Felicità e invidia

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Oberman0
     
    .

    User deleted



    Quante persone vuote e banali ho osservato a scuola a lavoro per strada, ragazzi che discutono solo di calcio,videogame,bagordi ed in modo triviale di ragazze e conquiste; ragazze che s'entusiasmano per canzoni e film dozzinali, che sognano l'amore romantico e lo realizzano con i loro ganzi lampadati, depilati,i capelli stirati, le mutande firmate in bella vista... eppure invidio la vita futile di questi miei coetanei non mai si sono tormentati per le traversie degli eroi letterari,che non sono mai stati sconvolti da film che devastano le certezze e lasciano solo dubbi angosciosi, non hanno mai riletto periodi di difficile comprensione,non si sono mai commossi per musiche celestiali, non hanno mai passato notti rese insonni da rimorsi e rimpianti, non hanno sentito brividi dopo aver incrociato uno sguardo..... Cos'è tutto questo di fronte ad una vita che non ha mai conosciuto la malinconia,fatta di sicurezze ed abitudini immutabili?
     
    Top
    .
  2. Koenig43
     
    .

    User deleted


    Ciao Oberman. E' un piacere vedere ritornare te a scrivere dopo felicsol e speriamo anche nel ritorno di davide e houccisotonio. Per gli stereotipi gli Introversi sono tutti profondi ma malinconici e solitari; gli Estroversi invece sono tutti vuoti e superficiali ma gioiosi. Naturalmente, come per tutti gli stereotipi, non è così. Gli Introversi possono anche loro essere allegri e gioiosi e gli Estroversi anche loro possono essere profondi. Questo è scritto nella home ma l'ho verificato di persona anche nella realtà. Dove stà allora la vera differenza tra Introversi ed Estroversi? Secondo me le vere differenze sono due. Innanzitutto gli Introversi sono una esigua minoranza rispetto agli Estroversi, ed è questo uno dei motivi dei loro guai ;). Poi così come ci sono vantaggi e svantaggi nell'essere Introversi ci sono anche vantaggi e svantaggi nell'essere Estroversi. Solo che gli Estroversi conoscono più vantaggi prima e più svantaggi dopo. Per gli Introversi accade invece il contrario, si conoscono più svantaggi prima e più vantaggi dopo. Purtroppo questo ce lo potrà confermare solo il tempo. Però hanno scritto questo anche altre persone quì nel Forum. Per cui bisogna crederci ed avere pazienza. Ciao ed a presto!

    Edited by Koenig43 - 6/9/2008, 17:32
     
    Top
    .
  3. maria rossi
     
    .

    User deleted


    da Il prezzo da pagare di Luigi Anepeta:

    "[...] In realtà, quello che sta accadendo è che le istituzioni pedagogiche sono sempre più catturate da un modello antropologico che privilegia l’efficienza e la capacità di inserimento sociale – l’assunzione insomma del ruolo di citoyen – rispetto allo sviluppo delle potenzialità individuali depositate nel corredo genetico. La socializzazione, in breve, viene privilegiata in assoluto rispetto all’individuazione.

    Questo assunto può apparire sorprendente se si tiene conto dell’insistenza con cui la psicopedagogia (dalle sue sedi accademiche alla diffusione attraverso i mass-media), la Scuola e le famiglie sono alleate nel sostenere che lo sviluppo della personalità deve avvenire nel rispetto e nella valorizzazione delle singole individualità.

    L’assunto, però, fa capo ad una nefasta confusione tra individuo e individuazione. L’individuo, così come è concepito nel nostro mondo, vale a dire come un soggetto dotato di un sano egoismo e della capacità di darsi da fare in società per conseguire un riconoscimento di appartenenza, uno status, ruoli privati e pubblici, è un’invenzione culturale recente, intrinseca alla civiltà borghese. L’individuazione, viceversa, è un potenziale di sviluppo depositato nei geni che, acquisita un’identità culturale sulla base del processo di socializzazione, promuove una differenziazione che dà luogo a scelte e a pratiche di vita (inerenti il lavoro, gli affetti, gli interessi, ecc.) in conseguenza delle quali il soggetto giunge a sentire di avere realizzato la sua vocazione ad essere.

    La distinzione è importante perché mentre la definizione dell’individualità corrisponde ad esigenze prevalentemente sociali, l’individuazione, viceversa, soddisfa esigenze prevalentemente soggettive. Ciò significa, né più né meno che un individuo può essere solo parzialmente individuato nel senso che egli sacrifica, anche senza accorgersene, i suoi potenziali di individuazione sull’altare del riconoscimento e dello status sociale.

    Questa premessa è importante ai fini del discorso che intendo sviluppare, il cui nocciolo è che i soggetti normodotati possono con facilità conseguire uno statuto di individui, mentre gli introversi (e gli estroversi iperdotati) non possono rinunciare all’individuazione se non al prezzo di un disagio psicologico più o meno serio.

    Naturalmente, c’è da chiedersi come la vocazione introversa all’individuazione possa mantenersi e realizzarsi nonostante le spinte verso la normalizzazione che caratterizzano la nostra società.

    Si tratta di un problema complesso, sul quale già ho detto qualcosa, ma che merita un approfondimento perché almeno un aspetto è rimasto finora in ombra: il prezzo che inesorabilmente gli introversi devono pagare nella fase evolutiva della personalità, che viene ampiamente compensato dall’appagamento cui essi pervengono in età adulta se il processo di individuazione si realizza.

    2.

    Definire l’introversione come una condizione di potenziale ricchezza emozionale e intellettiva non significa né confondere le potenzialità con la loro realizzazione, che avviene nel corso dello sviluppo evolutivo e della vita, né giungere alla conclusione che, date circostanze favorevoli, l’evoluzione di un soggetto introverso non comporterebbe alcun problema.

    Nel nostro mondo gli introversi pagano e talora per tutta la vita, un prezzo esorbitante alla scelta che la natura ha operato.

    C’è però, a monte di questa ingiustizia sociale, per combattere la quale è nata la LIDI, un’ingiustizia che si può definire genetica, riconducibile al fatto che, anche in un ambiente ottimale, quella scelta comporta un prezzo da pagare nella fase evolutiva della personalità, che assume il suo pieno significato solo se la personalità raggiunge un certo grado di integrazione e di sviluppo (l’individuazione).

    L’ingiustizia genetica è riconducibile a leggi dello sviluppo del cervello e della personalità contro le quali non si può fare alcunché (tranne che comprenderle e ammortizzarne gli effetti). Esse sono universali, ma, laddove si dà un corredo introverso, la loro incidenza è più evidente (e talora drammatica). Uno spunto per chiarire questo aspetto può essere tratto dall’autobiografia di Rousseau, laddove egli scrive in rapporto alla sua esperienza infantile: “Non avevo ancora nessuna idea delle cose e già tutte le passioni mi erano note. Non avevo pensato niente, avevo sentito tutto.” (p. 749)

    Insomma, il nodo è il rapporto tra il sentire e il capire, il mondo delle emozioni e quello delle cognizioni.

    Il sentire è un dato primario dell’esperienza umana, che, per effetto dell’attività intrinseca cerebrale, funziona fin dalla nascita, il capire, invece, è vincolato alla maturazione cognitiva che avviene lentamente.

    Quando si parla di evoluzione della personalità, raramente si tiene conto che essa è sottesa e avviene sulla base della crescita del cervello, che termina intorno ai ventitre anni. Mettendo tra parentesi gli aspetti più specialistici di questo fenomeno, un dato appare particolarmente importante. La crescita del cervello comporta di sicuro fasi di potenziamento e di dilatazione dell’orizzonte emozionale che, anticipando lo sviluppo cognitivo, sono di fatto in una certa misura squilibranti.

    Un esempio di tale legge è nota. Tra i cinque e i sette anni i bambini raggiungono la consapevolezza intuitiva di ciò che significa morire. Tenendo conto delle paure viscerali che esprimono anche in precedenza in rapporto ai pericoli, le quali fanno capo all’istinto di conservazione, si può dire che essi convivono dalla nascita con l’intuizione della loro vulnerabilità. E’ solo a quell’epoca, però, che la vulnerabilità prende la forma di un destino inesorabile. Si tratta, però, di una forma intuitiva, emozionale, di un sentire squilibrante, che solo lentamente potrà essere organizzato cognitivamente.

    Certo, la progressiva dilatazione dell’orizzonte emozionale non ha solo effetti negativi. Un bambino introverso può sperimentare anche stati d’animo di quiete profonda (quando per esempio si immerge nelle sue fantasie) o addirittura estatici (quando si trova in un rapporto di feeling con un adulto, con un animale, con la natura). E’ fuori di dubbio, però, che la dilatazione emozionale determina, al di là dei sette anni, una consapevolezza intuitiva degli aspetti negativi della vita e della realtà (il dolore, il male, le ingiustizie, ecc.) che ha un impatto squilibrante. Tale consapevolezza diventa ovviamente più squilibrante e dolorosa se quegli aspetti, colti come costitutivi della realtà, sono sperimentati sulla propria pelle in conseguenza dell’interazione sociale con gli adulti o i coetanei.

    Il prezzo da pagare all’introversione in fase evolutiva è dunque dovuto all’intensità e alla precocità del sentire rispetto alla possibilità di organizzare cognitivamente ciò che si prova.

    Questo scarto tra la fulmineità del sentire, che ha la sua matrice nell’inconscio, e la relativa lentezza dei processi cognitivi è un aspetto costitutivo della soggettività umana, che negli introversi è solo più evidente e spesso si mantiene anche a livello adulto.

    La testimonianza di Rousseau è preziosa anche a questo riguardo. Egli scrive:

    "Due cose pressoché inconciliabili s'uniscono in me senza che io possa spiegarmi come: un temperamento focosissimo, passioni vive, impetuose, e una lentezza a nascere d'idee, impacciate, che non si svegliano mai che a cose fatte. Si direbbe che il mio cuore e la mia intelligenza non appartengano al medesimo individuo. Il sentimento, più rapido del lampo, mi inonda l'animo, ma anziché illuminarmi, mi brucia e mi abbaglia. Sento tutto e non vedo nulla. Sono irruento, ma stupido; mi occorre il sangue freddo per pensare.”

    L’esperienza di questo scarto, vale a dire di essere preda di emozioni intense che si attivano per conto loro, appaiono ingovernabili e spesso del tutto inadeguate in rapporto alle situazioni sociali, è il motivo principale per cui gli introversi, dopo aver sperimentato il prezzo da pagare in fase evolutiva, continuano a pagarlo da adulti e giungono alla convinzione che, dotandoli di un corredo emozionale intenso, la natura non ha fatto loro un grande dono. La convinzione, insomma, è che l’introversione è una condizione disfunzionale o peggio un destino di dolore.

    Sarebbe ingenuo negare che se si facesse un test proponendo ad un campione di introversi l’opzione tra l’accettare la propria condizione e il cambiarla, liberandosi dal fardello di un’emozionalità per molti aspetti disagevole e imbarazzante, otto o nove su dieci preferirebbero liberarsene."
     
    Top
    .
  4. Oberman0
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (Koenig43 @ 6/9/2008, 09:11)
    Ciao Oberman. E' un piacere vedere ritornare te a scrivere dopo felicsol e speriamo anche nel ritorno di davide e houccisotonio.

    Grazie. Spero anch'io di poter leggere ancora i commenti di Davide e Antonio, ogni testimonianza ha un grande valore.

    Non era mia intenzione generalizzare utilizzando i frusti stereotipi che con enfasi propongono i media, conosco anche persone che presentano tutti gli aspetti positivi dell'estroversione. Penso soprattutto al gruppo di ragazzi che si è formato nella mi parrocchia, gente impegnata su diversi fronti piena di voglia di vivere e di donare il loro tempo agli altri. Io pur facendo parte di questo gruppo mi sento un estraneo posso solo osservare la loro felicità senza potervi partecipare.

    Ringrazio anche Maria per la scelta del brano di Anepeta che include due citazioni dell'amato Rousseau.
     
    Top
    .
  5. Koenig43
     
    .

    User deleted


    Ciao Oberman. Pensa ad un esperimento al contrario. Immagina una sola persona molto estroversa che si trovasse all'interno di un gruppo di persone tutte strettamente introverse. Io credo che con il passare del tempo questa persona comincerebbe a provare un senso di disagio perchè non riuscirebbe a condividere la conversazione lo scherzo e la socialità introversa. Comincerebbe a sentirsi inadeguato e ad invidiare la felicità Introversa. La natura tuttavia non ha voluto una distribuizione equa tra Introversi ed Estroversi ma ha scelto una composizione fortemente asimmetrica. In passato ho sentito la mia condizione come unica. Oggi guardando tra i più di 25 colleghi che ho in ufficio mi sono accorto che 3 sono Introversi come me e 2 Estroversi sono così rispettosi e profondi che se non li avessi osservati bene avrei potuto essere tratto in inganno sulla loro reale Estroversione. C'è da dire infine che la felicità non è una condizione utopica irrealizzabile. Davvero può essere sperimentata ma sebbene di forte intensità quando si realizza ha una durata brevissima. Un pò di più dura la gioia, ma e' più frequente vedere semplicemente gente allegra. Solo la serenità può essere vissuta in maniera quasi continua. Spero tanto in tuoi nuovi interventi. Ciao!
     
    Top
    .
  6. Tequila1970
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (maria rossi @ 6/9/2008, 09:52)
    La testimonianza di Rousseau è preziosa anche a questo riguardo. Egli scrive:

    "Due cose pressoché inconciliabili s'uniscono in me senza che io possa spiegarmi come: un temperamento focosissimo, passioni vive, impetuose, e una lentezza a nascere d'idee, impacciate, che non si svegliano mai che a cose fatte. Si direbbe che il mio cuore e la mia intelligenza non appartengano al medesimo individuo. Il sentimento, più rapido del lampo, mi inonda l'animo, ma anziché illuminarmi, mi brucia e mi abbaglia. Sento tutto e non vedo nulla. Sono irruento, ma stupido; mi occorre il sangue freddo per pensare.”

    L’esperienza di questo scarto, vale a dire di essere preda di emozioni intense che si attivano per conto loro, appaiono ingovernabili e spesso del tutto inadeguate in rapporto alle situazioni sociali, è il motivo principale per cui gli introversi, dopo aver sperimentato il prezzo da pagare in fase evolutiva, continuano a pagarlo da adulti e giungono alla convinzione che, dotandoli di un corredo emozionale intenso, la natura non ha fatto loro un grande dono. La convinzione, insomma, è che l’introversione è una condizione disfunzionale o peggio un destino di dolore.

    Sarebbe ingenuo negare che se si facesse un test proponendo ad un campione di introversi l’opzione tra l’accettare la propria condizione e il cambiarla, liberandosi dal fardello di un’emozionalità per molti aspetti disagevole e imbarazzante, otto o nove su dieci preferirebbero liberarsene."

    Io sono arrivato alla LIDI facendo ricerche su Rousseau. Io non mi sento assolutamente gia' realizzato o estrovertito, pero' ho conosciuto una persona che e' sicuramente un Introverso ed e' realizzato (e non e' nemmeno una persona famosa, per dire) e vive una vita splendida e invidiabile. Non conosco in dettaglio tutta la sua storia, in quanto, com'e' prevedibile, e' molto restio a fare confidenze su se' stesso. Pero' di una cosa sono sicuro: e' una persona coraggiosa che non ha esitato a mettersi in gioco fino in fondo per seguire i propri ideali. Penso che sia l'unica strada percorribile per un introverso e se bisogna cadere nel tentativo, pazienza. Del resto, pretendere di tirare a campare quando non hai gli strumenti per stare assieme agli altri mi sembra assurdo: gli introversi non riusciranno mai a fare a meno dei loro principi. Tanto vale cavalcarli.

    Ciao a tutti. Andrea
     
    Top
    .
  7. Koenig43
     
    .

    User deleted


    Sì Andrea sono d'accordo con te. Voglio aggiungere anche questo. Se Oberdan invece di trovarsi nel gruppo della parrocchia, si trovasse all'interno di un gruppo LIDI ad esempio, non credo proverebbe questo senso di disagio. E forse non desidererebbe rinunciare alla propria emotività, per lo meno in quel contesto. Perchè poi certamente non si può prescindere dall'essere immersi nella Società fatta anche, ad esempio, da posto di lavoro condominio ect . Ma ci sarebbe almeno una comunità dove non sentire la propria Introversione una condizione di svantaggio ma al contrario una condizione di parità. Viviamo in un'epoca in cui stà avvenendo, grazie ad Internet, una vera rivoluzione sociale. La formazione di gruppi coerenti non solo all'interno della Società ma anche sovranazionali. Faccio un esempio. In rete c'è un sito con relativo Forum della comunità Arberesche, ovvero i discendenti degli Albanesi immigrati nel '500 nel sud-italia. Si tratta di una minoranza certo ma non di una minoranza disagiata. Gli Introversi devono pertanto cogliere l'occasione per raggrupparsi per coerenza formando una sotto-comunità. Se nel comune di Oberdan ci fosse un gruppo reale di Introversi lui troverebbe un gruppo dove non trovare disagio. In questo momento Oberdan appartiene ad un gruppo virtuale di Introversi e credo di intuire che nel nostro gruppo Oberdan non provi disagio nel suo essere Introverso nè alcuna forma di invidia verso noi che partecipiamo. Oberdan stesso ce lo può confermare. Oberdan provi disagio per la tua emotività quì? Provi invidia tra di noi?
     
    Top
    .
  8. Oberman0
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (Koenig43 @ 9/9/2008, 18:51)
    Oberdan stesso ce lo può confermare. Oberdan provi disagio per la tua emotività quì? Provi invidia tra di noi?

    Se provassi disagio non mi sarei mai iscritto; sono entrato a far parte della communiy perché sicuro di trovarmi tra gente in grado di campirmi e di riconoscersi in alcuni aspetti della mia personalità. Ben diversa, come ho scritto, sopra è la situazione nella mia vita reale dove non posso utilizzare lo stesso modo di comunicare ma devo adattarmi ad un mondo dominato dagli estroversi ed adeguarmi al loro modo di essere. Certo non posso uniformarmi a loro,rimango sempre un estraneo, un osservatore; la comprensione la trovo solo qua, all'interno della realtà virtuale.
     
    Top
    .
  9. Koenig43
     
    .

    User deleted


    Caro Oberdan dietro ogni computer c'è una persona reale. Il mondo virtuale non è poi così virtuale. Ciao!
     
    Top
    .
  10. _ostrichetta_
     
    .

    User deleted


    E' vero, il problema sta nell'essere una minoranza. Per anni ho sofferto, al liceo come in altri contesti, nel sentirmi una diversa. Non sono una persona chiusa alle relazioni sociali, anzi, la socievolezza è una mia caratteristica, ma tendevo poi a sentirmi comunque un pesce fuor d'acqua, apparentemente apprezzata ma ben poco capita. E a quel punto, invece di "ritirarmi", sentivo la necessità di estrovertirmi per forza. Bisogna essere simpatici, carini, dire la battuta giusta al momento giusto. Ci sono stati anni in cui mi sentivo talmente inadeguata che un silenzio mi uccideva, in quanto -pensavo- era causato da me, non abbastanza simpatica per far ridere. Oggi mi rendo conto di essere un'introversa anche io, e combatto ogni giorno contro la "bimba d'oro" di cui parla Anepeta, quella che mi impone di essere sempre al massimo su tutti i fronti. E se sto in mezzo alla gente (i cosidetti "amici", o meglio, il gruppo di persone che si frequentano) non pretendo da loro una comprensione che non potrebbe mai arrivare. Quando sento il bisogno di ricevere quella, o di avere un contatto più profondo con qualcuno, che non si fermi alla superficialità del "Ciao-come-stai-tutto-a-posto", allora mi dedico all'unica persona che meriti l'appellativo di Amica, oppure semplicemente faccio qualcosa per me stessa, magari anche girovagare su questo sito e ritrovarmi negli scritti di persone sconosciute.
    Il percorso è faticoso, comunque, e spesso frustrante.
    Un bacio a tutti.
     
    Top
    .
  11. maria rossi
     
    .

    User deleted


    ... ma ne vale la pena! In un mondo pieno di persone alienate e dominate da falsi sè,poter gustare la propria autenticità è un privilegio appagante e inestirpabile che sul lungo termine "salva" e ragala una qualità della vita superiore alla media (certo non per forza in termini monetari o di escalation sociale ma un rapporto pieno, libero e partecipato con la vita e con se stessi non passa per forza per queste vie!). Quindi in bocca al lupo e molta molta solidarietà da parte di una trentenne che comincia a intravedere un pò di pace e di serenità interiori!
     
    Top
    .
  12. houccisotoniocartonio
     
    .

    User deleted


    non sono antonio... :(
     
    Top
    .
  13. Jericho26
     
    .

    User deleted


    Non metterei tutto sullo stesso piano. Il comportamento che descrivi, Oberman0, è conseguenza della società moderna. Ed è inutile dire quanta incomprensione della vita e quanta sofferenza ci sia dietro il culto della mutanda griffata o del tanga messo in bella vista. Ciò però, secondo me, conta poco con l'introversione e l'estroversione. O meglio, è vero che l'introverso, per definizione, riesce ad avere una visione critica del mondo mentre l'estroverso vi si adatta con maggiore passività, ma personalmente porrei il problema su un piano a più ampio respiro (oltre che molto complesso e profondo) rispetto al semplice rapporto introversione-estroversione. Poi dipende tutto dall'età di questi ragazzi!! L'adolescenza è un periodaccio un po' per tutti! :) Il brutto è vedere adulti comportarsi così perchè è indice del grado di insania che ristagna un po' ovunque. Ma secondo me, ripeto, il problema è sistemico di questa società! Ciao!
     
    Top
    .
12 replies since 5/9/2008, 22:25   538 views
  Share  
.
Top