Tutto questo per Agorà

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  1. Diogene W
     
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    (Quanto è bello sperimentare tecniche di scrittura miste poesia-prosa-vaghirichiamigrecoromani in onore del mio adoratissimo film "Agorà" :clap.gif: )

    [...]

    Perché già adesso mi risfoglio gli anni scivolosi e io ci penso a che quel giorno era un figlio, e lo capii all’istante senza neppure ammetterlo, ma di quale madre, per Dio? Sono seduto. I fianchi belli della ballerina rossa mi allattano il colore della luna proprio di fronte agli occhi. Le candele, lo sai, non invecchiano. Se io mi prendo questa, la concimo di piacere e la faccio ruotare in mezzo a tre – non quattro- ragazzini appassionati, io che l’ho qui proprio quella notte, qui davanti, mischiato tra la chioma della fiamma.

    Ora, ce ne stavamo a battibeccare su un romanzo, Corvino di turno. Sera ben squagliata sulla notte; l’avevamo addosso, il mattino incastrato tra le viuzze accalorate dell’Aventino, a tallonare le nostre principessine in ghingheri fra pacchi puzza e trottare di sole, imbevuto nella folla. Mi fischiavano le orecchie, ancora, per quel cigolio acidognolo, sabbioso.

    “Ma to’! Son pagine scalcianti, nauseate dallo strombazzare graffi di coltelli…” rincarava Jack stravaccando un tono da padrone. “Un libricin d’eroi, ecco tutto.”

    “E che, li vuoi falliti? Ripescati Lisandro.”

    “Alò, soldato.” rideva in faccia a Lear. “A Lear piace il sangue.”

    Però Lear occhieggiò il papiro, masticandogli un sorriso: “Mi piace quando un cuore batte, Jack.”

    Lo sfrigolare lento di risatine e incroci, pasticcio d’amicizia, con piccoli timori e gioco marcio, vecchio, s’intinse di passetti. Fu quel momento che.

    Lo so, lo so, ch’avrei dovuto fare. Ci sono troppe cose che preferivo amare, ché l’odio vede bene, quando in gola s’affollan desideri. Per ogni giorno insieme, a lui neppure un’orma. La sua voce ce l’aveva dentro gli occhi, che sperperavan polvere di sogni, tra il passo salato e stolido dei doveri schiavi. Famoso a stemperarsi il bel profilo greco giù nell’ombra, bruciava inchiostro di tante parole nell’inchinare il cielo ad un futuro in croce. Ridevo a pungerlo perfetto. Tagliato, non cattivo.

    Ma la verità sporca, storta, sì la verità insonne e signora delle falsità più rognose, era che sentiva lei. La sentiva a gelo, sapeva incastonarle il dorso da mani colate a corridoi stinti, le smistava caviglie al solo succhiare una parola spaccata, recideva, brillo, il suo sangue di perla le sue più franose fibre ragazze.

    Era soltanto un gioco di storie.

    È vero.

    Ma che fosse terra, a stringerli così accanto. Nessuno di noi mai lo seppe in vita. Respiravo io, come gli altri, la verità infedele della periferia amorosa. Già in quanto ingrato, spinoso, il rompicapo: ci era poi sen’altro bello! Profili a gran pittori, candito impavido silenzio, così me li godevo, l’ingenuo che a svendere quel dono ad un mestiere bel che fatto finivo a dissetarmi il cuore del rigirarmeli sotto le ciglia. Sapeva far lo schiavo, dicevano. Neppure squilli, nessun indizio.

    Due anime sorde. Con fiamme sante.

    [...]
     
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