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Franz86.
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... Questo perché siamo tutti uguali, e ognuno di noi vive la vita degli altri.
Questo pezzo te lo commenterei con una tua citazione, ma oggi sono buono.CITAZIONEBah, di tutto questo l'unica cosa che mi importa e che, per quanto mi sforzi, non riuscirò mai a far capire a mia nonna quanto sia importante per me
Per gli anziani conta molto anche la semplice vicinanza. Se tu la frequenti regolarmente, anche se non le dici chissà cosa o non le dai chissà che dimostrazioni di affetto "fisico", lei ne è comunque felice e capisce, invece .... -
Diogene W.
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CITAZIONEQuesto pezzo te lo commenterei con una tua citazione, ma oggi sono buono.
(Non mi importa che non c'entra niente: quando mai dovrei usarla 'sta faccina??)CITAZIONEPer gli anziani conta molto anche la semplice vicinanza. Se tu la frequenti regolarmente, anche se non le dici chissà cosa o non le dai chissà che dimostrazioni di affetto "fisico", lei ne è comunque felice e capisce, invece ...
Grazie per farmi sentire in colpa per essere partita per Buenos Aires. Ora sì che mi sento molto meglio. In più ho il TERRORE che le succeda qualcosa.
Ecco questi sono i momenti in cui mi ricordo le immense difficoltà che incontro a dimostrare quanto tengo alle persone. Mia sorella (estro) se ne sbatte, fa i suoi spettacolini una volta all'anno per puro opportunismo e tutti pensano che sia un angelo disceso in terra per rallegrare gli altri. Io finisco per preferire il tenere freddi i rapporti con gli altri pur di non trovarmi nella situazione di dover dimostrare loro qualcosa (senza esagerare, sia chiaro).. -
houccisoilariadusieleièrisorta.
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Prima anche per me essere ricordato era un ossessione.
Ho cercato per anni la strada che mi avrebbe portato ad una gloria che avrebbe avuto eco per anni.
Poi facendo tirocinio come infermiere, ho visto con gli occhi la "Morte".
Morire è un fenomeno naturale, che bisogna accettare. La gloria è solo un modo per rispondere alla paura dell'oblio anonimo scuro della morte.
Purtroppo la gloria non rende immortale, perchè quando evochi Da Vinci non evochi lui, il suo spirito, ma solo un astrazione della tua mente. Nessuno che non abbia toccato l'anima può vivere nei ricordi dei vivi.
Quello che ho imparato dopo anni di nevrosi è:
La vita è un' esperienza personale, l'unico senso della vita è essere felici.
Attraversare questo fenomeno sensoriale con quanta più piacevolezza possibile, senza la pretesa di nessuna garanzia. La Verità e l'accettazione, difficile, ma necessaria.
scusa, non ho capito, ti riferisci al brano di Croce o in generale?. -
Nicola..
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houccisoilariadusieleièrisorta.
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voglio rilanciare il brano di Croce che avevo già scritto qualche post fa e aggiungere dei riassunti del primo capitolo del libro di De Martino, che trovo molto singificativi non solo per la questione della morte ma anche - nello stesso tempo e necessariamente - per quella del valore della vita.
ps.Ho fatto un semplice riassunto senza criticare le cose su cui magari non sono d'accordo, sennò era un casino!
"MORTE E PIANTO RITUALE. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria" di E.De Martino.
Introduzione
Che cosa dobbiamo fare degli estinti, delle creature che ci furono care e che erano come parte di noi stessi? "Dimenticarli", risponde, se pure con vario eufemismo, la saggezza della vita. "Dimenticarli", conferma l'etica. "Via dalle tombe!", esclamava Goethe, e a coro con lui altri spiriti magni. E l'uomo dimentica. Si dice che ciò è opera del tempo; ma troppe cose buone, e troppo ardue opere, si sogliono attribuire al tempo, cioè ad un essere che non esiste. No: quella dimenticanza non è opera del tempo; è opera nostra, che vogliamo dimenticare e dimentichiamo... Nel suo primo stadio, il dolore è follia o quasi: si è in preda a impeti che, se perdurassero, si conformerebbero in azioni come quelle di Giovanna la Pazza. Si vuol revocare l'irrevocabile, chiamare chi non può rispondere, sentire il tocco della mano che ci è sfuggita per sempre, vedere il lampo di quegli occhi che più non ci sorrideranno e dei quali la morte ha velato di tristezza tutti sorrisi che già lampeggiarono. E noi abbiamo il rimorso di vivere, ci sembra di rubare qualcosa che è di proprietà altrui, vorremmo morire con i nostri morti: codesti sentimenti, chi non li ha, purtroppo, sofferti, o amaramente assaggiati? La diversità o la varia eccellenza del lavoro differenzia gli uomini: l'amore e il dolore li accomuna; e tutti piangono in un solo modo. Ma con l'esprimere il dolore, nelle varie forme di celebrazione e culto dei morti, si supera lo strazio, rendendolo oggettivo. Così cercando che i morti non siano morti, cominciamo a farli effettivamente morire in noi. Nè diversamente accade nell'altro modo col quale ci proponiamo di farli vivere ancora, che è di continuare l'opera a cui essi lavorarono, e che è rimasta interrotta...
(da "Frammenti di etica" di Croce)
Per quanto grande possa essere il dolore, subito si impone il compito di evitare la perdita di noi stessi nella situazione luttuosa. questa è la seconda morte che il lutto può trascinarsi dietro. perchiò nel lutto siamo chiamati a diventare assassini di quella stessa morte, sia dando una nuova forma ai sentimenti che il defunto mobilitò in noi finchè fu in vita, sia facendo nostra la tradizione di valori che il defunto rappresenta.
"Far passare" nel valore, rinunciare a perdere, distacco e morte ma al tempo stesso opzione per la vita sono la fatica implicata dall'esistenza, che nell'evento del lutto emerge con più asprezza.
La fatica di far morire la persona cara, morta naturalmente, in noi, che è uno sforzo culturale. E' nel culto che questa fatica si avvia.
Croce aveva presente soprattutto il cristianesimo, che effettivamente inaugurò il grande tema di cristo vincitore della morte.
D'altra parte l'osservazione di Croce appare vera soprattutto nelle civiltà primitive, dove i riti funerari mostrano nel modo più diretto il momento dell'oblio dell'evento luttuoso, o l'espressione simbolica della separazione del defunto dai vivi e dalla difesa dei vivi dalle insidie del defunto. Tuttavia la documentazione che abbiamo riguardo a queste civiltà ci rende difficile lo studio storico per aprofondire l'osservazione di Croce.
Per questo sono partito dallo mondo antico, dalle culture mediterranee, a cui la civiltà cristiana si riallaccia, anzi, è sorta in negazione polemica rispetto ad esse. E' un passaggio avvenuto una sola volta nella storia e che vive nella nostra coscienza culturale come lotta fra cristianesimo e paganesimo.
Fra i vari momenti degli antichi rituali funebri spicca come leit motiv il lamento funebre, elaborato in vari modi e dappertutto collegandosi con determinati valori politici e sociali. inoltre il lamento funebre rituale si collega saldamente al mito del nume che muore e risorge, uno dei temi più importanti delle antiche civiltà mediterranee. questo rapporto impedisce di considerare il lamento funebre antico al di fuori dell'orizzonte mitico del nume morto e risorto, del pianto rituale e del rito. il pianto rituale è il tema centrale del "saper piangere" davanti alla morte delle civiltà mediterranee.
Il cristianesimo si scontrò con esso, respingendolo come costume pagano in contrasto con l'idea cristiana della morte. Così il lamento smise di essere parte organica del rapporto fra morti e sopravvissuti, fino a diventare un relitto folklorico.
Sono partito dal lamento funebre antico anche e soprattutto perchè è il fenomeno più adatto ad analizzare il modo in cui, in un contesto storico da cui proveniamo e che abbiamo lasciato da poco, la disperzione e la follia che minacciano l'uomo colpito da lutto vengono moderate nel rito, ridischiuse nel mito e drammaticamente redente nel vario operare umano.
[prosecuzione]
1. CRISI DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO
il concetto di perdita della presenza
la crisi del cordoglio è una malattia e il cordoglio è il lavoro speso per tentare la guarigione. Essa è un caso particolare de quel rischio di perdere la presenza che ho illustrato nel Mondo magico.
Il rischio della presenza esite, un rischio che non è la perdita immaginaria di un'immaginaria unità anteriore alle categorie, ma la perdita della possibilità di esserci nella storia umana, di mantenersi nel processo culturale.
L'energia etica con cui si supera lo strazio del "far morire i nostri morti in noi", sollevandosi nel mondo dei valori e dominando la dispersione, coincide con la presenza come volontà di eserci in una storia umana, come potenza di trascendimento e di oggettivazione.
la mera vitalità delle piante e degli animali nell'uomo deve essere trascesa nell'opera, e questo trascendimento che oggettiva il vitale secondo forme culturali è la presenza.
esserci nella storia significa dare orizzonte formale al patire. la presenza è l'ethos fondamentale dell'uomo e la sua perdita è un rischio radicale a cui l'uomo soltanto è esposto.
questo rischio riguarda primariamente i momenti in cui si scorge nel modo più scoperto la corsa verso la morte che appartiene alla mera vitalità, al naturale, al non-culturale. in questi momenti può avvenire lo scacco dell'oggettivazione: invece di far passare (nel valore, nella cultura) ciò che passa, noi rischiamo di passare con ciò che passa (nella dispersione).
il dispiegarsi delle forze naturali ciecamente distruttive, il lutto, le malattie mortali, le fasi dello sviluppo sessuale, la fame, racchiudono l'esperienza acuta del conflitto tra dover fare e sapere che non c'è niente da fare, inteso come crollo esistenziale. anche in tutti quei momenti della vita associata che riproducono il modello della forza spietata che schiaccia: schiavo-padrone, progioniero-secondino, uomo-politica ed economia. in tutti questi momenti c'è il rischio della crisi radicale che si manifesta nella miseria esistenziale per cui ciò che passa ci trascina nel nulla ancora prima che la morte fisica ci colga, una catastrofe molto maggiore di questa morte.. -
houccisoilariadusieleièrisorta.
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[prosecuzione]
la presenza malata
la presenza malata è un'astrazione, poichè la cultura è il frutto della lotta vittoriosa della sanità contro la malattia, che è la negazione della possibilità stessa di poter essere nella storia. in altre parole la presenza in quanto tale è già cultura, è già storia.
ma questa strazione è la minaccia fondamentale, è il rischio esistenziale. possiamo dire che la presenza malata è la presenza che una volta, in qualche momento critico dell'esistenza, ha rinunicato a far passare, ed è passata, perdendo sè stessa nel contenuto e il contenuto in sè.
la presenza malata si manifesta come presenza apparente, che sta nel presente in modo inautentico, poichè subisce il ritorno del passato in cui è rimasta impigliata. la presenza che non ha deciso la sua storia quando doveva farlo, ora resta destorificata, cioè fuori dal rapporto reale con la storia concreta del mondo culturale in cui si è inserita e in cui è chiamata ad esserci.
istruttive sono a questo riguardo le esperienze psicopatologiche di un sè spersonalizzato, sognante, vuoto, automatizzato, ecc. a cui fanno riscontro quelle della perdita del mondo, che è sentito come strano, indifferente, meccanico, artificiale, inconsistente, ecc.
nella varietà delle espressioni, questi casi esprimono lo straniarsi, il perdersi in quanto potenza oggettivante e lo straniarsi, il perdersi del mondo come risultato dell'oggettivazione.
la crisi di oggettivazione si riflette anche nell'esperienza di una forza cieca in sè stessi e nel mondo. gli oggetti che non stanno più nel loro quadro si configurano come forze in atto di scaricarsi, per disarticolare il reale, incombendo minacciosamente sulla presenza.
il rischio della perdita della presenza è seguito dall'angoscia o meglio come angoscia di non poter esserci in una storia umana. quando si afferma che l'angoscia non è mai di qualcosa, ma di nulla, è accettabile nel senso che non è in gioco la perdita di questo o quello ma della stessa possibilità di determinare un questo e un quello.
l'angoscia indica che la presenza resiste alla sua disgregazione, ma le resistenze e le dfese che hanno luogo in stato di crisi sono improprie. stupore catatonico, ritualismo protettivo, simoblismo protettivo sono modi della destorificazione irrelativa, cioè dell'evazione totale dalla storicità dell'esistere. sono tutti modi di "stare nella stoira senza esserci" e non hanno niente a che fare con riti e miti magico-religiosi, che invece racchiudono valori sociali, politici, morali, poetici, conoscitivi. analoghe considerazioni valgono per le difese orientate non più verso il non-fare (come catatonia, rituali, pensiero magico), ma orientate verso il fare come bulimia, sfrenato erotismo, furore distruttivo, in cui assistiamo all'egemonia del vitale che pretende di sostituire la risoluzione culturale.
(.....controverse e discutibili opinioni sulla psicopatologia.....). -
Franz86.
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...
Ma con l'esprimere il dolore, nelle varie forme di celebrazione e culto dei morti, si supera lo strazio, rendendolo oggettivo. Così cercando che i morti non siano morti, cominciamo a farli effettivamente morire in noi. Nè diversamente accade nell'altro modo col quale ci proponiamo di farli vivere ancora, che è di continuare l'opera a cui essi lavorarono, e che è rimasta interrotta...
(da "Frammenti di etica" di Croce)
Non saprei, non comprendo bene il ragionamento di Croce e non vedo proprio quale sia la tesi centrale di De Martino.
Nell' unico lutto che ho finora avuto occasione di vivere non ho dato molta importanza alle celebrazioni, l' ho vissuto principalmente come un fatto personale. Poi, boh, sarò molto convenzionale ma secondo me proseguire l' opera di una persona defunta sarebbe una cosa molto bella, in essa si manifesterebbe la continuità tra le generazioni e l' adesione al medesimo sistema di valori.
In ogni caso ritengo che i morti, se erano persone a noi care, hanno contribuito in vita con la loro vicinanza a renderci quel che siamo, e quindi, in una certa misura, non muoiono mai perchè vivono in noi ("sono" noi).
Oltretutto mi sembra che ognuno viva il lutto in modo diverso, al di là delle celebrazioni: mi sembra però che tanto più il legame in vita fosse pieno di contraddizioni e contrasti (ma nonostante ciò forte) quanto più il dolore della perdita sia poi intenso e soprattutto difficile da superare, per i rimorsi legati a ciò che sarebbe potuto essere e non sarà più.. -
houccisoilariadusieleièrisorta.
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a de martino porello gli ho cioncato il libro!
in pratica de martino dice che la crisi del lutto è un particolare tipo di "crisi della presenza". la presenza sarebbe un sinonimo di "uomo che sta nella storia", che ha presa sul mondo. dice in sintesi che il lamento funebre e in generale i riti funerari hanno la funzione protettiva di operare una seconda morte, la morte del defunto in noi (che è una morte culturale), così che l'uomo non viene trascinato e disperso dalla crisi del lutto e riesce a superarla.
qusto in riferimento alla caratteristica della natura umana che è la presenza, ovvero l'uomo deve dare un senso a ciò che è meramente naturale.Oltretutto mi sembra che ognuno viva il lutto in modo diverso, al di là delle celebrazioni: mi sembra però che tanto più il legame in vita fosse pieno di contraddizioni e contrasti (ma nonostante ciò forte) quanto più il dolore della perdita sia poi intenso e soprattutto difficile da superare, per i rimorsi legati a ciò che sarebbe potuto essere e non sarà più.
è vero, infatti è terribile quando muore o si trova in grave pericolo di vita una persona a cui sei legato, magari proprio un legame di sangue, con la quale hai avuto un rapporto brutto per tutta la vita. i sensi di colpa si sprecano.... -
houccisoilariadusieleièrisorta.
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avete mai riflettuto su quanto ciò che rende una persona tale siano tutte cose non tangibili?
i morti mi danno la sensazione di entità estranee che hanno preso in prestito la forma della persona defunta, ma che non sono lei.
effettivamente non lo sono, lo erano. non c'è più la vita, nè i pensieri, nè i ricordi, nè i movimenti... sparisce la parte intangibile e resta la forma.. -
Yorick75.
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avete mai riflettuto su quanto ciò che rende una persona tale siano tutte cose non tangibili?
i morti mi danno la sensazione di entità estranee che hanno preso in prestito la forma della persona defunta, ma che non sono lei.
effettivamente non lo sono, lo erano. non c'è più la vita, nè i pensieri, nè i ricordi, nè i movimenti... sparisce la parte intangibile e resta la forma.
Sì, diventano delle figure senza sostanza con una vita propria, indipendente anche dalla persona morta. Spiriti leggeri e senza macchia, ma che pesano sulla coscienza.. -
houccisoilariadusieleièrisorta.
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Video SPOILER (clicca per visualizzare)questo film mi ha fatto venire in mente un fumetto bellissimo che parla di intelligenza artificiale. ne parlerò in letteratura..