Una spiegazione semplice

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  1. Albert Schweitzer
     
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    Salve Dottor Anepeta. Dovrò partecipare ad una conferenza che vuole promuovere la cultura del rispetto dei diversi. Così, avendo deciso di parlare di ciò che conosco meglio, ho scritto una breve relazione, basandomi su ciò che ho imparato dai suoi scritti, per spiegare cos'è l'introversione e le problematiche ad essa associate. Volevo sottoporre alla sua attenzione, se possibile, la mia composizione per sapere se è sostanzialmente corretta pur nella sua semplicità, oppure se è necessaria qualche correzione. Grazie.

    "Nell’ ambito della psicologia gli esperti sono unanimamente concordi sul fatto che la struttura della personalità sia nella maggior parte dovuta all’ influenza ambientale. Allo stesso modo però si ritiene che alla nascita la mente non sia un libro completamente bianco ma che una minor quota della personalità sia già scritta, che questa parte quindi dipenda dal patrimonio genetico. Facendo una similitudine con la macchina più simile al cervello che l’uomo abbia fin ora costruito, il computer, è come se si venisse al mondo con dentro il cervello un sistema operativo a cui, successivamente, vengano aggiunti in “corso d’uso” software e file. Tra le caratteristiche di personalità innate vi è sicuramente l’introversione. Sebbene l’esistenza del gene o dei geni dell’introversione non sia stata ancora accertata da indagini molecolari sul DNA umano, che questo sia vero lo dimostrano almeno due prove. Per la prima prova occorre considerare che la parte della personalità genetica è subito pronta nel bambino mentre quella dovuta all’ambiente si stratifica pian piano nel tempo ed è per questo motivo che se nella personalità dell’adulto l’ambiente prevale sulla genetica, almeno nei primi anni accade il contrario, ovvero la genetica prevale sull’ambiente. Poiché le caratteristiche dell’introversione sono riscontrabili nel comportamento dei bambini molto piccoli questo dimostra che l’introversione è una caratteristica genetica. La seconda prova, che è anche la conferma della prima, è che le persone introverse hanno sempre tra i genitori o tra i nonni una persona anch’essa introversa. Ma quanti bambini introversi vengono al mondo? Non sono mai state fatte delle statistiche in merito ma ogni insegnante delle scuole dell’obbligo può accorgersi che in ogni classe di 20-30 studenti 1-2 sono introversi. Nella popolazione gli introversi dovrebbero attestarsi quindi nell’intorno del 6%. Ma al di là del senso comune che vede le persone introverse ripiegate in un proprio mondo interiore scorporato dalla realtà cos’ è esattamente l’introversione? La spiegazione è molto più semplice di quello che si potrebbe immaginare. Tutte le persone socializzano e tutte riflettono. Negli estroversi il bisogno di socialità è fisiologico e tale da prevalere sul bisogno di riflettere ( il che non significa però che gli estroversi agiscano senza pensare ). Negli introversi, al contrario, è il bisogno di riflessione ad essere fisiologico e tale da prevalere sul bisogno di socialità ( il che non significa però che gli introversi non siano interessati alla realtà che li circonda ). Questa differenza comporta delle diversità sul modo di vivere. Quella più evidente è che se gli estroversi solitamente hanno più amici che interessi, gli introversi, al contrario, solitamente hanno più interessi che amici. Inoltre se gli introversi possono sviluppare problematiche dovute alla solitudine in giovane età, gli estroversi, al contrario, possono sviluppare problematiche dovute alla solitudine in tarda età. Di per se nessuno dei due modi di essere è migliore dell’altro, ciascuno comporta vantaggi e svantaggi. Tuttavia l’asimmetria così marcata nelle proporzioni fa sì che gli introversi siano una piccola minoranza immersa in una grande maggioranza, e quando è presente una disomogeneità in un gruppo umano omogeneo nasce una diversità. Una persona introversa è quindi esposta a vivere da anatroccolo nero fra tanti anatroccoli bianchi e per di più nella totale incomprensione. Il fatto è che l’introversione, con la sua conseguente bassa propensione alla socialità, consapevolmente o intuitivamente, viene considerata di per se disadattiva. Che l’Homo Sapiens abbia fondato il suo successo evolutivo nel suo essere una specie sociale, dove gli individui si aggregano e collaborano fra loro, è senz’ altro vero. Cosa ci starebbe a fare quindi un orso, un plantigrade, in mezzo a delle scimmie, dei primati? Non si può fare uscire dal mistero l’introversione se non si riesce ad analizzarne il suo significato biologico-evoluzionistico. In natura la pressione della selezione naturale è sempre presente e agisce sulla base della fitness riproduttiva dell’individuo, ovvero sul numero di discendenti che vengono lasciati, relativo alla popolazione generale. E’ sulla base di essa che le caratteristiche non utili vengono eliminate entro un certo numero di generazioni e le caratteristiche svantaggiose ancora più velocemente. Una caratteristica negativa per l’individuo può però essere conservata per vie traverse, ovvero se essa porta un consistente vantaggio ai consanguinei che perpetuano la stessa caratteristica svantaggiosa con geni recessivi che ogni tanto la lotteria genetica fa riemergere. Ammesso che l’introversione fosse disadattiva “tout court”, poiché persiste, dovrebbe essere portatrice di un vantaggio evolutivo molto importante. Ma in tal caso quale potrebbe essere questo vantaggio? L’Homo Sapiens non è solo una specie sociale ma anche una specie culturale. Basa cioè il suo successo, tale da avergli consentito di colonizzare ogni ambiente terrestre e di poterne sfruttare ogni risorsa alimentare, non solo sulla collaborazione degli individui ma anche sulla possibilità che essi possano dotarsi e che possano tramandare delle abilità acquisite sulla base dell’esperienza. Uno dei primi successi culturali dell’umanità, per esempio, è stato l’invenzione del fuoco e l’invenzione della cottura degli alimenti. Questo ha aperto alla possibilità di nutrirsi più facilmente di carne e di difendersi più facilmente da batteri e parassiti. Non è necessario però che ogni generazione reinventi continuamente il fuoco e la cottura perché basta imparare e insegnare, cioè tramandare ai discendenti, queste abilità. E’ sufficiente cioè dotarsi di un patrimonio culturale parallelo al patrimonio genetico. A questo punto si può fare qualche congettura sull’ esistenza dell’introversione. La mente introversa è una mente che è vincolata al bisogno di riflessione. Una mente che riflette è una mente che cerca ed una mente che cerca, se associata alla genialità, magari trova qualcosa di interessante e di utile per tutti. Non deve essere un caso se molti geni intellettuali del passato che hanno contribuito al progresso scientifico artistico e sociale dell’umanità erano anche notoriamente persone introverse. L’introversione potrebbe essere quindi un’invenzione della natura per dare all’ uomo un arma segreta per facilitare la produzione di cultura. Potrebbe essere così, e non lo si saprà con certezza fino a quando l’introversione non verrà sufficientemente indagata scientificamente. I diversi della società non esistono per un caso. Ognuno ha un motivo di esistere, ognuno è depositario di qualche valore, ognuno portatore di qualche scopo. Quale che sia il motivo per cui alcune persone al mondo sono meno propense a parlare, a scherzare, a socializzare e sono, al limite, strane, è certo che l’umanità, per diventare più evoluta avrebbe bisogno di dotarsi di una nuova cultura che portasse alla valorizzazione, piuttosto che alla stigmatizzazione, della diversità. Questo tipo di cultura, purtroppo, è ancora al di là da venire e fino a quando resterà un’utopia si dovrà trovare qualche soluzione alternativa. Il problema è affatto banale visto che una quota di introversi, impattando contro una società che non li ama e che non li accetta, si ammala e un ulteriore quota perviene al suicidio. Al momento si può solo sperare in un’ antiterapia di prevenzione antipsichiatrica visto che gli introversi pagano per l’unica colpa di essere se stessi."
     
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  2. Luigi Anepeta
     
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    Complimenti per questo ottimo lavoro. La relazione è semplice e lineare ma eccellente. Se dovessi suggerire una integrazione, riguardo al problema genetico, consiglierei di citare la neotenia, che è comune a tutta la specie umana ma, negli introversi, di sicuro più marcata rispetto agli estroversi. Che la neotenia sia di ordine genetico non può essere messo in discussione da nessuno. Il suo maggiore tasso negli introversi spiega tanti aspetti della loro diversità dayo che essa determina una maggiore plasticità in rapporto alla media.
     
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  3. Albert Schweitzer
     
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    Temevo che nel cercare di semplificare per divulgare il più possibile avessi finito per banalizzare il più possibile. Sono contento quindi che questo non sia avvenuto. Per rendere più leggera possibile la conferenza ( mi hanno chiesto così gli organizzatori, che anzi all'inizio non vedevano di buon occhio l'argomento ipotizzandolo tedioso ) ho in mente di di far fare il test di Eysenck al pubblico, in genere piace a tutti sottoporsi a dei test, e far vedere il video di Susan Caine, perché anche quello è simpatico. Naturalmente non trascurerò di far conoscere la lega, i suoi libri sull'introversione e Lei stesso. Grazie dell'attenzione della valutazione e del consiglio che accolgo senz'altro. Buona festività e buona giornata.
     
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2 replies since 29/10/2018, 19:23   205 views
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