Elogio della timidezza

Mente&Cervello

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    La rivista Mente & Cervello di aprile dedica ampio spazio alla timidezza e alla LIDI

    ELOGIO DELLA TIMIDEZZA
    di Paola Emilia Cicerone

    La timidezza? Montesquieu la definiva «la prigione della mia vita». E sono ancora in molti a pensarla così. Che c'è di male a essere timidi? Niente, eppure è più facile sentirsi dire «non fare il timido», piuttosto che il contrario. Particolarmente in anni come questi, che valorizzano l'intraprendenza -per non dire la faccia tosta - e preferiscono chi esterna, anche a rischio di figuracce, a chi ammette onestamente di non sapere che dire o, peggio, chiede tempo per riflettere.

    Tempi duri per i timidi? In realtà, forse come reazione all'esibizionismo dilagante, la timidezza sta guadagnando estimatori. E accanto ai gruppi di auto-aiuto che promettono salvifiche terapie per sconfiggerla è nata la Lega italiana per la tutela dei diritti degli introversi (www.legaintroversi.it), pacifica ma agguerrita associazione che rivendica il diritto di musoni e solitari di tenersi un carattere non propriamente socievole senza essere per questo considerati malati o «diversi».

    Abbassare la guardia sì può
    «È stato Jung il primo a usare il termine "introverso" per descrivere, in Tipi psicologici il tratto caratteriale che ancora si definisce così. E che ha come manifestazione comportamentale la timidezza, la goffaggine», spiega lo psichiatra Luigi Anepeta, promotore dell'associazione. Nata per far fronte al malessere dei troppi timidi: «Considerando che la maggior parte di quanti hanno problemi psicologici ha un temperamento introverso, mi sono chiesto se questa fosse la causa del loro malessere, o se le cose fossero più complicate», ricorda lo psichiatra. «E sono arrivato alla conclusione che a far male ai timidi è l'interazione con il mondo che non li capisce».

    È vero che tendiamo a considerare l'introversione non un modo di essere, ma un tratto caratteriale negativo. «Come se gli umani non avessero bisogno anche di timidezza, di riflessione, di quell'aspirazione utopistica a un mondo migliore che caratterizza molte personalità introverse», osserva Anepeta, «Se l'eccesso di timidezza fa male soprattutto a chi lo vive, l'eccesso di estroversione, assai più diffuso, si trasforma in un narcisismo esuberante privo della dimensione soggettiva dell'Io che finisce per danneggiare tutta la società».

    «Certo, quello del timido non è il modello vincente: viviamo nella società dell'apparire, della superficialità, in cui è normale zittire gli altri per far sentire la propria voce», ammette Duccio Demetrio, docente di filosofia dell'educazione all'Università di Milano Bicocca. «Però c'è anche una maggiore disponibilità ad accogliere modi diversi di essere». Tanto che Demetrio propone «un'educazione alla vita schiva. Intesa come percorso esistenziale, che consente - anche grazie alle sofferenze relazionali che spesso porta con sé -di sviluppare sensibilità particolari: l'ascolto, l'interiorità, la capacità di crescita culturale». Anche la solitudine. Da vedere non come una condanna, ma come un tratto costitutivo della personalità: «I timidi non sono sempre solitari, sono capaci di stare da soli», specifica Demetrio, promotore della Libera università dell'autobiografia e dell'Accademia del silenzio, che propongono tra l'altro blog di socializzazione della timidezza, nati dal bisogno dei timidi di identificarsi con quanti vivono emozioni affini. «La scrittura è uno strumento di emancipazione - osserva Demetrio - e scrivendo molte persone scoprono che la timidezza è un valore, e finiscono con lo stare meglio con se stessi e con gli altri».

    «Dobbiamo avere cura della timidezza -rincara la dose lo psichiatra Fausto Manara - di quel modo di essere che la società tende a percepire come debole: non è un difetto, è una parte di noi che può rappresentare un vantaggio. Il guaio è che molti timidi non hanno abbastanza rispetto per se stessi, fanno fatica a esprimere le proprie qualità».

    E a rendersi conto che abbassare la guardia si può, e non è indispensabile essere Rambo o Wonder Woman. «Il rischio è quello di non imparare a conoscersi, di procedere con il piIota automatico, evitando gli ostacoli più pesanti senza mettersi in gioco. E di non scoprire mai che possiamo essere interessanti così come siamo», spiega Manara.

    «Ai timidi succede qualcosa di simile a quello che è successo a me da ragazzo a una festicciola tra amici, dove io che sono nato in una famiglia modesta mi sentivo un po' a disagio tra i ragazzi bene della città. Ho visto andare via il ragazzo più popolare della compagnia e mi sono trovato ad ammirare l'eleganza del suo cappotto. Che dopo pochi minuti ha riportato indietro, perché aveva indossato per errore un indumento non suo. Il mio, per essere precisi: ma non ero riuscito a vederne la bellezza fino a quando non l'ho visto addosso a un'altra persona».
    Certo, non tutti i timidi sono uguali. «Ci sono persone che nascondono la timidezza con stratagemmi comunicativi, una facciata brillante o la maschera dell'arroganza, chi si apre solo di fronte a pochi amici e chi ha bisogno del gruppo per brillare - o per prevaricare -ma si paralizza in un rapporto a due perché non riesce a viversi come singolo individuo», osserva Manara. E ci sono timidi che possono diventare aggressivi, anche se nella maggior parte dei casi la violenza resta a livello di immaginario. «Capita che gli introversi, specie nell'adolescenza, abbiano fantasie violente che contrastano con un'indole mite», osserva Anepeta. «Abituati a sentirsi diversi dagli altri, spesso gli introversi più fragili oscillano tra un vissuto di inadeguatezza e un senso di superiorità che possono tradursi in fantasie aggressive».

    Un sentimento universale

    Per qualcuno la strada è meno faticosa: «Alcuni timidi possono contare su ammortizzatori che li aiutano a farsi accettare, come la bellezza o la ricchezza», osserva Manara. «Ci sono soggetti come Margherita Buy, che sulla timidezza riescono a costruire il proprio personaggio». In passato, per una donna timida la vita era relativamente facile; oggi lo è molto meno, ma se la popolazione dei timidi è equamente divisa tra maschi e femmine, sono gli uomini a vivere le difficoltà maggiori. «È l'ambiente che penalizza i timidi», conferma Manara. «Oggi si richiede la performance, la risposta pronta. Così ci troviamo di fronte a folle di persone che vivono per negare il proprio lato timido, mentre dall'altra parte ci sono i distributori di diagnosi psichiatriche di disturbo di evitamento, di fobie sociali».

    Nasce così la necessità di ricorrere a quelle che Manara definisce «protesi», che ci aiutano a convivere con la nostra vulnerabilità: farmaci antidepressivi che permettono di affrontare il mondo, alcool o sostanze consumate per essere «nel gruppo». Ma anche chirurgia estetica, auto potenti o altri status symbol, la carriera: «Fare il capo può essere un antidoto alla timidezza se si riesce a farlo bene, valorizzando i collaboratori, dando loro gli spazi necessari», osserva Manara. «Anche se c'è il rischio che il capo timido non si senta "all'altezza" e si circondi di persone poco capaci per paura di essere sopraffatto».

    Il rischio è quello di dimenticare che, anche se le personalità estroverse sono la maggioranza, nessuno è totalmente estroverso o totalmente introverso. «La timidezza è un sentimento universale», sottolinea Manara. «Nasce dalla nostra storia di figli che vorrebbero avere tutto e subito, ma che in qualche momento del loro percorso esistenziale devono fare i conti con una mancanza di affetto, di attenzione, quello che Balint definirebbe un disagio primario. Che il bambino può attribuire a genitori cattivi o alle proprie manchevolezze che gli fanno meritare quello che gli sta succedendo. La timidezza, la difficoltà di proporre noi stessi così come siamo, cresce proprio su questo sentirsi difettosi».
    E se oggi viviamo nell'era dell'estroversione, anche in passato i timidi non hanno avuto vita facile: «È vero che il gesto di Cincinnato che si ritira nel suo podere rifiutando onori e incarichi può essere visto come esempio di vita schiva», osserva Demetrio. «Ma, a parte rare eccezioni, nell'età classica la timidezza ha un'immagine negativa, è interpretata come indice di un indole mal fidata. Il riscatto avviene con l'avvento del Cristianesimo: il discorso della montagna è uno straordinario elogio delle virtù dei timidi».

    Da Eraclito a Baudelaire

    E di timidi famosi grazie alla loro creatività è piena la storia. «L'idea, che hanno molti introversi, di essere superiori alle persone comuni non è del tutto infondata», osserva Anepeta. O, perlomeno, questa categoria umana ha dato un grande contributo alla storia delle cultura. «Il 7 per cento della popolazione ci ha dato il 60 per cento del pensiero al quale facciamo riferimento», precisa lo psichiatra. Il pensiero va a filosofi come Eraclito, Spinoza, Rousseau o Kant, senza dimenticare Kierkegaard e Heidegger, a scrittori come Flaubert - che si definiva «timido come un adolescente» - Baudelaire, Tolstoj, Hesse, Pirandello, Kafka, musicisti come Bach, Schumann, Brahms. Ma anche a scienziati come Darwin, che ammetteva di avere la sensazione di perdere tempo nei contatti con i propri simili, o Einstein, che nella sua autobiografia afferma di non avere alcuna predilezione per i rapporti sociali. Senza dimenticare Freud e Jung, padri della psicologia del profondo, e nel caso di Jung anche della prima descrizione della tipologia introversa.

    «Molti artisti sono timidi, o meglio sono individui che hanno una vita interiore particolarmente ricca, che apre la porta alla creatività, al pensiero divergente», spiega Demetrio. «Ma un'altra strada che paradossalmente molti timidi percorrono è quella delle professioni di cura, come se assistere gli altri aiutasse a superare le proprie difficoltà».

    Certo, la classifica dei grandi timidi include anche personalità disturbate e suicidi. «Ma la timidezza non è certo una malattia», osserva Demetrio. «Semmai possono essere patologiche alcune sue manifestazioni estreme. Pensiamo al destino tragico di Cesare Pavese, legato alla difficoltà di costruire una vita relazionale felice. O a poeti come Leopardi o Emily Dickinson. Oggi persone così verrebbero curate. E forse non avremmo le loro creazioni». Un interrogativo che attraversa il dibattito sui confini tra genio e patologia. «La mente degli introversi geniali esplora territori di confine dell'attività mentale umana, con sofferenze anche gravi: è comprensibile che in alcuni casi vada incontro a patologie», osserva Anepeta. «Non è detto che la mente sia sempre adatta al mondo così come è».

    Anche se in molti casi la creatività può avere un valore terapeutico: «Mi viene in mente - prosegue lo psichiatra - l'esempio della pianista Helene Grimaud, un passato di adolescente timida, che si descrive intrattabile, ingovernabile, indocile, e che ha trovato la propria strada grazie alla musica». «E non dimentichiamo - aggiunge Demetrio - che anche persone normali possono trovare in un impegno creativo, come l'autobiografia, un'opportunità per superare quella disistima che spesso si accompagna alla timidezza».

    Timidezza che comunque fa parte della nostra storia: «Tutti veniamo al mondo con un temperamento più o meno schivo, che poi viene influenzato dalla famiglia, dalla scuola, dall'ambiente, e in qualche caso arriva a trasformarsi in timidezza», ricorda Manara.
    «Per i bambini la timidezza è normale, fisiologica», aggiunge Anepeta. «I piccolissimi sono timidi di fronte agli estranei, ma a poco a poco questo tratto evolve attraverso la familiarità con il mondo, in modo diverso da individuo a individuo». A volte è il comportamento della famiglia a pesare: «Oggi si tende ancora a "normalizzare" gli introversi», osserva Anepeta. Lo fa la scuola, e lo fanno molti genitori, «a volte perché, introversi loro stessi, non incoraggiano i figli ad apprezzare il loro modo di essere», commenta Manara.

    Anche per questo la lega organizza a Roma incontri di sensibilizzazione con insegnanti, genitori e ragazzi nelle scuole, elementari e medie. «I ragazzini timidi - osserva Anepeta - possono seguire due strade: ci sono i classici studenti modello, apprezzati dagli insegnanti, che possono però essere messi sotto pressione dagli adulti che pretendono troppo da loro, e che proprio per i loro successi scolastici spesso incontrano ancora più difficoltà a socializzare coi i coetanei. E i timidi dif¬ficili, oppositivi, ribelli, che possono spingersi a comportamenti pericolosi o estremi». Anche perché guidati da un forte senso etico, da un grande bisogno di giustizia e dignità che è un tratto costante del carattere dei timidi: «È stato un grande introverso come Kant a ricordarci che l'uomo deve essere sempre un fine e non un mezzo», osserva Anepeta. «Un contributo importante in un mondo popolato da estroversi per cui in qualche caso adattar¬si alle circostanze vuol dire anche imparare a sfruttare i propri simili».

    Ed è fin da piccoli che i timidi si trovano a fare i conti con uno dei pregiudizi che li perseguitano : quello di essere superbi e musoni. «Timidi e introversi hanno bisogno di familiarizzare come chiunque altro, ma sono capaci di farlo solo a livello profondo, non superficiale», dice Anepeta. «Lo spiega bene Rousseau, che descrive la propria condizione di timido affermando di non avere freni quando si appassiona, ma di sentirsi timido nella vita ordinaria». Così, i bambini timidi spesso si trovano meglio con gli adulti che con i coetanei, gli adolescenti in genere non hanno la compagnia, ma l'amico o l'amica del cuore con cui condividere interessi e riflessioni.

    Quando l'ironia aiuta

    Il forum della lega mostra le difficoltà di molti giovani a mettersi in sintonia con i coetanei. «Le persone introverse hanno un mondo interiore molto ricco, e può succedere loro di pensare che gli altri siano poco interessanti», osserva Anepeta. «Molti ragazzi si sforzano, mi chiedono di cosa devono parlare. L'esperienza della lega mostra che questi ragazzi stanno da soli fino a quando non trovano rappoti sintonici, ma poi sono felici di creare legami. La loro solitudine è dovuta alla difficoltà di trovare un contesto adeguato, ma tentare di socializzarli inserendoli in contesti non adatti, o spingendoli ad anticipare i tempi rispetto al loro bisogno di socialità rischia di produrre danni gravi».

    Lasciati a se stessi, gli introversi socializzano a modo proprio: che cos'è la passione per la lettura, e per la scrittura, se non un modo per entrare in comunicazione con altre menti? Quando alla profondità dei sentimenti, i timidi non sono secondi a nessuno: non è forse vero, osserva Demetrio, «che uno dei simboli dell'amore nel nostro immaginario sono i timidissimi innamorati di Peynet? Certo, vivere così il sentimento può generare sofferenza, specie nella giovinezza. Ma la costruzione di relazioni affettive è un passaggio importante per trasformare la timidezza in risorsa».

    «I timidi hanno difficoltà nelle relazioni interpersonali perché hanno paura di mostrare i propri difetti, senza rendersi conto che in questo modo impediscono agli altri di vedere i loro pregi», osserva Manara. «Nella vita di relazione può essere importante evitare di cadere nella trappola dell'ipocrisia, una delle scappatoie di chi esita a dire cosa non va». Sarà per questo che per molti timidi l'età più felici, quella in cui riescono ad esprimersi, è la maturità: «Pensiamo allo scrittore Hermann Hesse, che dopo travagliate esperienze giovanili dovute anche alla sua timidezza è diventato una specie di guru, una figura di riferimento per tanti», osserva Anepeta.

    Per vivere bene da timidi, però, qualcosa si può fare: «Se si consente agli introversi di evolvere a modo proprio, questo li porta ad aprirsi e a far emergere la componente estroversa del loro carattere», spiega Anepeta. Certo non saranno mai dei compagnoni, «ma dico spesso che gli introversi devono far pace con il mondo degli estroversi. Non per cambiare, ma per aprire la loro mente al mondo così come è veramente», prosegue lo psichiatra. «Mentre per gli estroversi l'incontro con un introverso può essere un'opportunità per stimolare la propria componente introversa, resistendo alla tentazione di "cristallizzarsi" nella propria estroversione seguendo le suggestioni che arrivano dall'esterno».

    «Il modo migliore di stare al mondo è quello di scegliere il giusto mezzo», osserva Demetrio. «Anche i più estroversi devono coltivare la timidezza come un'opportunità, altrimenti c'è da chiedersi che tipo di vita interiore possano avere». L'immagine del timido Fantozzi, insomma, è proprio da dimenticare. «La goffaggine di Fantozzi, se ci si pensa, non nasce dalla timidezza ma dallo sforzo di mascherarla», commenta Manara. «Eppure sarebbe un peccato vivere senza farci conoscere per come siamo, anche se può essere faticoso». «Se gli introversi hanno un difetto, è che qualche volta mancano di ironia», conclude Anepeta. «Che è utilissima per imparare a prendere la vita per quello che è ».
     
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  2. senzanome70
     
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    a me sembra un bell'articolo. m

    Mente e cervello mi piace, l'anno scorso mi avevano regalato l'abbonamento.

    Ha una copertina e dei titoli accattivanti come una rivista che vuoile vendere ma molto spesso gli articoli che contiene son ben sviluppati e approfonditi.
     
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1 replies since 30/3/2011, 09:16   2571 views
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