Introversi vs Estroversi. il caso di Hitchcock

Hitchcock. ispettore Clouseau

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  1. evaldo75
     
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    Era tempo che volevo parlare degli introversi e degli estroversi.
    L’ho fatto in tutte le maniere devo dire, anche in modo grezzo e sgradevole pur sempre con una punta di sensibilità ed intuizione. Non mi sono lasciato scappare quel che intuivo in base alla mia esperienza però fissandomi troppo sulle mie verità, ho dimenticato di approfondire l’argomento tecnicamente.
    Perché ne voglio scrivere? Per il semplice e banale motivo che ne parlano tutti gli introversi?
    Veramente sono cose da specialisti. Per quanto riguarda la mia persona io ormai non distinguo più i sessi, ne l’età di chi ho di fronte. Semmai vedo soltanto se ho a che fare con un introverso o un estroverso. Da qui non mi smuovo di un millimetro.
    Alcune persone e di fatto una ragazza mi ha detto che mi sto chiudendo in modo intransigente. Lo ammetto. A me l’oggetto esterno mi fa paura. Devo rifletterci su. Punto e basta. Su questo non ci piove.
    La situazione è andata peggiorando e di molto. Oggi non posso permettermi di trasgredire questa regola interiore, non posso lasciare spazio ai miei piaceri perché finirei in pasto agli altri.
    Volgarmente altri, senza specificare chi e cosa. Basta aprirsi e desiderare ed eccoci al punto. Si è in mano al prossimo a chi gestisce le emozioni meglio di me.
    Di fatto chi sa passare da una amozione o uno stato d’animo all altro nel minor tempo possibile può permetterselo perché è più agile e veloce. Sono loro gli estroversi. Il loro mondo è veloce e basato su gestire e comunicare.
    Se comunicare fosse un anfora, loro si interesserebbero sul modo di trasportarla.
    Dall’altro lato ci sono io. Punto, nessuno si interessa di questo argomento nel modo mio. Ecco. Già come introverso fatico a gestire questo genere di persona. Il suo approccio alla vita o se vogliamo, il nostro, è sempre legato alla riflessione riguardo al mondo che ci circonda. Preferiamo fantasticare su una persona che ci piace, farlo in mille modi con la fantasia e forse scrivere poesie o fare quadri ma nei fatti, un semplice ciao è spesso tutto ciò che resta da emettere.
    Il passaggio da un emozione all’altra o da uno stato d’animo all’altro fluttua più lentamente rispetto ad un estroverso. Non vi aspettate di certo la battuta pronta semmai forse un modo di scherzare che sembra serio, quasi all’inglese. Non voglio fare uno stereotipo troppo banale.
    Proprio ieri ho parlato alla mia psicologa dei problemi che ho nel mondo per colpa loro e mio che alla fine mi devo adeguare al loro stile di vita, divertimenti ed anche modo di comunicare. Da parte mia non mi giustifico dicendo che è tutta colpa degli altri. Questo cavolo di pianeta non è una staffetta dove io per vivere devo essere come loro. Mi sbagliavo.
    Non sul fatto che si può essere felici restando se stessi, questo rimane sacrosantamente vero ma il mio dubbio e rabbia resta e cade sulle dinamiche che mi hanno reso incapace di accettare i miei pregi per quel che sono. Solo questo mi pesa.
    Ieri ero uscito dalla psicologa e mi è capitata una disavventura che mi ha illuminato sul percorso di vita sballato che ho condotto fin’ora. Mi fossi scelto la droga…o avessi reagito con la droga, almeno ora sarei morto. Ma lasciamo perdere. Non voglio sviscerare la mia tristezza tutta insieme. Voi estroversi super eroi scappate. Non voglio colpire la vostra delicatissima materia grigia.
    Insomma, ero uscito dopo aver parlato veementemente del mio odio o desiderio di essere un estroverso.

    Tu vorresti diventarlo?
    No di certo, gli ho risposto
    Lei sorridendo mi ha detto: dicono tutti così. Alla fine se c’è da scegliere dicono sempre di no.
    Ma per l’amor di dio, ma ti pare che non ci ho provato in tutti i modi? È come chiedermi se mi piacerebbe essere alto due metro come il personaggio mitologico Thor. Ma è normale! Solo che è impossibile. Come lo è per il momento raggiungere la velocità della luce a piedi!
    Come si fa? Sono troppo rapidi e per quanto mi sia allenato, gli ho risposto, posso reggere quello stato solo tre mesi al masimo. Poi inizio a perdere la scocca dell’equilibrio. Insomma, vado in pezzi.
    Ma, ho continuato, quello che non sopporto è il loro atteggiamento arrogante in tutte le situazioni. Sempre in prima linea a rompere le palle al prossimo.
    È una vita che porto avanti l’inutile filosofia che mi hanno imposto. Sto lì. Zotto buono e rispetto tutte le regole. Neppure questo serve.
    Questi tipi che governano a loro insaputa tutta la società, coi loro codici di identificazione, avranno sempre da ridire.
    Ero insomma uscito dallo studio per andare in garage. La grotta, la pancia della balena, sono rifugi simbolici dove uno incontra se stesso. Io ne ho bisogno. Meno di prima perché alle prese con un'unica attività poco redditizia: l’adattamento.
    Ero lì in garage, prendo i pennelli per dipingere e bum. Va via la luce. Un fischio assordante rimbalza su tutte le serrande di ferro e sul cemento armato. Un rumore terribile. Il cancello automatico non si apre più ovviamente ed io mi ritrovo a non poter concentrarmi sulla pittura perché sono anche senza luce.
    Neppure posso “aprirmi alla vita” il cancello è chiuso bloccandomi dentro.
    Parte della mia esistenza la posso descrivere così. Oggi non sono più un introverso ma un falso estroverso neppure di talento. Mi sono logorato per questo.
    Potevo mollare tutto anni fa, finché potevo ma non ci sono riuscito. Era impossibile concentrarsi su di se senza che qualcuno non si accorgesse di me. Potevo certamente essere una persona realizzata. Nel piccolo. Forse aver fatto studi più regolari e magari aver acquisito con essi la forza di superare anche le paure dei rapporti umani. Magari avrei dipinto e letto con più serenità senza la smania di dover usare quel che so per difendermi. Magari aver avuto due o tre compagne di cui l’ultima forse quella giusta ma non avrei fatto questa fine.
    Le mie vere capacità poco allenate mentre quelle per cui non sono portato allenate tutti i giorni. Uno schifo devo dire. Davvero uno schifo.
    Le differenze tra i due tipi psicologici sono troppe, talmente tante che ieri parlando con una mia amica ho avuto l’ardire di buttare giù un ipotesi legata all’antropologia.
    Io volgarmente e con disprezzo rubo un termine alla branca etologica per usarla in modo dispregiativo. Parlo di razza appunto per indicare i due tipi in particolare quello che ai miei occhi è il male sulla terra.
    Coloro che hanno reso coi loro sorrisi isterici questo mondo un inferno di felici a tutti i costi. Per me sono la razza avversa. Appunto uso questo termine con gustoso disprezzo. Come faceva hitler per indicare la razza ebraica.
    Non ho internet sotto mano perciò vado a memoria. Tempo fa si impose un genere tra i tanti vertebrati mammiferi. Un essere che iniziò a guardare il mondo dai suoi due piedi pouttosto che in basso da quattro.
    Quello era uno un antenato nostro e delle scimmie attuali. Era l uomo Erectus: un essere evoluto da primati simili a lui.
    La sua caratteristica era quella di essere in grado di camminare dritto usando le mani per costruire utensili e quindi per cacciare. Dopo un po’, facendo degli studi sui ritrovamenti dei crani, gli studiosi hanno constatato che da una certa data in poi, non ci sono più tracce di questo ominide.
    Al suo posto hanno trovato sempre più spesso un altro essere più piccolo e simile che era l’uomo Sapiens. Studiando i resti di questi esseri si è scoperto che non avevano molto di diverso riguardo ai suoi cugini uomini Erectus. Forse erano anche meno intelligenti e meno forti fisicamente ma avevano sviluppato una caratteristica unica. Il linguaggio articolato. Potevano organizzarsi tra loro, cacciare insieme, dividersi i compiti. Le donne dedite all’agricoltura e gli uomini alla caccia o alla difesa del territorio dagli animali.
    Si dice che quando due specie si incontrano, la più evoluta soppianta quella vecchia. Si può estinguere lentamente o può essere soppressa con la violenza. Di fatto l’uomo Erectus scomparve nel giro di poco tempo.
    Non credo si sia estinto con la forza. Gli uomini dell’epoca erano più pacifici di noi esseri evoluti. Cacciavano per difesa e non sono frequenti morti per traumi ossei tra i ritrovamenti. Ne ci vedo l’uomo Erectus su un albero a piangersi addosso come un uomo moderno. Semplicemente ognuno è andato per la sua strada. Chi verso l’evoluzione e chi verso l’estinzione.
    Si sa per certo che sopravvive che si adatta di più all’ambiente circostante. Oggi il posto della natura con le sue pericolosità lo ha preso l’uomo con le sue leggi ed istituzioni. Sostituendo piante ed animali pericolosi con mostri burocratici altrettanto pericolosi.
    L’uomo dell’epoca poteva con l’ingegno e senza istituzioni difendersi dalla natura e col tempo è riuscito a dominarla.
    Le due specie umane si sono mosse per conto loro. Estinguendosi da un lato e moltiplicandosi dall altro.
    Credo che invece le cose siano andate come naturalmente accadano. Si è crata una promiscuità tra le due specie, un modo pratico di sopravvivere. Ovvero adattandosi a restare uniti e fare gruppo contro le difficoltà del vivere. Per le guerre vere e proprie bisogna attendere in neolitico ed oltre. Neppure tanto l’epoca egizia, coi suo regno quasi pacifico ben immerso nella natura.
    L’epoca invece legata alla civiltà della Mesopotania. Diciamo delle comunità organizzate. Da lì si è sviluppata l’organizzazione, il bisogno di dividersi i lavori e la nascita dle tempo libero, l’arte e quindi la guerra. La prima rivoluzione industriale. Ovvero trasformare le persone in oggetti utili.
    Credo che le due specie umane si siano semplicemente fuse. Unendosi hanno trasmesso alle loro generazioni future, non solo i tratti somatici e le caratteristiche dei due tipi ma anche le capacità intrinseche che avavano di risposndere agli eventi esterni della vita.
    All’interno di un'unica specie ne abbiamo due. Che si distinguono solo per tratti psicologici. Si eredita il colore della pelle e degli occhi e tutto il patrimonio genetico che ne segue e precede.
    Di fatto il rapporto tra introversi ed estroversi è molto simile alla proporzione di abitanti di razza Erectus rispetto a quelli Sapiens.
    Vi è stata un unione fisica, tra le due specie e quei tratti che caratterizzano la psiche di una persona girano di generazione in generazione. Da due estroversi può nascere un introverso perché quei geni sono così atavici che ognuno ne è portatore per una sua parte. Così come da due biondi nasce un moro.
    Non sono solo esperienze personali che portano un individuo ad essere un introverso ed un altro un estroverso. C’è per me una risposta nei tratti genetici più antichi. Due specie umane unitesi tra loro. Diventando simili fuori ma diversi dentro..
    Due gemelli possono sviluppare due tratti caratteriali diversi anche se messi nella stessa situazione sociale. Le risposte più profonde al pericolo ed allo stress mostrano l’esatto “talento” che uno ha nascosto nel profondo e che mai uscirà fuori senza uno stimolo esterno. Spesso l’adattamento dove l’uomo Erectus pecca. Forse è questa specie umana quella che è portatrice di caratteristiche psichiche di un introverso.
    Io lo sono e presto potrò avere più informazioni al riguardo. Anche se il mio conflitto con le parti di me che non voglio accettare s ifa più forte con gli anni…
    Qui non è una sola mia mania, una di quelle che fanno scappare le persone. È un dato di fatto. Di tre persone che ho conosciuto, dopo un po’, senza che glielo chiedo mi dichiarano che sono delle introverse che si sono trasformate in estroverse.
    Occorre una gran fatica. In pochi giorni ho avuto da quattro persone diverse le stesse notizie, lo stesso modo di rapportarsi a me. Di tante Francesca, mi dice di essere sempre in fuga dagli altri e di essere in mezzo alle persone col desiderio di fuggire, la sua ansia è qualcosa di enorme ma che sostiene benissimo per via di una forte energia che gli viene da dentro.
    Alfred Joseph Hitchcock era un genio. Fin da piccolo passava il suo tempo in solitudine. Era un introverso col dono di saper spiegare l’anima delle persone attraverso una telecamera. Sapeva usare quel linguaggio.
    Da piccolo se ne sta in disparte, disegna giochi e preferisce osservare. È il classico atteggiamento introverso. Fu un grande regista che sapeva aprirsi al mondo con la fantasia. La scelta delle inquadrature danno un tocco unico ai suoi lavori.
    È nota la sua passione per le bionde. Si innamorò della futura moglie proprio sul lavoro. I consigli di lei li accettava sempre. Erano compagni e collaboravano ad ogni film. Alma Reville era una montatrice nel mondo del cinema e già con una brillante carriera alle spalle nel periodo che si incontro col suo coetaneo e futuro marito Hitchcock.
    Nei suoi film ho notato ed in particolare quando potè dispiegare tutto il suo potenziale, usava scegliere ciò che nella vita reale non era.
    L’attore principale de i suoi film di successo era il tenebroso Cary Grant. Alto biondo, fisico asciutto e nelle interpretazioni sempre con la battuta pronta nei confronti della bella Ingrid Bergman.
    Nei loro personaggi inseriva i suoi dubbi e le sue paure mostrandoci la realtà da un punto di vista profondo e con strumenti modernissimi. Per la prima volta, nascevano strumenti quali il cinema che permettevano anche ad un introverso di farsi capire facilmente.
    Ingrid Bergman era praticante il modello di donna che lui amava e che ha sempre amato. Si nota dalle foto anche la somiglianza con la memoglie. Proiettava su l’attrice tutte le sue passioni. Era geloso della sua protagonista. La chiamava anche lontano dalle riprese, soffriva di gelosia nel sapere che avesse una propria vita.
    Qual’ era l’uomo nel suo ideale di perfezione maschile, poteva conquistare una donna come la Bergman?
    Solo Gary Grant. Come ho detto, bello, alto, dalla battuta pronta e sicuro di se. Se osserviamo Hiitchcock, vediamo sempre il broncio di un bambino, grasso, sgraziato e forse goffo, riformato anche durante la leva militare. Gary era ciò che lui non poteva diventare ma che attraverso il cinema poteva rappresentare al mondo.
    Questa è un’idea mia che nel periodo in cui ero piccolo appena avevo presente. Ero convinto da bambino, negli anno ottanta, pochi anni dopo la sua morte che l’intreccio dei suoi film era bello come gli attori che lo rappresentavano. Belli ma sempre con qualcosa di misterioso.
    Ero anche convinto che chi avesse girato quei film era di fisico simile a Gary grant. Non era così. La sera, osservano sulla Rai i suoi piccoli episodi, mi sono reso conto che quell’uomo che appariva grande e bello nelle storie e nei protagonisti era tutt altro nella realtà. Ironizzava su tutto, anche sul suo aspetto. È nota la sigla iniziale dei suoi piccoli episodi dove prima di tutto appariva il suo profilo e lui che commentava con uno strano humor inglese ciò che avremmo visto come episodio.
    A me spaventavano i suoi episodi. Sempre due erano prima di cena. Come vedevo il suo profilo bianco su fondo nero, il suo corpo dalla pancia molto pronunciata in avanti, capivo che dovevo smettere di giocare e sedermi, ascoltare, vedere il piccolo episodio di Hitchcock.
    Nonostante ne uscissi sempre spaventato, sentivo il bisogno di osservare. Con lui la realtà non era la noia che piano piano sorgeva nel mio cuore. La sua realtà mi era nota. Presto la realtà mi avrebbe messo nel corpo la sua stessa dimensione di vita.
    Mi trovai già a cinque sei anni di trascorrere le giornate proprio come Hitchcock, giocare da solo, osservare e disegnare. Forse i miei momenti genuini più belli. Lui era un regista ma per me era un mio compagno di giochi.
    Trovavo già all’epoca diverso il suo modo di essere se paragonato alle sue creazioni, troppo diversa la sua persona dagli attori che sceglieva.
    Ero piccolo e per me l’attore era il regista. Non ne conoscevo le differenze. Come ero convinto che sotto la pelle, la carne fosse sempre rosa, che non ci fosse sangue e tante altre cose di cui si è convinti.
    Odiava il lavoro dell’attore. Più di una volta ha dichiarato di disprezzarlo come mestiere.
    Come un qualsiasi introverso, giustamente odiava gli estroversi o almeno ne era infastidito. Eppure era profondamente legato al fascino che emanavano.
    È questo il caso di un introverso di successo. Uno uomo che aveva il suo lato comunicativo rivolto verso la comunicazione moderna del cinema.
    Era macchinoso nelle risposte, sottile profondo ed intelligente. Gary Grant: l’opposto. D’istinto, o d’azione, risoluto, aitante e capace di tenere testa alle provocazioni di una onnipresente Ingrid Bergman.
    Questo è l’introverso che nella mia infanzia ho conosciuto per primo. Molto diverso da me che ancora ignoravo.
    Ma ora voglio passare ad un altro personaggio che è il frutto di una fantasia e non un uomo reale. Qui c’è da ridere. Mentre fin ora ho parlato di Hitchcock per estrapolare un dramma personale e mostrare un conflitto tra i due tipi psicologici.
    Ora parlerò di un personaggio di fantasia che altro non è se non lo stesso conflitto tra i due tipi soltanto che è preso da un punto di vista ironico. Sta volta raccontato da un uomo che da un dramma horror ne ha tratto una commedia divertente. Parlo del famoso ispettore Clouseau.
    È veramente il cretino di successo. Anche lui capace di fare tutto quello che alla persona più dotata non può mai riuscire. Era semplice, la sua mente lavorava per luoghi comuni ma nessuno gli sfuggiva. C’è una semplice legge di compensazione, più uno è stupido e più la vita ti protegge, più sei dotato e più ti ostacola. Affinché la vita resti in perfetto equilibrio tra i vari soggetti.
    Poiché l’ispettore Clouseau era dannatamente stupido, tutto ruotava intorno a lui, il suo talento nell’essere imbranato si ribaltava sempre contro i suoi avversari, la sua incapacità di osservarsi era un modo per poter sfuggire alle disgrazie. La sfortuna non lo vedeva perché era troppo imprevedibile, nei modi di pensare, nelle scelte. Nei fatti risolveva sempre i casi, otteneva le decorazioni, sconfiggeva i cattivi ma restava un idiota. Dalle idee semplici e superficiali. La sua fiducia in se stesso smontava anche il destino.
    In questo film commedia comico, non c’è spazio per le proprie abilità. L’ispettore Clouseau è l’esatta manifestazione che la vita con le sue contraddizioni apre le porte anche ad uno stupido anzi, proprio perché stupido, la vita ti apre le porte.
    Come sono arrivato a questo? Semplicemente osservando i primi tre film. Nei due capitoli iniziali, le sbadataggini dell’ispettore sono appena accennate. Il suo diretto superiore è un uomo intelligentissimo ma sfortunato. Ogni volta che Clouseau si presenta nel suo ufficio ne combina una al suo capo.
    Dreyfus, il capo Dreyfus è un genio ed è diventato capo ispettore proprio per le sue abilità. Purtroppo per colpa dell’ispettore Clouseau si troverà nei guai. Dreyfus, è stato il primo a subire il successo del suo sottoposto Clouseau, il primo a capirne la pericolosità, il primo a sospettare che Clouseau non è altro che un idiota estremamente fortunato.
    Questa sua intuizione unita alle vicissitudini degli episodi hanno portato Drayfus a diventare un criminale, non un semplice malvagio ma il padrone quasi indiscusso del mondo.
    Aveva una base segreta ed un raggio mortale con cui poteva incenerire una qualsiasi città a sua scelta in un attimo.
    Dreyfus aveva contattato le nazioni unite ricattandole. Non voleva il dominio del mondo, neppure denaro. Il suo pensiero fisso era Clouseau. Aveva minacciaato di distruggere le città più importanti del mondo se le nazioni unite non si fossero messe d’accordo per trovare un modo per eliminare Clouseau.
    Dreyfus era solo preoccupato della pericolosità di Clouseau. Non gli importava di mettersi contro il mondo ma sapeva che l’unica minaccia veniva da Dreyfus.
    Mi chiedo dove sia andata ai nostri giorni quella geniale comicità. Dreyfus era un genio molto sfortunato che aveva la dote di irritare tutti, collerico e in contrasto coi suoi superiori, non creduto da nessuno ed infine arrestato ingiustamente.
    Questo in chiave ironica è il contrasto tra introversi ed estroversi. Qualcosa di meno sottile rispetto al vissuto di un Hitchcock ma pur sempre e sicuramente il dramma di qualcuno che forse vedendo questa realtà non poteva far altro che sdrammatizzarla in qualche modo.
    Uno dei misteri più grandi della fede è il non poter dimostrare come uomini dotati intellettualmente e moralmente possano aver subito eventi estremamente nefasti, come i santi o i pensatori più profondi e come spesso personaggi dalla sensibilità sottile siano stati spesso oggetto di violenze da parte della violenza di alcuni stati.
    Di fatto, una certa profondità, doti umane, non fanno altro che attirare ingiustizie e violenze.
    Vista dal punto di vista della commedia di Clouseau è un gioco o un film ma dietro forse c’è il dramma di chi ha osservato in silenzio alcuni fatti della sua semplice vita che visti da vicino avevano una logica paradossale…
    Lo scontro tra i due tipi non ha fine. Oggi non siamo al livello di una lotta diretta tra i due tipi. È una battaglia dentro di noi. In ealtà uno dovrebbe accettarsi per quello che è. Ma come si fa in un luogo dove i giudizi di valore sono in mano solo ad uno dei due tipi psicologici?
    Se il metro di paragone e di benessere e di felicità è solo ad appannaggio del tipo estroverso, che altra strada ha l’introverso ddi aggiudicarsi un minimo di spazio e di felicità?
    A quanto vedo nessuna. Nessuno sa cosa sto scrivendo eppure in soli dieci giorni quattro persone si sono dichiarate introversi che recitano la parte degli introversi.
    Ogni introverso che ho conosciuto ha avuto delle scelte da fare, tutte drammatiche. Essere se stessi ed essere sempre fraintesi. Comunicare per essere messi da parte, insomma insistere nel non accettarsi.
    Ma l’accettazione di se è pressoché impossibile da compiere. Se ci si accetta allora ci si apre ma il materiale psichico di un introverso è profondo verticale e lento, inadeguato alla velocità che necessita per ottenere un dialogo tra individui. Se aggiungi che viviamo in una società dove il tempo è denaro e dove la velocità è percepita come grandezza e forza. Essere lenti, riflessivi è già un modo di esprimersi che ogni introverso ha sperimentato mille volte su di se come sbagliato, triste. Come qualcosa che non va.
    La seconda è la via della non accettazione di se. Ci si adegua. A parità di sorriso, di movimento, un introverso nulla può contro un estroverso. La comunicazione nel vuoto e del vuoto è il loro forte.
    Uno non si può accettare e se può recita una parte e se la tiene se gli riesce bene. Una copia in negativo di un introverso che recita di essere un estroverso ha solo un risultato. Finisci per avere tutte le incombenze di una vita sociale, responsabilità, lavoro senza goderne l’altro aspetto: i piaceri.
    Allora si ritorna sulle proprie posizioni. Accettarsi. Ma anche quello è inadeguato. Ciò che si esprime, come ho detto, è lento, troppo pensante e spesso se spontaneo, troppo arcaico.
    Oppure si accettano i propri pregi che purtroppo non hanno nessun peso sociale. Come la capacità di ascoltare. Si diventa passivi e basta. Anche accettandosi, non si vive, si sopravvive.
    Insomma è frequente una botta d’ira per gelosia che l’introverso non sa gestire facendo scappare l’oggetto della sua passione. Ma come? Ho comunicato? Eppure è scappato/a.
    Tutto quello che esce da una persona silenziosa è spesso burrascoso. Si comunica e si fa scappare la gente. Neppure parlo di persone come me, volgarmente gente. Non si comunica, si recita, si dice quello che si deve dire e non accade nulla. Hai risposto bene alle domande del buon stare con gli altri ma siccome non è tuo, non suscita interesse alcuno.
    Questo stato in cui ci si apre e chiude di continuo, questa altalena nauseante, temo che non avrà mai fine. Non è una lotta dell’introverso incompreso contro una società estroversa, si lo è anche questo ma principalmente è una logorante battaglia dentro di se.
    Si ha un'unica opportunità adattarsi. Il perché di tutto questo non lo so. Molti di noi vivono nell’ombra per necessità. Ci si deve nascondere come ladri e se si vive nel silenzio per i vivaci non si è mai abbastanza al proprio posto.
    Potrei dire molto su di loro ma non ne ho la voglia e la forza. Chi mi crederà? A chi interessa? Ho scritto questo solo perché erano anni che ci riflettevo sopra e mi ero promesso di non lasciarmi andare all’ira. Ho ancora le loro cicatrici sulla mia schiena. È domenica e sono qui a scrivere. Potrei passarlo in altro modo? Nessuno può togliermi il diritto di essere me stesso. Solo me stesso. Mollare il mio talento, uscire, è comunicare e perdere. Tornare di nuovo qui in casa, sapendo di non aver scritto nulla. Richiudersi, ricominciare a scrivere, riprendere fiducia in se, uscire di nuovo, comunicare e perdere.
    Il ciclo ricomincia.
    Perché? Ero intento a scrivere la mia vita che non è col famoso inchiostro simpatico. Esci, vivi la tua vita, tutto quello che fai si perde.
    Restano mille dubbi. Le persone che conosco e che spontaneamente mi dicono così esprimono il mio disagio in un'altra maniera. Adattandosi a qualsiasi costo. Sanno bene come me che come introversi sono spacciati su tutti i campi. Sono quelle persone dunque e non la mia avversità verso gli estroversi a portarmi a scrivere. Sono gli introversi “modificati” come si sono definiti due dei quattro che conosco.
    Una cosa orribile o un nuovo mondo? Entrare nella bocca della balena, farsi sbranare in un sol boccone per poi divorare il mostro dalle sue viscere?
    Credo proprio che finisca così.
     
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