Quello che l'introversione non è

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  1. Albert Schweitzer
     
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    Gentile Dottore, sempre per la mia conferenza ho scritto queste parole che sottopongo alla sua attenzione. Mi ispiro ai suoi scritti, naturalmente, avendo inserito però qualche mia intuizione pur sapendo di correre il rischio di dire qualcosa di errato. Ecco perché ho voluto sottoporlo alla sua attenzione. Grazie.

    Mentre l’estroversione è il vincolo genetico che da luogo al bisogno di socializzazione l’introversione è il vincolo genetico che da luogo al bisogno di riflessione. E' errato quindi interpretare l'introversione come l'opposto dell'estroversione, ovvero come il bisogno di star lontani dai propri simili. Per intendersi quando un introverso legge un libro, non legge un libro perché ha bisogno di stare solo ma stà solo perché ha bisogno di leggere un libro. L’introversione non è quindi la timidezza, anche se molti introversi timidi ci diventano, non è l’asocialità, anche se tanti introversi asociali ci diventano e non è neanche avere un proprio mondo interiore, anche se alcuni introversi lo sviluppano. Questi comportamenti, qualora associati all’introversione, nascono come forma di adattamento, al limite in forma di nevrotizzazione, in risposta ad una realtà sociale che vede gli introversi giudicati come minoranza anomala. Il dialogo tra introversi ed estroversi a priori, però, non è impossibile a patto di non considerare gli introversi come ospiti di una “nazione straniera”, con l'obbligo di doversi adattare a chi li riceve, ma "minoranza linguistica" di cittadini a pieno titolo, aventi diritto a mantenere il proprio linguaggio. La colpevolizzazione degli introversi come devianti, con la conseguente pretesa di normalizzazione, è il vero ostacolo alla loro autentica volontà di integrazione. Occorrerebbe abbandonare stereotipi e pregiudizi sull’introversione, riconoscendo che questa tipologia caratteriale non è un difetto dell'individuo che esiste per un caso ma un valore dell'umanità che esiste per uno scopo. A condizione di essere inclusi gli introversi possono essere benissimo socievoli restando se stessi, semplicemente facendo un buon uso di quelle che sono le caratteristiche associate alla loro struttura di personalità che li orienta ad un desiderio di pari dignità, di giustizia sociale, di rapporti umani improntati alla correttezza ed alla delicatezza, ad un elevata affettività ed empatia, tutte caratteristiche che predispongono l'individuo alla socialità anziché ostacolarlo. Solo quando sentono la necessità di difendersi gli introversi si chiudono a riccio e quando socializzano ma appaiono selettivi verso le persone è perché, rifiutando di essere "amici di tutti e di nessuno", stanno solo scegliendo di essere "amici di qualcuno".
     
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  2. Luigi Anepeta
     
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    Sono del tuto d'accordo con questa nota.
    Aggiungo solo che leggere un libro implica una relazione sociale tra il lettore il mondo interiore dell'autore. Talvolta comunicare, sia pure indirettamente, con anime grandi aiuta a tollerare la necessità di comunicare, nel quotidianoi, con soggetti banali.
     
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  3. Albert Schweitzer
     
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    Per intenderci nella nota critico il mondo interiore nel senso dato dal pregiudizio, ovvero una astrazione della mente che origina una realtà virtuale parallela al mondo reale, dove il soggetto introverso si rifugia per essere come un "ragno in una bolla". Questa idea distorta toglie autenticità al vero significato di mondo interiore che è, ne più ne meno, che un'intensa attività mentale la quale, svolgendosi in un cervello, è di questo mondo, non fosse altro per il fatto che un cervello occupa un volume di spazio proprio e che non si pensa al di fuori del proprio cervello.

    La conferenza si è svolta e non ho detto nulla di quanto ho scritto sul forum mentre ho parlato della neotenia come mi aveva suggerito. Una persona del pubblico infatti ha contestato l'origine genetica dell'introversione dicendo che la presenza del genitore o del nonno introverso va bene per giustificare tanto la causa genetica quanto l'imprinting culturale, anche quando ad essere introversi sono due gemelli omozigoti. Questo perchè, sosteneva, l'imprinting comincia fin da quando il bambino vede e sente per la prima volta il viso e la voce della madre. E' stato a questo punto che ho tirato fuori la neotenia dicendo che la faccia nessun familiare te la può cambiare.

    Ho parlato ad un pubblico con grande sicurezza e fluidità della mia introversione, a voce forte e chiara, senza interrompermi e perdere il filo. Come la Caine ho restituito un'immagine di introverso all'opposto dello stereotipo, che nessuno si apettava. Alla fine ho chiesto agli organizzatori se potevano capire che ero introverso se non glielo avessi detto e mi hanno risposto che davvero non avrebbero potuto capirlo.

    Forse che c'è stata in me una deriva dall'introversione verso l'estroversione? O una deriva dal bisogno di appartenenza a quello di individuazione? O una deriva da una minore intelligenza ad una maggiore intelligenza? Se guardo in me stesso penso di essere l'introverso bambino d'oro di sempre e con il medesimo livello medio di intelligenza.

    La compagnia delle persone non mi dà fastidio anche quando non mi tolgono la solitudine. Semmai mi tolgono il tempo per quello che mi fornisce davvero emozioni ovvero il sapere e la cultura. Tuttavia la scoperta di non essere una persona con il suo carattere ma di appartenere ad una autentica varietà umana mi ha restituito un senso di solitudine cosmica visto che nella realtà non conosco introversi e mi relaziono solo con estroversi.

    Alla fine mi sento come un alieno incompreso e isolato dai propri simili, che la razza umana vuole distruggere per paura di vedersi sostituita come nel film "L'invasione degli ultracorpi", quando invece "vengo in pace".

    La ringrazio e la saluto.
     
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  4. Luigi Anepeta
     
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    Complimenti per aver afermato e difeso in pubblico il valore dell'introversione. La tendenza a rifiutare di riconoscere la matrice genetica dell'introversione è una sorta di riflesso condizionato di persone ideologicamente di sinistra che, però, sono rimasti fermi ad una concezione deterministica della genetica ormai ampiamente superata; persone che no hanno letto nulla di Gould, Lewontin, cavalli-sforza ecc.
    Riguardo al problema della solitudine rimando a due miei articoli:
    http://www.nilalienum.it/Sezioni/Bibliogra...i/StorrSol.html
    http://www.nilalienum.it/Sezioni/Aggiornam.../Introesol.html
     
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  5. Albert Schweitzer
     
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    In sala c'erano poco più di 30 persone. Altre domande che ho ricevuto sono state le seguenti:
    D. A che età hai scoperto di essere introverso?
    R. Da adolescente
    D. Avresti preferito essere estroverso?
    R. Non ho mai sperimentato essere estroverso e quindi non so rispondere
    Poi una collega laureata in psicologia mi ha posto questa domanda :
    D. Dove hai trovato il coraggio di dire che sei introverso?
    R. Ho detto di essere introverso, non ho detto di essere un vigliacco. Se negassi l'introversione confermerei il pregiudizio che mi portava a ritenere inadatto al mio lavoro a contatto con la clientela. E che si pensa che serva coraggio conferma che il pregiudizio esiste.

    Il prossimo anno l'iniziativa dovrebbe ripetersi e voglio basarmi o su un documentario sull'introverso Kurt Cobain o sul personaggio del bambino introverso Oskar nel film Molto forte incredibilmente vicino.

    La ringrazio per i link.
     
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  6. Luigi Anepeta
     
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    Mi tenga al corrente della sua coraggiosa lotta per fare riconoscere pubblicamente quello che è l'introversione. Se si impegnassero su questo piano gran parte degli introversi, il pregiudizio sarebbe sormontato nel giro di qualche anno. Era questo l'intento originario della LIDI che, però, non ha riconosciuto una grande partecipazione per carenze e errori nella gestione dell'Associazione.
     
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  7. Albert Schweitzer
     
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    Lo farò senz'altro.
     
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6 replies since 7/11/2018, 21:09   264 views
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