Affettività

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    L'affettività è una funzione psichica che definisce lo spettro dei sentimenti e delle emozioni. Gli introversi vengono al mondo con doti emotive fuori dell'ordinario, questo è il dato costante di tutti i soggetti introversi. Purtroppo però di questa emotività traspare poco e niente in superficie e anche se dotati di grandi doti umane molti introversi sono giudicati freddi e a volte scostanti.
    Ho scoperto che uno psicanalista cileno, Ignacio Matteblanco, si è occupato molto di sentimenti ed emozioni. Sembra che la ricerca portata avanti su questi temi sia stata la più proficua della sua produzione intellettuale.
    Sarei felicissimo di coltivare la mia affettività ma spesso ho l'impressione che sia inutile. Ci sono persone che, se le guardi anche solo per un poco, ti rendi conto che emanano qualcosa di speciale. In certi momenti della mia vita sono stato così, credevo profondamente in qualcosa (giusta o sbagliata che fosse) e in qualche modo la esprimevo senza dovermi sforzare troppo. Non è che oggi io non sia in grado di esprimere i miei sentimenti però mi mancano completamente le occasioni per farlo. Inoltre sono momentaneamente sprovvisto di una fede in qualcosa, a parte l'introversione anche se devo ancora accettare pienamente la cosa. Vorrei tanto che il nostro mondo non fosse organizzato in modo tale da privilegiare in assoluto chi riesce a mettere in mostra le proprie doti intellettive rispetto a chi prova a sviluppare le proprie doti affettive. Perchè è vero che gli estroversi appaiono espansivi e affettuosi ma è vero anche che per essere in grado di mettere pienamente a frutto la propria affettività ogni essere umano, anche il più estroverso, ha bisogno di sviluppare delle capacità introspettive quindi ha bisogno di coltivare quella percentuale di introversione presente nel suo corredo genetico. Direi quindi che dovrebbero essere gli introversi a detenere lo scettro dell'affettività e non gli estroversi. Il nostro mondo privilegia in assoluto gli estroversi mentre gli introversi che si anestetizzano riescono in qualche modo a cavarsela.
    Inoltre è vero che è possibile scollegare pensiero ed emozione e che è possibile anestetizzarsi ma questo non è sicuramente quello che vorrei fare io anche perchè il sinergismo di emozione e pensiero non può che andare a vantaggio di quest'ultimo. Il problema è che non riuscendo ad anestetizzarmi non riesco neanche a vivere bene in mezzo agli altri perchè per entrare in relazione ho bisogno di un'intesa profonda. Non so bene come affrontare tutto questo avendo la forza di volontà di portare avanti i miei progetti di vita che al momento sono davvero impegnativi.
    Credo che in effetti questo sia il dramma dell'introversione.
     
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  2. TheThinIce
     
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    "Credo che in effetti questo sia il dramma dell'introversione."

    Ciao L23, scrivo in risposta a te, ma per commentare un approccio che rilevo in molte discussioni attive, è che secondo me è erroneo e improduttivo. Volevo scrivere queste cose da un po', e mi sono agganciato al tuo messaggio, quindi spero che non prenderai il mio commento come una critica specifica alle tue parole.

    Rilevo una tendenza a ricondurre il proprio malessere unicamente all'essere introversi. Il rischio, credo, è quello di far rientrare dalla finestra il paradigma biologico-genetista, per cui se stiamo male è perché siamo nati "diversi" dalla maggioranza, e non veniamo protetti nella nostra diversità. Non che questa affermazione sia del tutto falsa, ma credo che veda inserita in una cornice più ampia. L'idea che mi sono fatto, e che mi sembra traspaia anche negli scritti del dottor Anepeta, è che l'introversione non sia in sé la causa del proprio malessere, ma che invece sia una condizione che espone maggiormente gli introversi alle contraddizioni e carenze con cui gli esseri umani si confrontano a partire dalla nascita. Se gli estroversi riescono a rimediarvi (con il conformismo, anestetizzandosi...) gli introversi spesso ne rimangono imbrigliati e non riescono a superarle.

    Se io guardo alle caratteristiche per cui potrei definirmi introverso (l'introspezione, lo sguardo critico, l'indipendenza) penso a queste come qualità che avrebbero potuto sostenere una mia piena realizzazione, piuttosto che ostacolarla. Ciò che invece mi ha ostacolato, ad esempio la dipendenza dal giudizio altrui, lo riconduco a delle relazioni disfunzionali con il mondo esterno, prima di tutto familiare, e poi esteso ai successivi interlocutori (parenti, scuola, associazioni, senza tralasciare il ruolo non necessariamente in tuo favore che assumono i professionisti della salute mentale).
    In questo senso credo che il vero nemico - o comunque l'unico che si può combattere - non è l'introversione, ma quelle contraddizioni e quelle carenze in cui gli introversi si imbattono, e che a differenza degli estroversi non riescono ad aggirare. Penso che ci si dovrebbe focalizzare su questi aspetti, sull'individuazione delle zavorre emotive che ci bloccano, e sulle possibilità che abbiamo di liberarcene.

    Concentrarsi sulla contrapposizione introversi VS estroversi non credo invece porti lontano. Impostando così il problema, cosa potremmo rivendicare? Delle "quote viola" nei posti di lavoro, da riservare agli introversi? L'obbligo sociale di mostrare simpatia verso i solitari? Che si ripeta nelle trasmissioni televisive quanto gli introversi siano in realtà piacevoli e interessanti?

    ...Sto ovviamente provocando, ma voglio dire che io preferirei (avrei preferito...?) riuscire a conquistarmi il mio spazio di realizzazione, non che mi venga "riconosciuto in quanto diverso". In altri termini vorrei avere a disposizione degli strumenti che mi permettano di rimuovere gli ostacoli che hanno ostruito il mio di percorso, e non delle corsie preferenziali a me destinate (e che portano dove?).

    Edited by TheThinIce - 27/1/2019, 19:05
     
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    Ciao The Thinkle, il tuo intervento mi è piaciuto moltissimo, sono perfettamente d'accordo con te. In effetti ho scritto quel commento in un momento in cui ero parecchio disperato per una serie di ragioni e ho "drammatizzato". Quello che intendevo dire è che raramente trovo persone come me negli ambienti che frequento, persone che abbiano la mia stessa sensibilità e con cui mi capisco al volo. Devo sempre cercare di farmi capire e questo mi crea enormi problemi. Ho scelto il titolo "Affettività" perchè ritengo che sia una facoltà mentale che si può imparare a gestire sempre meglio nel corso della vita. Dato che io non sono molto bravo a gestire emozioni e sentimenti volevo parlarne. Il fatto di essere iperemotivi è per gli introversi un vero dramma ma so benissimo che può diventare un punto di forza. Non so ancora come fare per farlo diventare tale ma anche solo in piccola parte spero di riuscirci un giorno.
    Comunque hai ragione, nessuna corsia preferenziale, non siamo mica persone diversamente abili, al contrario! In effetti io sono il primo a non accettare a pieno l'introversione come qualcosa di geneticamente determinato con limiti e valori, in realtà sono sempre stato molto tendente a immaginarmi come un estroverso anche se è palese che io non lo sia e solo da un tempo relativamente decente mi sono riconosciuto come introverso. Non accetto la cosa e quindi la drammatizzo ma credo che prima o poi la accetterò e ne farò un punto di forza. In verità fino a qualche hanno fa non avevo proprio mai pensato che essere introversi o estroversi corrispondesse a uno specifico modo di essere geneticamente determinato e credevo che essere introversi fosse qualcosa da correggere sforzandomi di non esserlo. In passato ero convinto che la diversità tra individui fosse dettata solo da differenze culturali. In sostanza pensavo che se ero fatto in un certo modo era perchè la mia famiglia viene da un regione del sud. Quando ho capito che l'aspetto culturale era solo lo strato superficiale del mio modo di essere ci sono rimasto un pò male ma in fondo ne sono anche contento perchè mi sono reso conto di come sia possibile fare molte più cose con il nostro cervello. Meno recinti mentali hai più il tuo cervello è in grado di fare collegamenti. Purtroppo questa scoperta mi ha messo anche un pò in crisi ma spero prima o poi di trovare una nuova dimensione tutta mia.
     
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  4. TheThinIce
     
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    Ciao Lorenzo (hai fatto outing in risposta al mio messaggio di presentazione :secret.gif:).
    Sono molto contento che il mio commento ti sia piaciuto, e magari rincuorato un po' rispetto a quel momento difficile.

    Due mie brevi opinioni sul tuo ultimo messaggio.

    Penso che dovremmo smetterla di fare tutta questa fatica cercando di farci capire. Bisognerebbe che dicessimo la nostra e punto. Si passa ad altro, senza richiedere comprensione o approvazione.
    Tanto, nella quasi totalità dei casi, l'eventuale approvazione non discende dalla forza degli argomenti che possiamo utilizzare, ma piuttosto dal fatto che ciò che diciamo conferma il nostro interlocutore nelle convinzioni che ha già (quindi zero fatica); oppure da un pregiudizio che lui ha nei nostri confronti (se siamo dei docenti universitari penderà dalle nostre labbra, ancora zero fatica; se siamo dei disoccupati tanta fatica e tutta sprecata).

    Poi, io non sottovalutarei la cultura rispetto alla genetica, anzi direi piuttosto il contrario.
    La vedo più o meno così: la genetica rappresenta il tipo di terreno di cui siamo fatti: se sabbioso potranno attecchire certe tipologie di semi e non altri, che invece necessitano di un terreno argilloso. Ma poi, tra le piante che possono potenzialmente mettere radici in quel terreno (comunque un sottoinsieme numeroso di tutte le piante) quelle che effettivamente vi cresceranno saranno quelle che vi verranno piantate (e magari innaffiate).

    A presto (prima o poi mi rifaccio vivo, ma leggo comunque tutti i commenti).
     
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    Vero quello che dici sulla cultura. Quello che intendevo dire io è che se si hanno dei recinti mentali, ovvero se la nostra cultura è basata su schemi troppo rigidi diventa un limite. Come ti ho detto io mi identificava molto con il modo di essere di una certa cultura senza prendere in considerazione che sono introverso. Si trattava chiaramente di un enorme limite culturale. Se invece la cultura a cui facciamo riferimento è di ordine elevato allora hai ragione, si tratta sicuramente di un buon concime.
     
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    Ps: io in realtà cambierei la metafora. Noi siamo la pianta, il terreno in cui cresciamo è la società e la cultura con cui veniamo educati rappresenta il concime. La qualità del concime fa la differenza a parità di intelligenza sensibilità e possibilità economiche.
    Ciao 😉
     
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  7. TheThinIce
     
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    Ok, possiamo anche invertire l'ordine dei fattori ;)
     
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6 replies since 25/1/2019, 00:49   241 views
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