Libro sulla vergogna

non letto, ma per capire a che serve questa emozione

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  1. maria rossi
     
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    La vergogna. Un affetto psichico che sta scomparendo?
    Autori e curatori: Anna Maria Pandolci
    pp. 96, 1a edizione 2002 (Cod.1215.1.9)

    Composita, complessa, estremamente polisemica, la vergogna è un'esperienza che tutti gli esseri umani, in una circostanza o nell'altra, hanno vissuto. Guardiana dell'integrità del Sé e dei suoi confini, è ponte tra l'individuo e gli altri, fondamento della vita sociale, garanzia del limite, regolatore delle distanze e delle differenze.
    È anche l'affetto forse più penoso e bruciante, traumatico e annichilente che l'essere umano possa provare. E per converso costituisce una delle armi più potenti per distruggere l'identità di un proprio simile.
    Nonostante la vergogna sia tutto ciò e anche altro, è stata finora singolarmente trascurata e misconosciuta da chi si occupa del disagio psichico. La vergogna, con gli affetti ad essa apparentati (l'umiliazione e la mortificazione sul versante distruttivo, il pudore, la modestia, la riservatezza, il tatto su quello positivo), è forse talmente presente sotto gli occhi di tutti che non la si coglie nella sua specificità e finisce per questo in altre categorie di emozioni come la colpa, l'inadeguatezza, la sfiducia, la depressione, la rabbia, il trauma, la dissociazione.
    Trascuratezza e misconoscimento da parte degli addetti ai lavori hanno certamente motivazioni storico-teoriche, ma anche e soprattutto ragioni umane. Perché se è vero che ci si vergogna di vergognarsi e di far vergognare, è probabilmente vero che ci si vergogna financo di parlare di vergogna; quasi che insieme alla morte anche la vergogna sia diventata uno dei nostri residui tabù.
    Solo ora si comincia a prestare a questo affetto complesso la dovuta attenzione nel campo clinico e psico- sociale. Ed è paradossale che ciò avvenga proprio ora, quando la vergogna sta subendo modificazioni radicali nell'individuo, nei gruppi e nella società, proprio ora che sta forse scomparendo per come noi la abbiamo conosciuta, per trasformarsi nei suoi contrari, in modo tutto particolare in quelli di tipo perversivo.
    Anna Maria Pandolfi è membro ordinario della Spi e dell'Ipa dal 1984. Nel 1988 ha fondato con altri colleghi la Arp. Da circa vent'anni si dedica anche alla clinica della coppia e della famiglia. Lavora privatamente come psicoanalista e psicoterapeuta e conduce gruppi terapeutici e supervisioni. Per i nostri tipi ha pubblicato Il suicidio. Voglia di vivere, voglia di morire (2000).

    Indice:
    Le varie facce della vergogna
    La fenomenologia della vergogna
    Le cause della relativa trascuratezza degli psicoanalisti nei confronti della vergogna
    Le teorie psicoanalitiche relative alla vergogna
    Cenni antropologici
    I molteplici significati degli affetti della famiglia della vergogna
    Le connessioni della vergogna con altre emozioni e affetti
    Le strategie difensive nei confronti della vergogna
    La vergogna e lo sguardo
    Gli affetti della vergogna nell'ambito delle dinamiche familiari
    La vergogna nella psicopatologia
    Considerazioni sulle attuali modificazioni dell'esperienza della vergogna


    allora non credo sia interessante ne utile la riflessione della gentile signora ma l'avevo detto nel post su timidezza-mi pare-che l'avrei inserito e così ho fattoù
    saluti a tutti.
    la mia domanda è: a che serve la vergogna?
    m'aria
     
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  2. lanepeta
     
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    In Psicopatologia strutturale e dialettica, saggio del 1991 pubblicato su Nilalienum, ho analizzato la vergogna a partire dalle esperienze psicopatologiche. Dato il presupposto della mia ricerca, per cui la psicopatologia rende trasparenti dinamiche della soggettività universali ma spesso sfocate dalla rete delle mistificazioni coscienti, penso che valga la pena riversare l’articolo nel Forum. A distanza di anni, mi verrebbe da aggiungere qualcosa. Ma lo farò quando mi dedicherò ad una nuova edizione del saggio (o forse prima, non so).
    Il problema della genealogia naturale e culturale della vergogna e della sua evoluzione nel corso del tempo rimane ovviamente da sondare.

    Vergogna
    Solo di recente, in ambito psicopatologico, a partire dagli attacchi di panico, si è cominciato a parlare di vergogna, vale a dire dalla fobia di incorrere in un giudizio sociale che, smascherando qualche aspetto della personalità che il soggetto vive negativamente, altera irreversibilmente la sua immagine sociale destinandolo all’esclusione. Come ogni fobia, la vergogna psicopatologica riconosce dunque una situazione che la attiva e che dà luogo ad una strategia d’evitamento. Tale situazione, però, essendo l’esposizione sociale, rende la strategia d’evitamento pressoché impossibile.
    Tranne rari casi, infatti, che segnano l’esordio di psicosi adolescenziali o giovanili, caratterizzate dal fatto che il soggetto si confina in casa, spesso seppellendosi in camera, immerso nel buio, l’esposizione sociale non può essere del tutto scongiurata.
    I vissuti che si associano alla vergogna sono estremamente significativi, in quanto consentono di distinguere due diverse configurazioni fenomenologiche.
    La prima configurazione è caratterizzata dal fatto che il soggetto vive la possibilità di manifestare in presenza degli altri comportamenti più o meno gravemente inadeguati che lo espongono ad un giudizio sociale di debolezza, immaturità, infantilismo, inferiorità. I comportamenti in questione sono di vario genere. Talora essi fanno capo semplicemente al modo abituale di essere del soggetto che, esposto allo sguardo altrui, viene immediatamente vissuto, dall’aspetto fisico all’abbigliamento ai gesti, come inadeguato, patetico o ridicolo. Altre volte, è la necessità di parlare in pubblico ad attivare la vergogna, come se la parola esibisse inesorabilmente la propria inferiorità intellettiva e culturale. In altri casi ancora, l’esposizione sociale si associa al pericolo di un attacco di panico in conseguenza del quale il soggetto, rimanendo paralizzato e smarrito di fronte agli altri, si sente esposto al rischio di essere giudicato come anormale. Questo pericolo viene di solito scongiurato dalla presenza di una figura familiare che, però, paradossalmente anima la paura di essere giudicato dipendente e infantile.
    Indagati criticamente, questi vissuti appaiono notevolmente più complessi di come si pongono a livello cosciente. Intanto, è evidente che essi non sono realistici, come il soggetto inclina a pensare. Non lo sono né per quanto attiene il soggetto che, nelle varie manifestazioni della sua vita - studio, lavoro, ecc. - può risultare di fatto efficiente come e più degli altri; né per quanto riguarda la società, la cui attenzione nei confronti dei comportamenti individuali in situazioni di esposizione sociale generica (per esempio per la strada) non è elevata e i cui parametri di giudizio non sono terribilmente rigidi. E’ evidente dunque che si tratta di giudizi proiettivi che muovono da un super-io o da un ideale dell’io perfezionistici che schiacciano il soggetto sotto il peso della sua inadeguatezza e evocano il pericolo di un giudizio sociale che, sancendola oggettivamente, lo destina alla compassione, al ludibrio o, al limite, all’esclusione.
    Si tratta dunque di giudizi il cui significato dinamico è sostanzialmente punitivo. La colpa imputata, che viene espiata e riparata dalla vergogna, può avere però diverse origini. In alcuni casi, come avviene caratteristicamente negli attacchi di panico, essa fa riferimento alla fantasia di affrancarsi da legami familiari oppressivi, la cui realizzazione comporta un adeguato livello di autonomia personale e di “forza”. La vergogna, costringendo il soggetto ad esporsi socialmente solo in compagnia di un familiare, stigmatizza l’insensatezza del progetto e, al tempo stesso, lo punisce in maniera umiliante. In altri casi, la colpa è da ricondurre ad un ideale dell’io onnipotente e sprezzante nei confronti della debolezza e della mediocrità che si ritorce contro il soggetto. In questo ultimo caso è caratteristica una singolare alternanza di vissuti. Quando il soggetto sta in casa sua, egli talora ha una percezione di se stesso incentrata su di un vissuto di netta superiorità rispetto alla media delle persone. Allorché però egli si espone, tale vissuto svanisce, egli si sente rimpicciolito sino all’inverosimile e investito dal giudizio ridicolizzante degli altri.
    Quest’ultima dinamica sottende con un’intensità drammatica le esperienze maniaco-depressive. Ogni depressione è impregnata di una componente di vergogna che induce il soggetto a rifuggire dalle relazioni sociali. Nelle depressioni maggiori tale componente raggiunge un’intensità estrema in conseguenza della quale il soggetto, parlando per bocca del Super-io, si disprezza, si svaluta e si umilia in ogni modo.
    In alcune psicosi giovanili il delirio persecutorio pone in luce la dinamica della vergogna che si traduce in attacchi sociali allucinatori incentrati sulla presa in giro, sulla ridicolizzazione e sull’umiliazione.
    La seconda configurazione della vergogna psicopatologica, frequente nel corso delle esperienze ossessive, fa riferimento a un mondo interno disordinato, anarchico e pulsionale che, se fosse percepito socialmente, darebbe luogo ad un giudizio disonorevole d’immoralità, amoralità o mostruosità. In questi casi la vergogna comporta un ipercontrollo attento sul proprio comportamento in maniera tale che esso risulti inappuntabile. Essa non limita gravemente, di solito, la vita sociale e non richiede la presenza in situazioni d’esposizione sociale di un parente, ma comporta una tensione permanente, riferita al pericolo dello smascheramento, che rende l'esposizione sociale estremamente stressante.
    Una variante di questa configurazione è caratterizzata dal fatto che il soggetto, pur temendo lo smascheramento, identifica nel suo mondo interno la sua vera identità e la coltiva godendone come un modo di essere che lo differenzia dagli altri. In questi casi, la possibilità di essere diversi, talora radicalmente, da come si appare senza che gli altri possano rendersene conto, produce un effetto esaltante che compensa la vergogna.
    Queste stesse dinamiche sono attive nel corso di alcuni deliri persecutori allorché le accuse da cui il soggetto si sente investito fanno riferimento alla sua cattiveria, alla pericolosità, o addirittura alla mostruosità, e comportano molteplici imputazioni criminose.
    Questa seconda configurazione è chiaramente riconducibile alla frustrazione del bisogno d’individuazione, e si ritrova spesso in personalità che evolvono in ambienti ipernormativi che impongono una crescita lineare. L'alienazione della quota di bisogni frustrata dà luogo alle fantasie anarchiche e pulsionali che, nel primo caso, vengono vissute all'insegna della paura di albergare qualcosa di cattivo e di mostruoso, mentre nel secondo vengono intuite come espressive di parti proprie ma danno luogo ad un ideale dell'Io trasgressivo, anticonformista e cattivo che non può esprimersi socialmente.
    Luigi Anepeta

     
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  3. frodolives
     
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    Ho letto la risposta del Dottore e sono rimasto colpito. Quanto di quello che dice è presente in me, incredibile. Ne ritrovo diversi risvolti nel mio vissuto personale, da lui ben così inquadrati e spiegati, che sono del tutto conscio di quanto esso sappia spingersi nell'indagine psicologica. Tante volte mi sento superiore, ma al tempo stesso questa superiorità svanisce a contatto con le persone, le quali spesso nemmeno si accorgono che io esisto, ed è una bella dicotomia.
    Recentemente ho sentito parlare di alcuni ragazzi in Giappone, i quali si barricano nella loro camera e si rifiutano di uscire. Poi i nuovi media danno la possibilità di comunicare dalla camera col computer, insomma ci si può isolare completamente. Qualche volta ci sono stato tentato, solo come idea. Ma i miei non capirebbero, ma qualche volta, visto la mia incapacità di trovarmi una ragazza, ho addirittura pensato di fare come nel film "Lars ed una ragazza tutta sua" dove vado nel famoso sito di Real Doll e me ne faccio mandare una a casa. Sarebbe il coronamento della mia visione patologica, sinceramente mi rendo conto dell'assurdità di questa idea ma perché nascondere quello che sono? Ovvero una persona che nel suo rapporto con la Vergogna patologica può lasciarsi andare a vere e proprie fantasie gigantesche.
    Grazie al Dottore Anepeta per saper esprimere questo vissuto così bene.
     
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  4. l.daniela
     
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    se ti piace quello che scrive il doc, tra le tante chicche, c'è su nilalienum PTD 2005 (nn so linkarlo, mi viene solo la home page percorso: nilalienum - ricerca - prassi terapeutica dialettica - PTD 2005) io l'ho stampato! io adoro ogni sua parola!
    buona lettura!
    daniela
     
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  5. frodolives
     
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    CITAZIONE (l.daniela @ 6/3/2009, 23:00)
    se ti piace quello che scrive il doc, tra le tante chicche, c'è su nilalienum PTD 2005 (nn so linkarlo, mi viene solo la home page percorso: nilalienum - ricerca - prassi terapeutica dialettica - PTD 2005) io l'ho stampato! io adoro ogni sua parola!
    buona lettura!
    daniela

    Ritengo il forum ed il sito della Lidi una autentica miniera d'oro. Non mi è chiaro dove si trova questo testo di cui mi parli, ma ogni luogo della Lidi è per fortuna intessuto di testi del Dottore. E sono tutti stupendi. Ecco, penso che lo si potrebbe chiamare direttamente il Dottore, in quanto egli non è un, bensì IL. Grazie a tutti.
     
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  6. star***
     
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    Ciao anche per me è così. Ma vorrei riuscire a liberare il mio io senza vergognarmi di quello che sono e senza dover pensare che possa succedere un casino!!!! Alle volte nascondiamo così tanto il nostro io che non lo riusciamo più a riconoscere
    Ciaoo
     
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  7. frodolives
     
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    CITAZIONE (star*** @ 9/3/2009, 12:25)
    Ciao anche per me è così. Ma vorrei riuscire a liberare il mio io senza vergognarmi di quello che sono e senza dover pensare che possa succedere un casino!!!! Alle volte nascondiamo così tanto il nostro io che non lo riusciamo più a riconoscere
    Ciaoo

    grazie per la tua risposta. Io non ho paura di esprimere quello che sono, ho la paura invece di tornare a nascondermi per vigliaccheria. Ma sto nutrendo un cuore coraggioso che non arretri mai più di fronte alle difficoltà. Spero di riuscirci.... ho capito soltanto che il mondo è difficile e non è fatto per i deboli di spirito...
     
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  8. giada4ever
     
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    bellissimo
     
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7 replies since 26/9/2007, 13:30   1457 views
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