Isolamento

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  1. Koenig43
     
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    In Internet e quì, in alcune discussioni, ho letto delle belle descrizioni delle caratteristiche dell'introversione, in cui mi sono riconosciuto. Una riguardava il bisogno quasi fisiologico dell'Introverso a restare solo volontariamente, ad isolarsi cioè, anche per breve tempo. Ho letto in alcune definizioni una sorta di bisogno di ricaricarsi. Anche io essendo Introverso ho bisogno di alcuni periodi di isolamento. Nel mio caso credo che questo accada per il seguente motivo. Ho sempre ritenuto di essere Introverso per il fatto di essere più rivolto verso il mio mondo interiore, quasi come se il mondo esteriore mi stimolasse poco. In realtà, se ci penso bene, non è affatto così. Al contrario io ricevo dal mondo esteriore una intensa stimolazione sensoriale e mentale, probabilmente più di un Estroverso. Anche da solo vedo un mondo chiassoso. Un Estroverso da solo probabilmente viene poco stimolato e si sente a disagio. Dopodichè queste informazioni che ho ricevuto dall'ambiente ho bisogno di elaborarle. In entrambi i due casi la presenza della compagnia di altre persone andrebbe a limitare questi due processi di raccolta di informazioni e di successiva elaborazione. Sò di apparire da questa descrizione come un freddo computer ma il mio bisogno del pensiero è non solo fonte di gioia ma davvero una necessità fisiologica insopprimibile che fà parte della mia natura. Ed è questo, almeno per me, il motivo che mi fà sentire il bisogno di isolarmi. Ho usato la parola isolamento anzichè solitudine in quanto comunemente alla parola solitudine si dà il senso negativo di "abbandono imposto" invece alla parola isolamento si dà il significato non-negativo di "allontanamento scelto". Io in realtà non amo essere abbandonato dagli altri, ma ho la necessità di allontanarmi dagli altri, di tanto in tanto.

    Edited by Koenig4 - 1/11/2008, 09:40
     
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  2. felicsol
     
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    CITAZIONE (Koenig43 @ 20/8/2008, 07:13)
    In Internet e quì, in alcune discussioni, ho letto delle belle descrizioni delle caratteristiche dell'introversione, in cui mi sono riconosciuto. Una riguardava il bisogno quasi fisiologico dell'Introverso a restare solo volontariamente, ad isolarsi cioè, anche per breve tempo. Ho letto in alcune definizioni una sorta di bisogno di ricaricarsi. Anche io essendo Introverso ho bisogno di alcuni periodi di isolamento. Nel mio caso credo che questo accada per il seguente motivo. Ho sempre ritenuto di essere Introverso per il fatto di essere più rivolto verso il mio mondo interiore, quasi come se il mondo esteriore mi stimolasse poco. In realtà, se ci penso bene, non è affatto così. Al contrario io ricevo dal mondo esteriore una intensa stimolazione sensoriale, probabilmente più di un Estroverso. Anche da solo vedo un mondo chiassoso. Un Estroverso da solo probabilmente viene poco stimolato e si sente a disagio. Dopodichè queste informazioni che ho ricevuto dall'ambiente ho bisogno di elaborarle. In entrambi i due casi la presenza della compagnia di altre persone andrebbe a limitare questi due processi di raccolta di informazioni e di successiva elaborazione. Sò di apparire da questa descrizione come un freddo computer ma il mio bisogno del pensiero è non solo fonte di gioia ma davvero una necessità fisiologica insopprimibile che fà parte della mia natura. Ed è questo, almeno per me, il motivo che mi fà sentire il bisogno di isolarmi. Ho usato la parola isolamento anzichè solitudine in quanto comunemente alla parola solitudine si dà il senso negativo di "abbandono imposto" invece alla parola isolamento si dà il significato non-negativo di "allontanamento scelto". Io in realtà non amo essere abbandonato dagli altri, ma ho la necessità di allontanarmi dagli altri, di tanto in tanto.

    Anche io mi ritrovo perfettamente in questa descrizione generale. Mi sa che è proprio vero che noi introversi facciamo parte di un genotipo specifico. Anche io ho necessità "vitale" di raccogliere ed elaborare le informazioni (sopratutto quelle che mi provengono dalle relazioni). Credo che questo sia dovuto al fatto che noi introversi "sentiamo troppo" e che, proprio per questo, abbiamo bisogno di attenuare questa forte emotività dilazionando gli incontri con l'esterno ed elaborando, volta per volta, tutto ciò che ci succede. E questo elaborare, pensare, in effetti, anche per me è una gioia, perchè, così, riesco a dare significato alla mia vita, altro bisogno insopprimibile degli introversi: dare un senso. E, mentre scrivo, mi viene in mente anche un altra cosa. Quando con gli altri mi succede qualcosa di "forte" ho sempre bisogno di allontanarmi per un po' dalla situazione relazionale. Questo l'ho sempre interpretato come una fuga, naturalmente in senso negativo. E se non fosse, invece, legato a questo bisogno di raccogliere ed elaborare le nuove informazioni? Mi piacerebbe sentire i vostri pareri al riguardo.
     
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  3. imperia69
     
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    Questa necessità di elaborare e digerire gli stimoli che vengono dall'esterno la riconosco perfettamente in me stessa. Purtroppo la consapevolezza di questo processo l'ho acquisita solo da grande, prima non so se ne ero cosciente. Oggi è un'esigenza che rivendico, anche se alla maggior parte delle persone è difficile da far capire. Ad ogni modo, se faccio così riesco ad essere abbastanza serena, se vivo immersa nel mondo esterno per 24 ore su 24 dopo pochi giorni comincio a dare segni di irritazione e depressione. Quindi, W la solitudine (o isolamento che dir si voglia)!

    E credo proprio di sì, che il bisogno di allontanarsi in seguito ad un'emozione forte sia proprio legato alla necessità di elaborare!
     
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  4. Koenig43
     
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    Ben ritrovate Imperia e Felicsol. Sono davvero contento di quello che avete scritto e credo che questo modo di procedere dovrebbe diventare regola sempre, per me e per tutti, ovvero :

    1. Capire noi stessi, prima di tutti noi stessi.

    2. Vedere anche in altre persone le nostre stesse caratteristiche.

    3. Vedere l'Introversione in termini non-negativi, ovvero principalmente come qualcosa da "Riconoscere" e non come qualcosa da "Accettare".

    Dopodichè esplicitando con parole semplici quello che siamo e quello che sentiamo possiamo benissimo sperare di farlo comprendere anche agli altri.

    A presto!
     
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  5. felicsol
     
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    CITAZIONE (Koenig43 @ 20/8/2008, 09:44)
    1. Capire noi stessi, prima di tutti noi stessi.

    2. Vedere anche in altre persone le nostre stesse caratteristiche.

    3. Vedere l'Introversione in termini non-negativi, ovvero principalmente come qualcosa da "Riconoscere" e non come qualcosa da "Accettare".

    Dopodichè esplicitando con parole semplici quello che siamo e quello che sentiamo possiamo benissimo sperare di farlo comprendere anche agli altri.

    A presto!

    E' interessante il punto 3. Io ho sempre pensato che fosse importante accettare il mio modo di essere. In effetti è più utile per me il riconoscimento dei vari aspetti del mio essere introversa e da lì partire per cercare di rispettare, non accettare me stessa.
     
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  6. Koenig43
     
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    Anche tu hai dato un contributo credo veramente fondamentale, a cui io non avevo pensato : l'idea del rispettarsi. Credo che davvero dobbiamo riuscire a passare dall'accettarsi al riconoscersi e rispettarsi. E' bello potere contribuire insieme ad altri e costruire qualcosa insieme ad altri. Proviamo a stilare una nuovo e più preciso elenco e vediamo se possiamo ricevere altri contributi fondamentali come il tuo di prima da altri frequentatori del Forum. Vediamo se riusciamo a "stanare" qualcuno/a ;). Ciao e a presto!
     
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  7. Koenig43
     
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    Da Internet ( fonte ) :

    Solitudine vs socialità

    Gli inglesi lo dicono meglio. Dove noi usiamo un unico termine per indicare lo stato di chi sta o vive solo, la lingua inglese ama distinguere tra “loneliness” e “solitude”.

    Loneliness ha una connotazione negativa e indica un senso di isolamento. Si prova quando sentiamo che qualcosa – o qualcuno – manca nella nostra vita. Lo possiamo provare anche quando siamo in compagnia di altre persone, infatti non richiede una reale solitudine fisica.

    Solitude, al contrario, indica lo stare da soli senza sentirsi soli. Ha un significato positivo e costruttivo che denota un impegno con se stessi. La solitudine è desiderabile ed è uno stato in cui ci si sente bene, in buona compagnia con se stessi.

    Purtroppo in italiano questa sfumatura si perde e spesso il termine solitudine viene utilizzato esclusivamente nella sua accezione negativa.
    Alcuni pensano che nessuno potrebbe coscientemente sceglierla: essere soli si trasforma quindi in una maledizione, una condizione da poveri sfigati.
    Al liceo sono soli quelli che non fanno parte dei gruppi “in”, i cosiddetti nerd (anche qui la lingua inglese è più eloquente) che spesso sono le vittime preferite del bullismo o, nella migliore delle ipotesi, dell’indifferenza altrui.
    Nell’età adulta, invece, la solitudine viene spesso associata agli anziani rimasti senza famiglia o “abbandonati” dai figli.

    Se pensiamo a queste situazioni tipiche io stessa mi chiedo: chi potrebbe coscientemente scegliere la solitudine?! La risposta però sarebbe troppo scontata così come non è scontata la solitudine in un mondo interconnesso come quello di oggi.

    Anche il più nerd degli studenti liceali può oggi considerarsi solo? Ci sono i social network, i blog, le chat, i forum… basta accendere il computer e il mondo là fuori si catapulta nella nostra stanza. È naturale che Internet diventi la nostra isola felice: pazienza se siamo finiti in una scuola di ignoranti, pazienza se non troviamo amici intorno a noi, Internet ce ne porta a frotte con un semplice clic. Questa la realtà che viviamo oggi: siamo sempre collegati, sempre connessi con qualcuno, sempre visibili. Ci trovate su Facebook, Twitter, Friendfeed e discutiamo con tutti di qualunque cosa.

    In un mondo così interconnesso è ancora possibile “sentirsi soli”? È possibile apprezzare la solitudine? È socialmente accettabile preferire la solitudine alla compagnia degli altri in un mondo in cui la prima è diventata “evitabile”?

    Il bisogno di solitudine viene spesso stigmatizzato nonostante la psicologia ci spieghi come la solitudine sia una caratteristica fondamentale e imprescindibile per il benessere dell’individuo.
    È davvero salutare vivere esclusivamente in rapporto agli altri?
    William Deresiewicz, professore di inglese a Yale, afferma: “La tecnologia ci sta portando via non solo l’intimità e la concentrazione, ma anche la capacità di stare soli.”
    Nel suo articolo The end of Solitude (in italiano Addio solitudine pubblicato sulla rivista Internazionale), Deresiewicz discute sul ruolo che la solitudine ha ricoperto nella storia e spiega come ancora oggi sia un elemento importante per lo sviluppo personale.

    Solitudine non significa isolamento e perdita di contatto con la realtà che ci circonda, al contrario è un saper entrare in comunione con la parte più profonda di noi stessi per relazionarci in modo più sano con gli altri. Non saper affrontare la solitudine può trasformarsi in un incubo per chi sente il bisogno imperante di “stare con qualcuno”, che si tratti degli amici o di una persona d’amare.

    Come si riscopre il piacere della solitudine? Staccando la spina per un po’, accantonando l’ansia di “perdersi gli ultimi aggiornamenti” e riconoscendo che anche noi stessi abbiamo bisogno di un’attenzione speciale.

    Come reagiranno gli altri? Perderemo i nostri amici se sentiamo il bisogno di starcene per conto nostro? Ci considereranno degli asociali? È evidente: sì, capiterà. Per chi pensa che la solitudine sia qualcosa da disprezzare diventeremo un fenomeno da baraccone, qualcuno con qualche strana malattia! Scrive Deresiewicz: “La solitudine non è un’esperienza facile, e non è per tutti.”
    Possiamo anche vivere escludendola dalla nostra vita per molto tempo, ma quando reclamerà a gran voce il suo spazio difficilmente riusciremo a far finta di niente.
    Il prezzo della solitudine, afferma Deresiewicz, può essere quello dell’impopolarità. “La solitudine non è molto cortese. Thoureau* sapeva che i nostri amici potranno trovare sgradevole il nostro atteggiamento solitario. Per non parlare dell’offesa implicita nell’evitare la loro compagnia.”

    È indispensabile a questo punto chiedersi: quali amici ci abbandonerebbero? Esiste un tipo di amicizia capace di sopravvivere alla solitudine? Discuterne esulerebbe troppo dall’argomento di questo post, quindi lascio a voi la risposta a queste domande.

    Cosa ne pensate? Può il desiderio di solitudine conciliarsi con l’amicizia? E con la socialità?
    Come considerate la solitudine? Ne sentite il bisogno o preferite evitarla?
     
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  8. ZeroDigit
     
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    CITAZIONE
    Cosa ne pensate? Può il desiderio di solitudine conciliarsi con l’amicizia? E con la socialità?
    Come considerate la solitudine? Ne sentite il bisogno o preferite evitarla?

    1:-E perchè no? Basta trovare i giusti tempi-modi per l’una e per l’altra. Magari fosse così semplice!..Per il momento è rimasta per me una combinazione inconciliabile, ma non dispero... ho tutta una vita davanti.

    2:- Non mi sentirei introverso se non cedessi al fascino della solitudine, la percezione di unicità ed esclusività non-condivisibile del mio sentire, il dramma e lo struggimento dell’eclatante incapacità di esprimere e comunicare un mondo interiore che morirà con me. La solitudine assoluta di un deserto non mi spaventa, ben più terribile quella che si prova in una discoteca affollata, dove il desiderio di appartenenza urla e reclama la sua inappagata soddisfazione.
     
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  9. marval59
     
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    Credo che compagnia e solitudine siano necessarie tutte e due. Chiaramente secondo la personale esigenza. Per quanto mi riguarda è l'esigenza difficile da individuare. Tendo ad isolarmi nel pensiero (falso) che gli altri mi rifiutano.
     
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  10. BadalukG
     
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    La solitudine è un momento d'oro come scritto nell'altro post che va coltivato come l'amicizia. D'altra parte si scrive chi trova un amico trova un tesoro. Quindi la solitudine è come un amica. Noi siamo o non siamo amici di noi stessi? Ma a volte gli amici ci fanno gli scherzi, magari senza volerlo e rischiamo di rimanere coinvolti in un loop. Se sei solo e ti fai male alla mano, nessuno potra dirti:" Poverino, si è fatto male, vuoi che ti aiuto?" Perciò non solo dovremmo industriarci a fare le cose da soli con un risultato più difficile in quanto non siamo un pozzo di esperienza, ma dovremmo anche dirci "Poverino, ti sei fatto male". Cioè in parole povere la mia solutidine mi ha portato per anni ad autocommiserarmi e autocompatirmi. La solutidine ha i suoi vizi che vanno riconosciuti ad essa. Rappresentano i nostri vizi (la mia compassione verso gli altri) riflettuta su noi stessi. Qualcuno potrebbe dire allora che la compassione non è un vizio, eppure penso che se essa non ci porta ad accettare la realtà lo è. Piangere fa bene ma fantasticare su come sarebbero dovute andare le cose è una perdita di tempo. Quindi per concludere, siate soli, se volete ma imparate ad accettare l'insodisfazione dei vostri difetti e la mancanza di quel senso di perfezione che si trova nella diversità e nel reciproco aiuto.
     
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  11. Koenig43
     
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    Ciao Badaluk. Guarda in alcuni post come questo cerco di vedere le cose in chiave positiva in altri post sempre a tema solitudine mi sono pianto addosso... :)

    Penso comunque che tu abbia perfettamente ragione. Grazie per il tuo intervento ed un caro saluto.
     
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10 replies since 20/8/2008, 06:13   878 views
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