il "fare"

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  1. Nicola.
     
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    ultimamente mi sento oppresso da questa filosofia del dover "fare", del dover agire.

    sono stato a lungo combattuto tra i complessi d'inferiorità a causa della mia tendenza alla "stasi" a confronto di miei amici che invece riuscivano a buttarsi in qualcosa ed a riuscirci solo con pazienza e passione.

    un mio amico ancora oggi continua a spronarmi, dicendo che dovrei provare a dare sfogo alle mie passioni e ai miei pensieri, metterli per scritto o comunicarli in altre maniere. una ragazza dice che io ho vissuto ma racimolato poca esperienza di vita, e che forse dovrei esplorare di più.

    io dopo accurata riflessione sono arrivato ad una risposta, che non so ancora se è un contentino per me stesso (anche se fosse, non funzionerebbe) o se si avvicina ad una risposta sensata.

    io sono al di fuori da questa logica che per fare qualcosa devi dimostrare qualcosa. io sono per l'astrazione, e buona parte della mia "entusiasmante" vita è votata a creare nient'altro che pensieri. non riesco a focalizzarmi su un'idea, non la approfondisco per non farmela diventare odiosa, salto da un pensiero all'altro da un argomento all'altro. stasera è questo l'argomento. forse un giorno scriverò qualcosa o forse no

    perchè nella mentalità comune l'uomo che ha "vissuto" è l'uomo che si è buttato a capofitto in tutte le cose, mentre non lo è chi si è buttato a capofitto in tutte le idee?
     
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  2. Origin753
     
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    Anch'io sono come te. Vivo nel "mio mondo" immaginario di pensieri, fantasie e possibilità inesplorate che tendenzialmente tendo a tenere per me.
    Mi piacerebbe anche, almeno a livello teorico, vivere una vita più "attiva" e produrre di più in termini pratici e tangibili, ma non ci riesco perché comunque i pensieri mi risucchiano nel mio mondo, attraggono e pretendono la mia attenzione...
    Mia sorella invece non è come me, è pratica, attiva, e mi stressa perché "non faccio mani niente di produttivo. -_-


    CITAZIONE (Nicola. @ 6/7/2012, 23:23) 
    perchè nella mentalità comune l'uomo che ha "vissuto" è l'uomo che si è buttato a capofitto in tutte le cose, mentre non lo è chi si è buttato a capofitto in tutte le idee?

    Perché la maggior parte della popolazione è estroversa e l'attenzione degli estroversi è rivolta verso il mondo esterno. Un'altra grossa fetta della popolazione (sia introversa che estroversa) è "pratica" e preferisce il risultato tangibil e concreto rispetto a insiemi astratti di idee che non può vedere (poiché spesso non vengono proprio neanche esternate), oppure non riesce a comprendere, oppure non è interessato a comprendere...
     
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  3. Odile83
     
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    CITAZIONE (Nicola. @ 6/7/2012, 23:23) 
    perchè nella mentalità comune l'uomo che ha "vissuto" è l'uomo che si è buttato a capofitto in tutte le cose, mentre non lo è chi si è buttato a capofitto in tutte le idee?

    Beh perchè pur essendo la mentalità comune troppo esagerata nel suo apprezzamento per l'azione e i risultati e troppo disinteressata al pensiero e alla contemplazione, è difficile stimare come "vissuta" una vita passata unicamente a pensare...anche perchè la riflessione in buona parte esiste perchè "serve" ad un'applicazione diciamo così pratica, poi è anche vero che è bello speculare per il gusto di farlo ma se diventa l'un'attività sempre e solo fine a se stessa....boh, mi chiedo che senso abbia, IMHO.
    Però se tu ci stai bene buon per te, io se vivo solo nella mia testa come più o meno mi sta accadendo in questo periodo mi sento solo più oppressa, frustrata e sperduta :(
     
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  4. qualcosa91
     
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    CITAZIONE (Origin753 @ 7/7/2012, 00:52) 
    Anch'io sono come te. Vivo nel "mio mondo" immaginario di pensieri, fantasie e possibilità inesplorate che tendenzialmente tendo a tenere per me.
    Mi piacerebbe anche, almeno a livello teorico, vivere una vita più "attiva" e produrre di più in termini pratici e tangibili, ma non ci riesco perché comunque i pensieri mi risucchiano nel mio mondo, attraggono e pretendono la mia attenzione...

    Mi hai tolto le parole di bocca. Per me vale la stessa identica cosa. Dentro di me c'è un complesso mondo, dove regnano le regole della fisica, dove splende il sole... Ho un'universo dentro di me, si, che richiede la mia attenzione, con spavalderia, insistenza... Un mondo fatto di profonde emozioni, che non possono essere vissute buttandosi a capofitto nella vita, sbrigando faccende e quant'altro... Sai che non invidio per niente gli estroversi? Certo, la vita per un introverso è nulla di facile, travagliata fin dalla nascita, questo è chiaro a tutti noi qui, però chi farebbe cambio con la vita di un estroverso? Perdersi quei momenti, quel mondo dentro di noi... Chi oserebbe farlo? Personalmente, non lo farei mai. Quando provo queste emozioni, con questo bisogno intenso d'andare dentro le cose, scavando per la verità delle cose, per la giustizia delle cose, provo quasi pena per gli estroversi, che non sono in grado di provare ciò che provo io, la mia capacità d'osservazione... il mio ardore.
     
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  5. Nicola.
     
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    CITAZIONE (Odile83 @ 7/7/2012, 01:57) 
    CITAZIONE (Nicola. @ 6/7/2012, 23:23) 
    perchè nella mentalità comune l'uomo che ha "vissuto" è l'uomo che si è buttato a capofitto in tutte le cose, mentre non lo è chi si è buttato a capofitto in tutte le idee?

    Beh perchè pur essendo la mentalità comune troppo esagerata nel suo apprezzamento per l'azione e i risultati e troppo disinteressata al pensiero e alla contemplazione, è difficile stimare come "vissuta" una vita passata unicamente a pensare...anche perchè la riflessione in buona parte esiste perchè "serve" ad un'applicazione diciamo così pratica, poi è anche vero che è bello speculare per il gusto di farlo ma se diventa l'un'attività sempre e solo fine a se stessa....boh, mi chiedo che senso abbia, IMHO.
    Però se tu ci stai bene buon per te, io se vivo solo nella mia testa come più o meno mi sta accadendo in questo periodo mi sento solo più oppressa, frustrata e sperduta :(

    mi sono spiegato male. non è che aspiro ad un riconoscimento delle mie attività, dico solo che trovo profondamente presuntuoso pensare che esista solo un modo per vivere, e che sia quello di mostrare agli altri che vivi. purtroppo sempre più mi trovo a scontrarmi con alcune persone che tengono in gran conto la capacità di buttarsi a capofitto nelle cose. lodano chi azzarda, lodano chi fa senza troppi preconcetti. per carità, anche io la ritengo una cosa lodevole, anche a me piacerebbe molto riuscire a buttarmi nelle cose senza doverle prima sviscerare. mi risolverebbe grandi problemi, ed è per questo che apprezzo chi riesce a farlo (non è un caso che io mi circondi di persone che vivono la loro vita così). però trovo frustrante il fatto che non ci sia uno sforzo di comprendere il mio punto di vista.

    l'qaltra volta parlando con il mio migliore amico è venuto fuori che secondo lui io tendo ad affrontare i problemi con troppa organizzazione e questa crea in me una sorta di dipendenza. al di là che secondo me la dipendenza è un'altra cosa, ma...è così importante? non è possibile accettare che ci sono orientamenti diversi?

    questo è più uno sfogo ma...è possibile che gente come me e (qui azzardo) come voi, debba sempre essere indicata come gente con "poca esperienza"? perchè tendiamo ad attirare su di noi esseri che con aria da gran saggi caritatevoli vogliono insegnarci come vivere?

    ed infine, tu chiedevi il perchè perdere tempo ed energia in un'attività che è fine a se stessa. per me non è fine a se stessa, perchè mi ha sempre portato ad una crescita ed una scoperta; in secondo luogo, non tutto deve avere un senso, basta che dia sollievo

     
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  6. 42istheanswer
     
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    non tutto deve avere un senso, basta che dia sollievo


    Più che dia un sollievo, secondo me è giusto che ci renda felici. Tanto il tuo modo di essere felice è effimero tanto quanto uno che si mette a fare Bungee jumping o chissà cos'altro...
    L'esperienza, insomma, la vedo come entità meramente soggettiva, e mi incazzo onestamente quando tentano di sminuire quello che faccio o che non faccio.
    Non si è meno vivi se si pensa parecchio di più a pensare rispetto che all'agire.
    E poi, anche pensare è un modo di "fare"... o no?
     
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  7. Nicola.
     
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    CITAZIONE (42istheanswer @ 7/7/2012, 11:14) 
    non tutto deve avere un senso, basta che dia sollievo


    Più che dia un sollievo, secondo me è giusto che ci renda felici. Tanto il tuo modo di essere felice è effimero tanto quanto uno che si mette a fare Bungee jumping o chissà cos'altro...
    L'esperienza, insomma, la vedo come entità meramente soggettiva, e mi incazzo onestamente quando tentano di sminuire quello che faccio o che non faccio.
    Non si è meno vivi se si pensa parecchio di più a pensare rispetto che all'agire.
    E poi, anche pensare è un modo di "fare"... o no?

    quoto, ho volutamente non messo "felici" per la natura effimera della felicità
     
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  8. alexey86
     
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    ...secondo me l'ideale è trovare un giusto mix tra le due cose
     
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  9. Nicola.
     
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    CITAZIONE (alexey86 @ 7/7/2012, 12:22) 
    ...secondo me l'ideale è trovare un giusto mix tra le due cose

    senz'altro, poi ognuno ha la sua via ed ogni via è corretta alla base. il discorso non verte tanto sul fatto che sia lecito/illecito giusto/sbagliato, solo pensare o solo fare, ma sul fatto che siamo portati a pensare che un azione debba generare un qualcosa di concreto, e che non c'è crescita/esperienza se non c'è un prodotto finale che lo attesti.

    Penso che tutti vogliano sentirsi stimati dalle persone che ritengono importanti, e talvolta è brutto quando quelli che per te sono grandi traguardi non vengono minimamente presi in considerazione e stimati per quello che sono.

    almeno, per me è frustrante non riuscire a far capire quanto per me abbiano valore certe cose, e quanto per me una scoperta interna valga quanto traguardi più materiali. è frustrante anche sapere che gli altri non ammettono altre possibilità, e che quindi pensano che tu ti consoli con le tue introspezioni solo perchè hai sfortuna nelle tue estrospezioni.
     
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  10. Franz86
     
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    Come spesso accade il problema di fondo non è "il fare", il "non fare" o qualsiasi altra cosa, ma l' insicurezza personale e la dipendenza dalle conferme altrui. Se si riesce ad eliminarla o comunque a ridurla fortemente, quest' ordine di problemi passa in secondo piano. Certamente è del tutto impossibile riuscire nell' intento nascondendosi all' interno del proprio "guscio" di pensieri o peggio idealizzandolo ...

    Nella mentalità comune l' uomo che ha "vissuto" è quello che si è buttato a capofitto in tutte le cose perchè in questo vi è un riflesso di un opinione derivata dal semplice buon senso: le esperienze temprano il "carattere". E il "carattere" (inteso come sicurezza in se stessi, che si palesa nelle relazioni con gli altri ed il mondo esterno in generale), al di là delle celebrazioni retoriche di alcuni ambienti intellettuali, è quasi sempre visto come un elemento ben più rilevante della capacità riflessiva, perchè l' essere umano, volenti o nolenti, è concepito per rapportarsi al mondo esterno, non solo e unicamente con la propria interiorità.
    Oltretutto l' esperienza dona una certa "saggezza pratica", la capacità di venir a capo delle situazioni che eventualmente si presentino con minore difficoltà (ovvio, se ne si hanno vissute prima di simili ... ). L' introverso forse, come punto di forza potenziale (ma non so quanto si ossa generalizzare), avrebbe dalla sua il fatto di riuscire a ricavare più spunti di riflessione da meno esperienze, quindi di riuscire a compensare anche in questo la quantità con la qualità.

    Ma come sempre, nel concreto, quando si tratta di problemi personali ce li se li risolve sempre da soli, c'è poco da fare.
     
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  11. Nicola.
     
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    CITAZIONE (Franz86 @ 7/7/2012, 13:39) 
    Come spesso accade il problema di fondo non è "il fare", il "non fare" o qualsiasi altra cosa, ma l' insicurezza personale e la dipendenza dalle conferme altrui. Se si riesce ad eliminarla o comunque a ridurla fortemente, quest' ordine di problemi passa in secondo piano. Certamente è del tutto impossibile riuscire nell' intento nascondendosi all' interno del proprio "guscio" di pensieri o peggio idealizzandolo ...


    Ma come sempre, nel concreto, quando si tratta di problemi personali ce li se li risolve sempre da soli, c'è poco da fare.

    quoto, anche se in certi limiti la dipendenza dalle conferme altrui è impossibile rimuoverla. checché si possa dire si vive in società, ed anche interfacciandosi con una ridottissima parte di questa, è importante per l'uomo (introverso) avere delle conferme anche da esterni. non mi voglio sbilanciare, ma trovo molto difficile concepire un uomo come un'isola, noncurante dei pensieri altrui.

    penso alla fine sia quello che pensi pure tu. ma la limitazione ancor più alla base sta NON nel volere conferme, ma nel volere la semplice accettazione. l'ideale a cui aspiro non è la stima altrui circa la mia condotta, quanto l'accettazione di una realtà differente da quella che "ancestralmente" è proposta.

    riguardo al fatto che le esperienze concrete forgiano il carattere non sono d'accordo (penso che anche le esperienze intime lo forgino), riguardo all'esperienza pratica ovviamente si. però, anche qui, ci si potrebbe girare attorno mille e mille volte. quanto è importante la concretezza e quanto è importante l'astrazione? c'è una disparità di valori tra queste cose, o semplicemente si equivalgono?


     
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  12. Ember
     
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    Anche io sono come Nicola, non brillo in niente se non per le cose che la maggior parte della gente non vede (alcuni magari le percepiscono)...
     
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  13. Nicola.
     
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    CITAZIONE (Ember @ 7/7/2012, 14:31) 
    Anche io sono come Nicola

    ah, davvero?
     
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  14. Ember
     
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    Tanto per cambiare :D beh mi ritrovo molto nel tuo primo thread ed è uno dei miei piccoli crucci!
     
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  15. Franz86
     
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    CITAZIONE (Nicola. @ 7/7/2012, 13:58) 
    quoto, anche se in certi limiti la dipendenza dalle conferme altrui è impossibile rimuoverla. checché si possa dire si vive in società, ed anche interfacciandosi con una ridottissima parte di questa, è importante per l'uomo (introverso) avere delle conferme anche da esterni. non mi voglio sbilanciare, ma trovo molto difficile concepire un uomo come un'isola, noncurante dei pensieri altrui.

    Dipende come si intende la dipendenza dal pensiero altrui.
    Se uno lavora, e il capo gli dice "Oggi devi fare la cosa X", non si manifesta l' indipendenza di pensiero rispondendo "Vecio, oggi vado a farmi due birre, invece". Ci sono delle realtà concrete con cui semplicemente bisogna fare i conti.

    Ma se il problema è "solo" che tutti ti dicono "tu ti fai troppe s**** mentali" (quindi è questione di giudizi personali), l' indipendenza di pensiero è raggiungibile e, anzi, quando la si ottiene curiosamente si viene pure più accettati. L' insicurezza si manifesta all' esterno, viene percepita come debolezza dagli altri, e, in mondo di gente sempre più frustrata, c'è sempre qualcuno che vuole sfogarsi sul "debole" ...
    CITAZIONE
    penso alla fine sia quello che pensi pure tu. ma la limitazione ancor più alla base sta NON nel volere conferme, ma nel volere la semplice accettazione. l'ideale a cui aspiro non è la stima altrui circa la mia condotta, quanto l'accettazione di una realtà differente da quella che "ancestralmente" è proposta.

    Ma non è una realtà ancestralmente "proposta", è una realtà ancestralmente reale, come ho scritto prima l' uomo non è concepito unicamente per riflettere. E l' accettazione della "diversità" (se non si vuole/non si può aderire al modello accettato conformisticamente dalla maggioranza, questo l' avevo tralasciato) la si ottiene solo ottenendo prima un giudizio favorevole sulla persona, quindi con la stima personale

    Questi discorsi sull' introverso che dovrebbe essere "accettato" a prescindere li ho letti parecchie volte sul forum, e mi lasciano sempre un po' perplesso. Nessuno accetta gli altri a prescindere, ed è giusto così, altrimenti dovremmo accettare pure, che so, i preadolescenti spocchiosi e pieni di sè, e dir loro che vanno bene così.

    Certo, il fatto che l' introverso non faccia molto parte degli stereotipi culturali di come l' essere umano odierno dovrebbe essere rende il tutto ancora più difficile, ma a me sembra che a volte, nel parlare di "acettazione", ci sia dietro un' idealizzazione dell' introversione in sè, e questa la ritengo eccessiva quando diviene uno stratagemma per fuggire il confronto con il mondo esterno ...

    CITAZIONE
    riguardo al fatto che le esperienze concrete forgiano il carattere non sono d'accordo (penso che anche le esperienze intime lo forgino), riguardo all'esperienza pratica ovviamente si. però, anche qui, ci si potrebbe girare attorno mille e mille volte. quanto è importante la concretezza e quanto è importante l'astrazione? c'è una disparità di valori tra queste cose, o semplicemente si equivalgono?

    Le esperienze esteriori forgiano il carattere creando una realtà interiore più solida, ecco, così il concetto è espresso meglio. Perchè portano ad affrontare problemi nuovi ed inaspettati, che se fossimo rimasti nel nostro guscio non avremmo avuto necessità di risolvere. E' un po' come giocare a scacchi da soli, o affrontare un avversario: se affrontiamo solo noi stessi "bariamo", perchè l' "avversario" lo conosciamo troppo bene ...:D
    Quanto siano importanti concretezza e astrazioni è una questione risolvibile solo a livello personale (anche se, ovviamente, gli estremi, ossia una vita quasi solo "astratta" o una vita quasi solo "concreta", non sono indice di vero equilibrio interiore), ma quando si è sicuri di sè almeno si cessa di dipendere dalle conferme altrui in merito.

    Edited by Franz86 - 7/7/2012, 15:04
     
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23 replies since 6/7/2012, 22:23   335 views
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