Zashikiro, la stanza prigione

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  1. houccisoilariadusieleièrisorta
     
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    "[...] Mi sento solo quando fisso la luna, mi sento solo quando penso a me stesso, e mi sento solo quando penso alla mia miserevole vita. Vorrei gridare di questa mia solitudine, ma nessuno mi chiede come mi sento [...]"


    Ieri ho letto questa cosa terribile su uno dei libri per la tesi.

    In Giappone, secondo la tradizione e secondo la legislazione, la famiglia si occupava delle persone con problemi mentali.
    Il codice 1 dell'articolo perla custiodia e la cura dei disagiati mentali diceva che i parenti entro il quarto grado o la famiglia principale erano responsabili dei parenti che sravano male.
    Con questo articolo si riconosceva l'esistenza in ogni casa di una zashikiro, letteralmente "una stanza prigione fatta di tatami".
    Ci si aspettava dunque dalla famiglia la presa in carico dei parenti che stavano male, anche a costo di privarli della libertà.
    Dopo la Seconda Guerra Mondiale venne introdotta la nuova costituzione e tale codice fu abolito. Furono vietati gli zashikiro e vennero aperti gli ospedali psichiatrici.
    Nelle leggi attualmente in vigore non è vietato che ci sia un custode (solitamente i parenti stretti) e non è vietato ridurre la libertà delle persone che stanno male a favore della protezione e della pace pubblica.
    Secondo la legge una persona può essere internata in manicomio senza che lei sia d'accordo, è sufficiente l'approvazione dei custodi legali.
    La zashikiro fino a 60 anni fa era presente in tutte le case giapponesi, ed era una vera e propria stanza prigione, buia e chiusa dall'esterno, dove veniva rinchiuso il parente disagiato fino alla sua morte.

    Nel libro che stavo leggendo, l'autrice ne parlava con orrore e stupore, dicendo che in Occidente queste cose non esistono più.
    Ma io mi sono detta, cos'è un ospedale psichiatrico se non un grande zashikiro?
    E' interessante notare come nelle varie culture sia presente questa costante (almeno in quelle in cui mi sono imbattuta fino ad ora nelle mie letture): i matti vengono emarginati, in quanto pericolo pubblico, e secondariamente in quanto pericolo per sè.
    Sarà la prova della vittoria dell'appartenenza sull'individuazione? Ovvero i matti, le vittime di un' appartenenza quella sì malata e che pagano sulla loro pelle, a loro malgrado vengno investiti di tutte le paure e le proiezioni che la società dei "giusti" gli attribuisce per sentirsi tale.
    Se i ricchi esistono perchè ci sono i poveri, i normali esistono perchè ci sono i matti.
     
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  2. alexey86
     
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    Secondo me il grosso problema del pazzo è la non-conoscenza del suo modello di ragionamento e quindi la successiva impossibilità di gestione
     
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  3. Miyamoto-
     
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    Avevo letto in un libro di storia che durante tutto il medioevo, i pazzi non erano riconosciuti in quanto tali, perché vivevano all'interno della società manifestando il loro comportamento liberamente. E di volta in volta poteva essere il contadino, il cardinale "malvagio", il re e via dicendo. Le azioni più efferate venivano compiute venendo poi mascherate clamorasamente.
    Certo che se i matti in realtà non sono così pericolosi come si dice, questa interpretazione storica serve invece a coprire un'altra realtà delle cose, cioè che forse da un certo momento in poi, si sono dovuti contenere i malati di mente perché erano pericolosi per l'ordine costituito.
     
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  4. Diogene W
     
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    Per me la grande domanda che mi faccio è se la società può sopravvivere senza l'ostracizzazione degli individui considerati "devianti" :hmm.gif: Indipendentemente dal significato filosofico negativo, ogni forma di esclusione ha sempre alla base il bisogno naturale e necessario di creare coerenza e coesione.
     
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3 replies since 19/2/2013, 12:11   187 views
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