui ti invito, allora, puoi tentarlo da sola, magari con il tuo secondo, probabile tema, oppure concentrarti su questo e continuare su questa strada.

    Buon lavoro,
    Giano

    Edited by Koenig4 - 10/6/2010, 21:36
     
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  2. senzanome70
     
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    ho letto.
    sono parzialmente d'accordo con quanto risposto da Giano.
    va specificato che quanto scritto si inscrive in un discorso più filosofico che psicologico.
    più volte anepeta ha ribadito quello che ognuno di noi facilmente dimentica: introversione ed estroversione allo stato puro non esistono. non esiste una personalità esclusivamente introversa e un'altra esclusivamente estroversa.

    da un certo punto di vista, il credere nettamente a una divisione tra introversione e estroversione significa rifarsi a tutta una cultura occidentale filosofica che fa capo al pensiero cartesiano (e non solo, si pensi a Platone) e di cui tutti noi siamo imbevuti fin dalla nascita (chissà, per alcuni oserei dire che addirittura alcuni geni oramai sono marchiati in modo indelebile).
    La dicotomia mente - corpo che tanto piace è un'invenzione filosofica.
    Cartesio inventa la mente staccata dal corpo con il metodo dell'epoché, la sospensione del giudizio. Si spreme le meningi e secondo lui non resta altro che l'Io-penso.
    Il fuori e il dentro, l'alto e il basso, l'esterno e l'interno, tutte dicotomie alle quali noi continuiamo a credere come fossero vere, cioè come se avessero un corrispettivo reale, sul piano di realtà.
    Non si dà un Io e poi il mondo esterno. L'Io, il Sé, l'individuo non esiste in quanto tale ma solo in quanto immerso nel reale, nel mondo.
    Il nostro non è un essere ma un esser-ci nel mondo.
    Siamo costantemente in con-tatto con il mondo. Siamo immersi nel mondo. Non ci è dato uscire dal mondo, a nessuno.
    Siamo necessitati a essere nel mondo. Non si sfugge, non si può, nessuno.
    Per questo, se si vuole intendere l'introversione nell'accezione di quanto su esposto da questo Giano, il ripiegamento su di sè è una chimera, un'illusione. Il contatto con il mondo resta sempre.
     
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  3. Koenig4
     
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    CITAZIONE (Koenig4 @ 10/6/2010, 20:48)
    Oppure pensa a Jung che è stato il primo a coniare il termine su cui stai riflettendo e per il quale esso rappresenta una tipologia psichica negativa, un disagio della personalità, che designa una figura misantropica e insicura.

    Questa di Giano è una fantasia allo stato puro. E vuole pure dispensare informazioni...

     
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  4. senzanome70
     
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    CITAZIONE
    Ogni coscienza individuale vive nell’interfaccia di due mondi: quello esterno, su cui è affacciata attraverso i sensi, e quello interno, che viene recepito come “sede” della propria identità. Il tratto estroverso/introverso, sul piano immediato, significa semplicemente che alcuni soggetti sembrano più attratti dal mondo esterno, altri da quello interno: gli uni pensano, sentono e agiscono sulla base dei dati che arrivano dal mondo esterno; gli altri filtrano attraverso il mondo interno tali dati e danno ad essi significati soggettivi.

    (dal vademecum sull'introversione dal sito della LIDI)

    Si potrebbe provare a discutere quanto su scritto.
    Io ritengo, per quel che può valere la mia opinione, che sia vero, ma occorre semrpe specificare, cosa che Anepeta mi pare faccia anche il altri contesti.
    Non esistono due mondi, non esiste un io e poi il mondo esterno. La scissione è puramente teorica.
    Ed infatti è teorica anche la dicotomia introversione ed estroversione perché è una questione di tratto prevalente non di tipo puro.
    Se gli estroversi ri-conoscessero e coltivassero il proprio tratto introverso le cose andrebbero molto meglio per gli introversi.
    Infatti, io credo che l'introverso viva la dipendenza dal mondo esterno (e anche io scrivendo devo operare una distinzione che nella realtà non esiste) come drammatica, come sofferente, non in quanto tale ma perché si sente rifiutato, sbagliato, inadeguato, rispetto a un modello normativo che non può accettare perché quel modello effettivamente non lo include. in poche parole, l'introverso è rivolto verso verso sé, ma sa, ha piena consapevolezza e coscienza (sempre che con il tempo non si siano creati dei disturbi nevrotici della personalità) del proprio bisogno di tutto ciò che è fuori da sè (ancora utilizzo termini impropri). L'introverso soffre proprio perché sa di non poter non affacciarsi sul mondo, è necessitato a farlo in quanto essere umano, ma soffre perché non appena lo fa gli viene sbattuta la finestra in faccia, tanto per rimanere sulla metafora dell'affacciarsi.

    Discorso diverso per l'estroverso. L'estroverso non soffre per la propria dipendenza dal mondo esterno. Pare che egli non ne sia consapevole. Vive immerso nella realtà, immerso nel mondo, perché quel mondo è fatto per lui, non lo respinge, lo accoglie, lo esalta, lo culla.
    Ciò da cui rifugge l'estroverso è il mondo interiore (e continuo a utilizzare un linguaggio fuorviante). Oserei dire che l'atteggiamento dell'estroverso è fobico verso se stesso. Di sicuro quest'atteggiamento è rinsaldato, intendo dire che è rinforzato costantemente da un modello normativo che vuole tutti gli esseri umani uguali, adeguati alla norma e al modello. La fobia verso il proprio mondo interiore si tramuta spesso in un atteggiamento persecutorio verso l'introverso, verso chi vive in sintonia con il proprio mondo interiore.
    Perché?
    Bisognerebbe chiederselo e tantare di abbozzare una risposta.

    Fatto sta che la natura continua a sfornare individui diversi dalla norma, norma intesa gaussianamente.
    La diversità genetica assicura la continuazione della specie. La natura non ha in sè il concetto di adeguato o inadeguato, di giusto o sbagliato.
    La maggioranza non è giusta solo perché è la maggioranza. Anzi... Quella maggioranza esiste anche grazie alle minoranze. La razza è la stessa.
    E' la variabilità che assicura la continuità della specie, non certo il fatto che bisogna essere tutti uguali.

    E scusate se è poco... Da introversa un certo orgoglio mi viene...
    Si soffrirà pure... ma vuoi mettere?
     
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  5. Koenig4
     
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    L'introversione non è sinonimo di malinconia. Un'introverso non è malinconico per definizione ma può apprezzare anche la malinconia.
    L'introversione non significa ripiegamento interiore. Un'introverso non è ripiegato in se stesso ma è molto attento al proprio mondo interiore.

    L'intellettualese di questo Giano non mi impressiona. E' evidente che le sue considerazioni siano intrise di pregiudizio. Basta questo...
     
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  6. Koenig4
     
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    Che un'introverso non sia ripiegato in se stesso lo dimostra il fatto che una persona introversa vuole stabilire rapporti profondi con le persone e il bisogno di accumulare informazioni dall'ambiente. In quest'ottica, paradossalmente, e' proprio la persona introversa ad essere tutt'altro che ripiegata in se stessa.

    Edited by Koenig4 - 13/6/2010, 09:58
     
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  7. Aletta87
     
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    ma è ridicolo -_- ...
     
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  8. francescoburich
     
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    La lettera di Giano personalmente mi confonde un po' il pensiero. La malinconia è un sentimento umano che, per esempio, nel mio genotipo, prevalentemente introverso, è compartecipe della mia stessa esistenza. Mi permette d'intimizzare, di dare calore e protezione al mio modo singolare di vivermi la vita che è un dono, e il mondo che è stato fondato dalla natura costruito dalla cultura. La malinconia nel mio caso, taglia questi due aspetti restituendoli a stati d'animo diversi: l'appagamento che mi da il contatto con la natura, con gli animali, con le persone che liberamente incontro, e di contrario la frustrazione che mi reca la cultura invadente che esercita poteri su di me stesso: dentro e fuori. La malinconia è un sentimento in me piacevole, mi sento bene quando mi sento malinconico e quando sento di poter esprimere liberamente la mia malinconia, senza doverla giustificare o renderla comune a quella degli altri. E' l'espressione di una certa libertà...che va a contrabbatersi con quel dover essere a tutti i costi "felici" che è uno slogan mondiale. e mi rattrista molto. Ciao, francesco
     
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7 replies since 10/6/2010, 19:48   804 views
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