Ti voglio o ti amo?

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  1. houccisoilariadusieleièrisorta
     
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    oddio ti amo di bene non l'avevo mai sentita :O
    ma che vor dìììììììììììì??
     
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  2. houccisoilariadusieleièrisorta
     
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    Ho cominciato ieri un libro di R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso. (http://it.wikipedia.org/wiki/Roland_Barthes)
    Per quel poco che ne ho letto fin'ora, posso dire una sola cosa: LEGGETELOLEGGETELOLEGGETELOLEGGETELOLEGGETELO :D

    Il piccolo brano di introduzione mi ha fatti ripensare a questa discussione, così ve lo copio:

    La necessità di questo libro sta nella seguente considerazione: il discorso amoroso è oggi d'una estrema solitudine. Questo discorso è forse parlato da migliaia di indivisui (chi può dirlo?), ma non è sostenuto da nessuno; esso si trova ad essere completamente abbandonato dai discorsi vicini: oppure è da questi ignorato, svalutato, schernito, tagliato fuori non solo dal potere, ma anche dai suoi meccanismi (scienze, arti, sapere). Quando un discorso viene, dalla sua propria forza, trascinato in questo modo nella deriva dell'inattuale, espulso da ogni forma di gregarietà, non gli resta altro che essere il luogo, non importa quanto esiguo, di un'affermazione. Questa affermazione è in definitiva l'argomento del libro che ha qui inizio.
     
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  3. alexey86
     
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    ma detto tout court di che parla il tuo libro?
     
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  4. houccisoilariadusieleièrisorta
     
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    In pratica descrive il discorso amoroso, analizzando le sue varie "figure", come ad esempio Abbraccio. "Nell'amorosa quiete delle tue braccia", oppure Dichiarazione. Il colloquio, Incontro. "Come era azzurro, il cielo", ecc.

    Sono frammenti di discorsi amorosi tratti dalla letteratura, dalla vita quotidiana di Barthes o dei suoi amici, che lui analizza.

    Ve ne copio un pezzo per esempio:


    Io ti amo

    IO-TI-AMO La figura non si riferisce alla dichiarazione d'amore, alla confessione, bensì al reiterato proferimento del grido d'amore.

    1. Passato il momento della proma confessione, il "ti amo" non vuol dire più niente; esso non fa che riprendere in maniera enigmatica, tanto suona vuoto, l'antico messaggio (che forse quelle parole non erano riuscite a comunicare). Io lo ripeto senza alcuna pertinenza; esso esorbita dal linguaggio, divaga: ma dove?
    Non potrei scomporre l'espressione senza ridere. Come! vi sarebbe un "io" da una parte, un "tu" dall'altra e, in mezzo, una sensata (poichè lessicale) congiunzione d'affetto. Chi potrebbe non avvertire che, quantunque conforme alla teoria linguistica, una tale scomposizione deformerebbe ciò che è buttato fuori tutt'insieme? Il verbo amare non esiste all'infinito (se non per artificio metalinguistico): il soggetto e l'oggetto formano un tutt'unico con la parola che viene proferita, [R. H. amico di Barthes ------>] e l'io-ti-amo va inteso (e qui letto) all'ungherese che, in una sola parola, suona szretlek, come se l'italiano fosse una lingua agglutinante (ed è proprio d'agglutinazione che si tratta). la benchè minima alterazione sintattica disgrega questo blocco unico; esso è per così dire al di fuori della sintassi e non si presta ad alcuna trasformazione strutturale; esso non ha alcuna equivalenza con i suoi sostituti, anche se il loro accostamento potrebbe dare lo stesso significato; posso dire per giorni interi io-ti-amo senza forse mai poter passare a "io l'amo": sono restio a far passare l'altro per una sintassi, una predizacione, un linguaggio [Nietzsche ------->](l'unico assunto dell'io-ti-amo è di apostrofarlo, di dargli l'espansione di un nome: Arianna, io ti amo, dice Dioniso).

    2. L'io-ti-amo è senza impieghi. Al pari di quella di un bambino, questa parola non è soggetta ad alcun obbligo sociale; essa può essere una parola sublime, solenne, superficiale, come può anche essere una parola erotica, pornografica. E' una parola socialmente sradicata.

    L'io-ti-amo è senza sfumature. Esso sopprime le spiegazioni, gli accomodamenti, le graduazioni, gli scrupoli. Paradosso esorbitante del linguaggio, dire io-ti-amo è in un certo qual modo fare come se non esistesse un teatro della parola, e questa parola è sempre vera (essa non ha altro referente all'infuori del suo proferimento: è il risultato di una performance).

    L'io-ti-amo è senza altrove. E' la parola della diade (materna. amorosa); in essa, nessun divario, nessuna diffomità giunge a disunire il segno; essa non è metafora di niente).

    [Lacan ------->] L'io-ti-amo non è una frase: esso non trasmette un significato, bensì si aggrappa a una situazione-limite: "quella in cui il soggetto è sospeso in un rapporto speculare all'altro". E' un'olofrase.

    (Sebbene sia detto miliardi di volte, io-ti-amo non trova posto nel dizionario; è una figura la cui definizione non può eccedere il lemma).

    [...]
     
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33 replies since 1/7/2011, 10:36   11697 views
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