Silvana Mangano

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  1. Koenig4
     
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    ( Silvana Mangano )

    Da Internet ( fonte ) :

    «Non mi piaccio. Se una parrucca di scena è bella, la vedo imbruttita dalla mia faccia, se è bello un costume, lo vedo imbruttito dalla mia figura. Come attrice mi sono improvvisata, recitazione non l'ho mai studiata. Ho sempre provato il timore di essere inadeguata.»

    ( Silvana Mangano )

    Da Internet ( fonte ) :

    «Il suo fascino è quell' aria di mistero che non so se trapeli dagli occhi o dalle lunghe mani nervose. Silvana è introversa, enigmatica. Sono misteriosi i suoi pensieri e le sensazioni, le reazioni. Ma hanno un enorme potere d' attrazione. Anche se credo che viva in uno stato di perenne, profonda timidezza». E a leggersi queste parole di De Sica tornano alla mente proprio gli occhi della Silvana Mangano di un nero così deciso, trasparenti. Per cocciutaggine sempre inattenti d' essere così belli, e che invece sono innervositi, infelici nella carne, attenti a tener fuori il mondo da non si sa quale melanconico rovello. Drammatica e desiderabile Sontuosa Giocasta in Edipo, pratica giocatrice di Scopone scientifico, ninfomane borghese in Teorema, bellezza giovane e trionfale di Riso amaro è sempre la stessa. Sempre in questa non vanità, ritrosia a darsi, altera ma cogli anni sempre più laconica, infine scostante. Dalla Mangano emanava continua drammaticità nervosa che la rendeva più desiderabile di tutte le altre. La bellezza della Loren era in quegli anni potente, ma fatta per il cinema; le sue erano nei film di quegli anni al più ritrosie, non v' era l' ardere profondo di qualcosa dentro. Era tanta, ma tutta lì. Invece Silvana Mangano diveniva più bella a guardarla dentro. Nella sua maglietta lacera di mondina col busto di linee trionfali e aeree, curve pienissime ma arti longilinei, era già introversa, come un' adolescente dea preoccupata da chissà quale incombente male. E più tardi, invecchiata e distante, non era neanche quella snob che la piccola roulette montata dentro la sua Rolls Royce e i bricchi d' argento, tutti descritti con minuzia dai giornali dell' epoca, lasciavano presagire. C' erano i pomeriggi passati a ricamare, e soprattutto i quattro figli e persino il più inatteso residuo del suo quartiere, San Lorenzo: era una tifosa della Roma. Sempre lei, la Mangano, fredda e lucidissima, col vizio per il gioco e in quei suoi occhi così puntuti il piacere del rischio. E però al contempo emanante intensa femminilità, ora calda ora fredda, mutevole addirittura fino a divenire riunione di contrastanti anime di donna in una sola. E quindi anche madre ansiosa e scrupolosa, annientata dalla morte del figlio Federico nel 1981, che la lasciò come morta. Perché l' enigma della Mangano si complicava tra le mura di casa, dove la ritrosia puntigliosa evolveva a perfezione come capì Vasco Pratolini: «Silvana o della felicità domestica». Più che i film ella, anche a dire del marito, amava i figli: «Quando è nata Veronica le ho proposto di prendere una balia. Lei mi ha risposto: perché? Non ho bisogno di controfigure». Silvana Mangano era nata il 21 aprile del 1930 da una signorina inglese invaghitasi di un siciliano addetto ai vagoni letto. Due isole che nel suo sangue dunque si confondono e covano quel misto di lealtà e indulgenza, ma soprattutto diffidenza, che era in lei. Anche quando le amiche a Ostia la iscrivono ad un concorso di bellezza e la persuadono a sfilare. Vinse, e come premio ricevette in quella miserrima Roma del dopoguerra un piccolo tesoro: il portasigarette d' argento e un portacipria. Iniziò quindi l' inevitabile trafila molto umiliante di comparsa, fotomodella e di diciassettenne in costume al concorso di Miss Italia. Certo la vanità la moveva assai meno del bisogno. E il bisogno non era quello di molto denaro, ma di quanto bastava a renderlo inutile, a dare di che vivere al meglio ad una ragazza di quartiere come era lei allora. La vanità contò in tutta la sua carriera del resto meno di quanto è consueto all' attrici di successo; e comunque la trafila dovette confliggere con la sua fierezza, stancarla. Al punto che dalla Mangano ventenne già emana una delusione, che nulla può contenere. E che la fa sposare, non certamente rapita dalla passione. Altro contorto enigma. Dino De Laurentiis, direttore di produzione della Lux, la società che aveva prodotto Riso amaro, s' innamorò di lei, e però ne ricevette una serie davvero impressionante di rifiuti. Ma infine lei cedette. Per tutta la vita a quanto pare chiamò il marito per cognome, spiegando «non è il mio uomo ideale», come per scusarsene. Eppure non ebbe amanti o almeno non li esibì. Si rammaricò sempre secondo i giornali di quegli anni di non essersi potuta sposare in chiesa. «Non sono felice ma ho avuto più di quanto meritassi. Ho tutti i difetti che una donna può avere, e anche qualche difetto non tipicamente femminile. Sinceramente invece non credo di poter essere fiera di nessuna qualità». Su quali fossero questi difetti non femminili, non può dirsi tanto. Ai più maligni o perspicaci indovinarli. Certo lesse moltissimo, e da autodidatta dunque facendosi idee precise, e solo sue. Mangiava molto poco, eppure beveva volentieri vodka, e però ricamava a piccolo punto: lavori sterminati, monacali che alla fine diventavano grandi arazzi e tappeti. Evidentemente dei lavori d' ago le piaceva la calma solitudine e l' esattezza paziente ch' esigevano, forse il proteggersi così dalle passioni. Era d' una eleganza naturale, però non fu quella a evitarle di inasprirsi troppo; ma quel certo velo di romanissima timidezza, imbronciata e indulgente. Com' era nelle parole che in un' intervista per l' uscita di Oci ciornie dedicò a Marcello Mastroianni. «Ci conosciamo da sempre. A Roma da ragazzi abitavamo nello stesso quartiere, innamorati. Io sedici anni, lui ventidue. Marcello non lo ha mai dimenticato, anche perché una volta mentre ci baciavamo su una panchina, sorprese un guardone, lo affrontò, gli tirò un pugno, quello si scansò... e Marcello colpì un tronco d' albero. Così negli anni ogni volta che quel pollice gli ha fatto male si è ricordato di me». Marcello e la Dolce vita Fu un amore intenso in giovinezza, di cui il marito dovette accorgersi ancora a distanza di anni. Se, geloso, appunto De Laurentiis pare le sconsigliasse nella Dolce vita di Fellini la parte accanto a Mastroianni, che andò invece a Anouk Aimée. Ma lei non se ne dovette crucciare più di tanto, attenta piuttosto a quel che di consolante vive nella familiarità affettuosa, nell' indulgenza che sopravvive per sempre tra due persone che si sono amate. Eppure fu la più grande attrice del dopoguerra, senza però curarsi affatto di mostrarlo: ansiosa in ogni film, esaltata perfezionista, dall' insicurezza più timida evolveva alla fine delle riprese ogni volta a perfezione totale. Giacché spiegava: «Non mi sono piaciuta né quand' ero una ragazza tonda, né quando sono divenuta una donna sottile. Ma non credo che questo sentimento abbia molto a che fare con la realtà». E quale altra donna poteva mai essere più bella di lei negli anni Cinquanta? Quando recitava la parte di Circe con Kirk Douglas o in Mambo danzava, donandosi tutta, eppure nel suo enigma lontana, in gran desiderio d' oblio. Quello stesso descritto con grazia perfetta da Sordi: «... e nel cuore qualcosa che nessuno sa e l' orgoglio le impedisce di confidare».

    Edited by Koenig4 - 18/8/2010, 21:36
     
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  2. Koenig4
     
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  4. houccisoilariadusieleièrisorta
     
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    silvana mangano per me è l'attrice italiana più brava, assieme a rossella falk, e la più bella di tutti tempi.

     
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  5. crox
     
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    Molto bella lei..brava non so perché ho visto solo un film suo, il riso amaro (bel film).

    Qualche anno fa, invece, mi pare di aver visto in tv, alla storia siamo noi, un filmato sulla sua vita, in cui emergeva una persona sofferente e depressa. peccato :(
     
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4 replies since 18/8/2010, 20:12   7337 views
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